Sulla Catalogna si giocano gli equilibri europei [di Nicolò Migheli]

Barcellona

La Nuova Sardegna 27 marzo 2018 Si può essere d’accordo o no sul desiderio di indipendenza dei catalani. Si converrà però che a larghe falcate si sta raggiungendo un punto di non ritorno. Gli osservatori più pessimisti descrivono una situazione di pre-guerra civile. Per fortuna non si è ancora a questo punto, ma la realtà rivela una crisi che per il momento non sembra risolvibile.

È  così quando la politica si assenta e lascia spazio alla magistratura. Oggi in Catalogna vi è una risposta legalitaria da una parte e dall’altra si considera quelle misure la legge di un paese occupante. Sono termini pesanti, me ne rendo conto, ma descrivono bene lo stato d’animo di una opinione pubblica che si sente tradita. Gli ultimi arresti, il fermo in Germania dell’ex presidente Carles Puigdemont, il più votato durante le elezioni del 21 di dicembre, confermano il desiderio di Madrid: distruggere buttandola in galera, ogni leadership indipendentista.

Fa fede l’incarceramento preventivo dei due Jordis, i leader dell’ANC e Omnium Cultural organizzazioni catalaniste, colpevoli di essere saliti su di un auto della Guardia Civil per invitare i loro sostenitori alla calma. Allo stesso modo gli arresti o la fuga all’estero dei politici, gli unici che avrebbero potuto esercitare un ruolo nelle istituzioni catalane perché vincitori delle elezioni.

La Generalitat resta commissariata da Madrid in virtù dell’art. 155 della costituzione. Anche gli indipendentisti hanno commesso errori, hanno ingaggiato un braccio di ferro con Madrid riproponendo per la presidenza dell’esecutivo i loro leader incarcerati, in esilio, o in libertà provvisoria come Turull.

Lo hanno fatto benché fossero consapevoli di non aver nessun appoggio internazionale, contando solo sulla mobilitazione delle opinioni pubbliche. Non è bastato e domenica il colpo basso, l’arresto dell’ex presidente mentre in viaggio dalla Finlandia al Belgio transitava in Germania. Una scelta tutta spagnola, dei loro servizi e della polizia, evitare che quel fermo avvenisse in Danimarca.

Problemi di compatibilità degli ordinamenti penali? Forse, visto che in Germania il codice contempla due articoli sull’alto tradimento, assimilabili alla ribellione di cui sono imputati i catalani.  Però quei due articoli prevedono l’uso della violenza, così come quelli sulla ribellione del codice spagnolo.

Poiché nel “procéss” catalano non si è rotto manco un piatto, è immaginabile che su questo si faranno forza gli avvocati per evitare l’estradizione di Puigdemont e la condanna degli altri in Spagna. Non è l’unico motivo però. I due paesi hanno rapporti stretti, Rajoy e la Merkel oltre che fare parte del P. P. E. hanno un rapporto di amicizia personale, i tedeschi hanno investimenti cospicui in Spagna, a cominciare dalla Volkswagen che ha una fabbrica in Catalogna.

Allo stato delle cose la decisione è in mano ai giudici, e la Merkel ha dichiarato che la soluzione bisognerà trovarla all’interno degli ordinamenti spagnoli. Cambierà tutto se Puigdemont, come si legge, presenterà una richiesta di asilo politico, allora la decisione sarà in mano all’esecutivo tedesco e l’esito potrebbe essere favorevole a Madrid. Ma non è detto.

La crisi catalana è un’ulteriore pietra d’inciampo nella costruzione europea immaginata dalla signora Merkel e da Macron, l’altra è l’incertezza italiana. Il duo franco-tedesco prevvedeva un nucleo duro che avesse perno nei quattro paesi più importanti, specie dopo le chiusure nazionalistiche dell’Europa dell’est e la Brexit.

Disegno che corre il rischio di essere sospeso. Ora non è più l’indipendenza della Catalogna all’ordine del giorno, è la democrazia stessa in una parte dell’Unione. Si può trattare una regione importante come delinquente? Si possono umiliare profondamente oltre due milioni di cittadini catalani ed europei che pacificamente hanno espresso un voto? Su questo si gioca il futuro dell’Unione. La classe politica di cui disponiamo è fatta di tutto, fuorché di statisti che abbiano uno sguardo che vada oltre le contingenze elettorali.

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