La pedagogia della memoria [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 15 maggio 2018. La città in pillole. Chissà se anche il 28 aprile 2018 diventerà una data da commemorare. L’enfasi che assumono le faccende della Sardegna faranno dire che per la prima volta si è celebrata una Messa in lingua sarda nel giorno che ricorda eventi che molti sardi ignorano.

La pedanteria della precisione suggerisce che non è la prima volta e che comunque ha riguardato  solo parte del rito. Mette conto sottolineare che di rilevante c’è stato che il celebrante, monsignor Becciu, ha praticato una sottile quanto potente azione di pedagogia della memoria.

La sua predica infatti, scritta in logudorese e letta con un’irriducibile fonè pattadese, è stata dirompente. Proprio perchè in quella parlata in cui si è stratificata la densità evocativa, come hanno osservato Michelangelo Pira e di recente Gianfranco Porcu, derivata dalla secolare presenza a Pattada di poeti che hanno inerito nei linguaggi della relazione, imprimendovi un’indelebile impronta.

Don Angelino ha dato alla trama simbolica e referenziata delle parole, tradotte da Angelo Carboni, un senso pubblico e dunque politico.  La materia della scrittura rivela d’altronde  una tradizione che è della predica; nel cristianesimo la forma più antica di didattica, in cui il significante può mutare per meglio veicolare il significato.

Un genere che nell’alto medioevo, una volta che gli strati popolari non capirono più il latino, utilizzò i volgari regionali ormai capaci della stessa complessità della lingua dei chierici. Nel IX secolo la rinascenza carolingia la pose a base dell’acculturazione di massa inventando persino una nuova scrittura.

Cagliari e la Sardegna non ne furono escluse se all’alba dell’anno mille sono persino trilingui: sardofone, grecofone, latinofone, e con scriptoria di prestigio. Dove altrimenti sono state elaborate le straordinarie  Carte volgari in caratteri greci che non smettono di stupire?

Ma la predica di monsignor Becciu ha richiamato all’attenzione anche Ilario e Simmaco, papi il primo tra 461 e 468 e il secondo tra 498 e 514, quando la Sardegna era governata dai Vandali. Non un’operazione di memorialismo religioso ma richiamo alle misconosciute genealogie di appartenenza.

Se condividiamo con Martin Heidegger che «il linguaggio è la dimora dell’essere», a maggior ragione la storia non può essere ridotta a retorica.

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