Lettera apocrifa ad un giovane sardo [di Franziscu]
Cagliari, 23 settembre 2013. Caro Efis, da tuo fratello Francesco, papa. Caro Efis, scrivo a te, e vorrei parlare a ciascun giovane di Cagliari portando a termine le mie riflessioni su questa domenica trascorsa insieme, prima che ulteriori e nuovissimi problemi richiamino la mia attenzione e le mie fatiche. Ti chiamo Efisio, mi hanno informato che è il nome del vostro santo protettore, anche se, mi dicono, i genitori non lo danno più ai bambini e, nel caso, non lo direbbero nella vostra lingua. Non mi sorprende, questo aspetto della rinuncia alla tradizione e la malintesa preferenza per il nuovo. L’ossessivo entusiasmo per il progresso, iniziato nei Paesi occidentali, finisce di percorrere tutte le plaghe del mondo. Esso ha sollecitato positive aspirazioni alla crescita dell’individuo anche nel mondo economicamente meno sviluppato, ma spesso si è ritorto contro i popoli e le nazioni, contro la loro identità collettiva, di cui quello della fede cattolica rappresenta un aspetto non marginale. Per questo molti paesi, tante città dell’Occidente, non hanno più un nome per i loro cittadini, perfino si vergognano di quello passato, volentieri lo perdono. Il nome invece, secondo quanto leggiamo nelle Scritture, esprime la funzione di un essere nell’universo. Dio porta a termine la creazione dando il nome alle creature, giorno, notte, cielo, terra, mare, designando ciascuno degli astri con il suo nome, o incaricando Adamo di dare un nome ad ognuno degli animali. A loro volta gli uomini daranno volentieri un nome ai luoghi e agli eventi significativi di cui segneranno la propria esistenza. I genitori ti chiamano per nome: esso è voce e canto, consolazione e ammonimento, incitamento e promessa. Incomincia come puro ascolto fra le braccia di nostra madre e ci ritorna nelle orecchie quale mozione d’affetto nelle nostre ultime ore. Mi sono informato su come chiamate il padre nella vostra lingua, Babbài. Mi raccontano che è nome antico, arriva addirittura dalla vostra antichissima civiltà. La preghiera nella vostra lingua, allora, appartiene all’immaginario religioso più profondo delle genti sarde, continuamente rivissuto e investito nella pratica di fede del proprio tempo. Grazie al rito la comunità si ritrova come popolo credente e sfugge al rischio di diventare “pubblico” o peggio di essere “massa”. Il rosario in lingua sarda, quindi, non è una recita arcaica, datata, perché il tempo dell’atto di fede non è cronologico, ciascuna volta trova il suo rinnovamento. Non fraintendermi, non sto rimproverando i tuoi genitori, parlare del tuo nome armonioso mi serve da spia per capire e mi offre l’occasione per le osservazioni che mi sono sorte nella mente mentre mi informavo sulle caratteristiche del popolo e della terra che mi accingevo a visitare. Ne ho già parlato: la venuta a Cagliari rimanda ad un moto di affetto alla mia città ed alla vostra Madonna. Il mio caro amico mons. Angelo Becciu, conoscendolo, l’ha gentilmente sollecitato, questo sentimento, e ben volentieri inizio le mie visite in Italia da un popolo che tanto ricorda il mio, persino in alcuni dati fisici. Voi sardi siete il popolo più meridionale d’Europa, affacciandovi nel Mediterraneo al Continente africano dove la Chiesa vive già la scommessa sul proprio futuro. E in quel Continente che la Chiesa cattolica verrà giudicata sulla reale vicinanza ai poveri e sulla permanente capacità di annunciare la buona novella. Anche voi sardi siete un concentrato di possibilità e di speranza. L’Occidente sta rinunciando a Cristo ed alla sua civiltà, nuovi continenti invece gli si stanno facendo più vicini. Nuovamente noi, discepoli di Gesù, riprendiamo e continuiamo il viaggio per annunciare la realtà della sua venuta e la nostra certezza del suo ritorno. Di questo voglio parlarti, caro giovane sardo e amatissimi fratelli che percorrete nella bella isola di Sardegna la vostra esistenza verso il Cristo che ci salva.
Siete una terra e un popolo di confine! Potrete ritrarvi o passarlo, questo limite, con le innumerevoli possibilità che la storia vi offre. La Chiesa è con voi per/verso quello che vorrete osare. E il versante secolare della fede in Cristo, Lui che ci attende innanzi nel percorso della individuale e collettiva storia di salvezza. Non perdete il vostro coraggio e la fede nelle risorse del vostro popolo, quelle che le hanno fatte arrivare fino ad ora nonostante le traversie della storia. Costruite la vostra prosperità attraverso ciò che il Creatore vi ha donato e che nessuno ha il diritto di sottrarvi o di valorizzare al vostro posto.
Siete la speranza del mondo, anche voi giovani di Sardegna! Siate positivi, rifiutate l’inconcludenza delle lamentele, sperimentate senza paura di sbagliare, collaborate gioendo delle comuni fortune. Non abbiate paura di navigare verso l’ignoto dove lo Spirito provvede ad aiutarvi quando cadrete, a consolarvi quando soffrirete e a stimolarvi quando stanchezza e amarezza vorrebbero farvi smettere.
Siete l’amore del creato, voi giovani, figli miei, cui per primi spetta il compito di salvare le creature dai danni che l’amore per il danaro, l’egoismo e la follia degli uomini quotidianamente rovinano. Leggo negli importanti atti del Concilio Plenario Sardo del desiderio della Chiesa di Dio che sta in Sardegna di crescere nel coraggio e nella capacità di incidere su certe strutture di peccato ((4, §3), esterni ed interni al nostro mondo. Lo so, i limiti umani accompagnano anche gli uomini e le situazioni della mia Chiesa. Per questo avrei bisogno che taluni tra di voi, giovani tra i migliori, si dessero disponibili a venire con me e con gli altri vescovi a portare per il mondo la buona novella del vangelo. Lo sottolineo: non ho bisogno di preti/religiosi per tenere aperti i meravigliosi monumenti del passato che, costruiti con le ricchezze della gente, è bene che ad essa ritornino. Non è più urgente invitarvi a dedicare la vostra vita a tenere aggiornati i registri dei sacramenti. Ho bisogno di gente amante del viaggio, che si muova con la sola bisaccia ed i calzari. Gesù Cristo domanda giovani innamorati, disposti a vivere con passione la spinta a comunicare ciò che loro per primi hanno scoperto. Sono sicuro che al Signore basterebbero anche pochi che si dedichino totalmente al suo messaggio.
Tutti voi, giovani cristiani, siete però impegnati a vivere con gioia il percorso della luce portata da Cristo Gesù nel mondo. Crescete, moltiplicatevi, possedete la terra, ad iniziare dalla vostra. Difendete la terra che i vostri padri, già in tempo antico, hanno nominato e vi hanno lasciato, per lasciarla anche voi migliorata ai vostri figli. Traetene prosperità per voi e per chi è bene che accogliate. La crisi che vivete volgetela al bene, quale occasione per costruire una Sardegna dove luomo e la donna vengano prima del dio danaro, dove al lavoratore venga restituita la dignità e dove lemarginato venga seguito ed aiutato senza che provi vergogna.
Un’ultima osservazione, e non vi sembri strana. Ascoltando le parole del giovane pastore e salutando il pescatore dai piedi scalzi sono riandato ai due mestieri più apprezzati nelle parole di Gesù. E per un attimo mi son soffermato sull’idea che nessuno tra i tanti confratelli che nel tempo sono andati a fare i preti-operai, nessuno sia stato pastore o pescatore. Lo sottolineavano per voi anche le parole del pastore barbaricino. Una sorpresa, le cui motivazioni, esplorate, potrebbero risultare mutuamente utili. Chissà se ne riparleremo.
Vorrei dirvi tante cose, sono stato veramente bene con voi nella vostra città in questa splendida giornata di settembre, in questa domenica che veramente è stata per tutti il giorno del Signore! Altre cure e altri fratelli mi attendono. Voi rappresentate la prima città italiana, dopo Roma, che visito nel mio nuovo ministero. Avete accolto molto generosamente questo Papa neofita ed in prova. A qualcuno della vostra città sarà forse dispiaciuto il disturbo che la mia visita potrà avere arrecato. Arriverà, di certo, il tempo quando un Papa potrà spostarsi nel mondo senza le innumerevoli complicazioni che talora tediano gli altri quanto lui stesso.
Vi porterò nel cuore, miei fratelli sardi carissimi. Continuiamo a volerci bene pregando il Signore gli uni per gli altri.
Vi saluto. Abarrai cun Deus: in nomini de su Babu, su Fillu e de s’Ispiritu Santu, Amen. |