La Via Crucis e il senso di identità [di Maria Antonietta Mongiu]

Processione dei Misteri (Is Misterius) Venerdi di Passione_d0

L’Unione Sarda 20 marzo 2018. La città in pillole. San Salvatore da Horta, il taumaturgo, ha fatto un nuovo miracolo riuscendo a riattivare, grazie ai custodi delle sue spoglie nella Chiesa di Santa Rosalia, la Via Crucis calaritana; dismessa dai bombardamenti che distrussero  parte della città ma non le rubarono la sua irriducibile dimensione sacra che si perpetua anche in forme inusuali.

Sarà mai possibile disgiungere quell’apocalisse dal bianco/nero delle riprese di Marino Cao? Forse no. Consegnano allo sguardo come via di uscita una resiliente civitas che si stringe ad un altro taumaturgo, Efisio, venuto da lontano, che Cagliari e la Sardegna vollero santo come accadde per quello catalano.

La rinata Via Crucis ha ripercorso quartieri storici e chiese a prova che non è così difficile riattivare percorsi radicati nella memoria collettiva o costruirne di nuovi che siano quello gramsciano, annunciato e mai realizzato, o qualsivoglia. Naturalmente ci vogliono diverse condizioni; una,  evidente nella Via Crucis promossa dai Minori Francescani di Santa Rosalia, è  avere una qualche autorità, legittima in questo caso, giacchè furono gli eredi di S. Francesco  a diffondere dal XIV secolo il percorso di Cristo verso il Golgota con quadri che lo visualizzassero e relative stazioni.

Forse non aveva quella struggente ed emozionale messa in scena di sapore barocco delle statue del Lonis, raffiguranti i Misteri della passione di Cristo, custodite  nell’antisagrestia di San Michele, che il martedì santo girano per il quartiere e le chiese di Stampace.

Nel percorso dell’altra sera si percepiva sostanziale una forte  interdipendenza tra urbs e civitas, dimensione sempre più rara. Una reciprocità tra due complessità nel loro autentico riconoscersi.

Non è allora una questione di ripulitura delle tavole delle stazioni ma capacità di chi organizza una comunità a riprendersi un percorso identitario che è tale perché le persone che vi partecipano lo riconoscono e vi si immedesimano.

La via crucis dei Francescani racconta la bellezza che come la bruttezza non è nella qualità intrinseca delle cose ma nella buona o cattiva relazione tra esse e chi le produce e le usa. Interroghiamoci allora se il miracolo della bellezza sia il make up e l’eterno presente che trasformano in non luogo la città oppure ricreare il senso di identità.

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