Elezioni, la vendetta dei luoghi dimenticati [di Filippo Barbera]

Elia

il manifesto del 17 marzo 2018. Il Pd ha perso le elezioni, ma non ovunque. Da qualche parte si è difeso bene e, anzi, è cresciuto. L’analisi  “strada per strada” della Fondazione ISI mostra che il Pd è diventato il partito più borghese di Milano: cresce in via della Spiga e corso Monforte. Ottimi risultati anche nei quartieri residenziali di Torino, quelli con buone scuole, bio-botteghe e abitazioni di pregio.

In generale, le elaborazioni  di YouTrend consegnano un centrosinistra intorno al 20% dei consensi nelle città fino a 100.000 abitanti, molto più forte nei grandi centri urbani (specie nelle zone centrali) e debole nei piccoli comuni fino a 25.000 abitanti, dove invece si afferma il centrodestra. I 5 Stelle si espandono soprattutto nei comuni di medie dimensioni, da 25 mila a 100 mila abitanti.

Questo scenario, però, è vero solo nel nord del paese e, in parte, in alcune regioni del centro Italia. Al sud i 5 Stelle stravincono ovunque, nei grandi come nei piccoli e medi agglomerati urbani. La struttura territoriale del voto, quella cartina dell’Italia tagliata a metà con un piccolo “cuoricino rosso” in Toscana e in Trentino Alto Adige, è una fotografia della vendetta dei luoghi che non contano.

Questa espressione è il titolo di recente articolo di Andres Rodriguez-Pose, docente di Geografia Economica alla London School of Economics, che sta facendo discutere le élite europee. Sono, questi, i luoghi rurali, le periferie metropolitane, le piccole e medie città senza particolari qualità. Sono tutti quei luoghi lasciati ai margini dello sviluppo economico, concentrato sul potenziale innovativo della creative class delle grandi città cool&trendy. Birmingham e Liverpool versus Londra e Cambridge. Ma anche il Galles rurale pro leave versus Cardiff pro remain.

Nel referendum pro o contro la Brexit, la maggior parte delle grandi città dell’area a Sud Est del paese ha votato remain (Londra, Brighton, Cambridge e Oxford). Altri grandi agglomerati urbani (Birmingham, Hull, Sheffield e Sunderland) – cioè le aree a declino industriale e quelle rurali marginali del Nord e della costa orientale – hanno optato per il leave. La più alta percentuale di voti per il leave si è registrata nel Lincolnshire, area con uno dei più bassi tassi di crescita del pil pro-capite degli ultimi 30 anni.

Una storia simile ce la racconta l’elezione di The Donald. Trump ha sfondato nelle aree dimenticate: è la rust belt (Iowa, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin) ad aver assicurato la vittoria a Donald Trump nelle presidenziali americane del 2016. E la Francia – con Macron salvatore della stabilità europea – non fa eccezione: il sostegno a Marie Le Pen è venuto principalmente dalle città medie e piccole delle aree rurali e della “rust belt francese” (Nord e Nord Est, Champagne-Ardenne, Franca Contea, Lorena Nord-Passo di Calais e Picardie).

In questo scenario, le elezioni italiane confermano l’importanza di interventi di coesione e sviluppo come quelli della Strategia nazionale per le aree interne. I voti di protesta sono fortemente concentrati in quei territori che hanno conosciuto storie di declino economico o dove lo spartiacque tra aree urbane e rurali, così come tra luoghi forti e deboli, è particolarmente accentuato.

Luoghi, questi, dove si concentrano diversi tipi di diseguaglianze che creano fenomeni di deprivazione multipla: diseguaglianze economiche (redditi, patrimoni e ricchezza), diseguaglianze sociali e nell’accesso alle infrastrutture fondamentali della cittadinanza (trasporti, istruzione, servizi), ma anche diseguaglianze di riconoscimento, le più sottili ma non per questo meno importanti. Anzi, forse sono proprio queste ultime le diseguaglianze che – proprio perché cariche di valore simbolico e identitario – hanno acceso la miccia della vendetta dei luoghi che non contano.

Diseguaglianze relative all’indifferenza, se non al rifiuto, da parte dei luoghi che contano e delle élite urbane di forme di vita, modelli culturali, tradizioni locali, senso dell’onore, rispetto e identità collettive non cool&trendy. La vendetta non è tanto spinta dall’abbaglio delle promesse elettorali (siano esse il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle, piuttosto che il protezionismo di Trump), quanto dalla violazione di uno spazio sacro, che presto o tardi non può che generare una reazione uguale e contraria.

Ne ha scritto con profondità e acume David Vance, nel suo racconto autobiografico Elegia americana. Lettura che dovrebbe diventare obbligatoria per una classe dirigente che davvero non voglia lasciare indietro nessuno. Uscito in America nel giugno del 2016, racconta l’infanzia e adolescenza del protagonista in una comunità del Midwest segnata da un declino industriale devastante. A novembre Trump vince le elezioni, facendo man bassa proprio nei luoghi descritti da Vance.

L’inizio del libro toglie il fiato e dice tutto: «Io sono bianco, ma non wasp. Mi identifico con i milioni di operai bianchi discendenti da scozzesi e irlandesi che non sono andati a scuola. Per questa gente la povertà è la tradizione famigliare, i loro antenati erano operai nel Sud schiavista, e poi braccianti, artigiani e operai. Gli americani ci chiamano hillbillyredneck white trash. Io li chiamo vicini, amici, la mia famiglia».

Qui nasce la politica del risentimento, qui prende forma la rabbia di cui si nutre la vendetta dei luoghi dimenticati. Quando questa rabbia è riconosciuta e rappresentata in politiche di riduzione delle diseguaglianze, la sinistra ha qualche speranza di non esserne travolta. Quando ciò non accade, le opzioni sono solo due: o la vittoria delle destre, o la crescita di una politica che va ad occupare lo spazio popolare una volta abitato dalla sinistra.

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