Cucinella: fare architettura è un’azione politica, e a Venezia vedrete la mappa dell’Italia trascurata [di Emanuele Piccardo]

Ottana

Il Giornale dell’Architettura 21 febbraio 2018. Report dalla conferenza stampa di presentazione del Padiglione Italia alla prossima Biennale di Architettura a Venezia, con un’intervista al curatore Mario Cucinella.

ROMA. “Arcipelago Italia. Progetti per il futuro dei territori interni del Paese”, presentato ieri dal curatore Mario Cucinella, dal presidente della Biennale Paolo Baratta, dalla direttrice dell’Arte Architettura Contemporanee e Periferie Urbane del MIBACT Federica Galloni e dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, nasce come rilancio dei territori interstiziali, quelli che sono “il polmone” dell’Italia, mettendo in crisi il concetto di metropoli e aree metropolitane, dimensionalmente inesistenti rispetto a Londra, Berlino, New York. Un viaggio che ricorda quello compiuto dallo scrittore Paolo Rumiz sugli Appennini e citato da Cucinella.

È proprio nelle medie e piccole città marginali che si ha la struttura produttiva italiana. Così, Cucinella e il suo staff hanno lavorato per mappare i luoghi attraverso le architetture contemporanee. Dalla call lanciata hanno risposto 500 progetti e ne sono stati selezionati 65, un termometro dell’architettura italiana. Inoltre sono stati selezionati sei studi di architettura (AM3 Architettura, BDR Bureau, Diverserighe Studio, Gravalos Di Monte Arquitectos, Modus Architects, Solinas Serra Architetti) che hanno lavorato su cinque progetti: Gibellina (Trapani) e il recupero del teatro di Pietro Consagra; la ricostruzione post sisma di Camerino (Macerata); la Casa della salute a Ottana (Nuoro); le foreste casentinesi tra Emilia Romagna e Toscana e il tema della filiera del legno; Matera e gli scali ferroviari di Ferrandina e Grassano sulla questione mobilità lenta e veloce.

 Temi che s’inseriscono nella struttura portante della mostra suddivisa in tre momenti: “Itinerari” racconta il viaggio nell’architettura italiana esito della call; “Futuro” riflette sulle strategie a partire dai dati del Cresme su invecchiamento e spopolamento; “Progetti sperimentali” restituisce le proposte dei cinque casi studio esemplari. Quello che emerge è la convinzione che l’architettura, finalmente, possa essere “usata” per la sua funzione originaria, ovvero risolvere i problemi delle persone attraverso un processo che porta alla qualità senza quella demagogia che spesso ha caratterizzato il Padiglione Italia nelle ultime edizioni veneziane.

Di questi e altri temi abbiamo discusso con Mario Cucinella.

Per la prima volta il Padiglione Italia definisce una visione politica dell’architettura calata nella realtà periferica del paese.

Fare architettura è un’azione politica. Abbiamo voluto raccontare un modo di lavorare e fare architettura con la partecipazione ma non per creare consenso, bensì per intercettare i desideri delle persone. Per raggiungere questo obiettivo bisogna circondarsi di competenze e di gente che conosce il territorio, dall’archeologo al gruppo di fotografi di Urban reports ai quali abbiamo chiesto un’analisi del contesto per informare gli architetti nei luoghi dove lavorano. Questo è un lavoro iniziale per poi parlare di architettura. L’occhio del fotografo è stato un modo per interpretare i territori. Bisogna farla l’architettura, non bisogna solo parlarne…

Qual è stata la reazione delle comunità durante questo “viaggio in Italia”?

Le comunità sono rimaste sorprese che qualcuno le interpellasse per parlare delle loro esigenze. Tutti parlano e nessuno ascolta la gente, così abbiamo lavorato con il gruppo Ascolto Attivo, che da trent’anni fa partecipazione pubblica, chiedendo alla gente che cosa le mancasse. C’è un silenzio tra la politica e la gente che è disarmante. Il mestiere dell’architetto ha un grande valore politico, in cui l’architettura diventa uno strumento importante.

Ad esempio in Sardegna facciamo la Casa della salute e dopo le discussioni con i cittadini viene fuori che al di là della cura delle malattie si vuole stare insieme. Se queste cose non le facciamo noi architetti chi le deve fare? Gli architetti in questo paese non sono considerati abbastanza importanti, invece risolvono i problemi. L’architettura si è espressa finora solo dal punto di vista economico; dato che costruire è comunque un business, ci sono molti modi per farlo e riversarlo in qualità dell’architettura.

Se poi, come dicevo in conferenza stampa, su 12 milioni di edifici residenziali gli architetti ne hanno fatto 1 milione e 300.000 e i restanti li hanno fatti altri, c’è un problema di committenza, di Stato. Non c’è una legge che difende l’architettura, non ci sono concorsi. Negli altri paesi sono quarant’anni che esistono legislazioni in merito.

Qual è la sua visione per il futuro dell’Italia?

Partendo dai dati scientifici, c’è il tema dell’invecchiamento di cui la politica non si è resa conto e non attua azioni sulla demografia; questo è un fatto grave. Se oggi non si fa niente, si fa un enorme danno al futuro. Il fatto che in Italia i giovani siano poco considerati e non siano nel giro del lavoro è un dramma. Spesso vado in Cina e mi confronto con manager che hanno ventotto-trent’anni: questi sono i tuoi interlocutori e accade lo stesso negli Stati Uniti. Se non ci sono opportunità, l’architettura non la puoi fare. In un paese in cui i giovani europei si laureano prima, lavorano subito, e a trentaquattro anni hanno già maturato un’esperienza decennale allora è difficile confrontarsi in una gara internazionale…

A Biennale conclusa, che cosa resterà di “Arcipelago Italia”?

Resterà una visione del futuro. Dire ai ragazzi che l’architetto non è quello che fa i musei e i grattacieli a Hong Kong ma è un lavoro minuto da fare bene ogni giorno. Io volevo traghettare questa idea che l’architettura è un mestiere orizzontale, che risolve un problema, esprime un tempo. Che si tratti di una facciata di una piccola casa o di una ringhiera, quelle qualità sono equivalenti a fare un grande museo, perché il beneficio che offre è lo stesso.

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