Truffatore da due soldi, ma simpatico [di Dario Jucker]
Il Giornale dell’Arte numero 368. Maggio 2018. Il rappresentante della Fondazione Albers ripercorre le vicende del falsario Giuseppe Tonelli. Il 15 aprile del 2015 è morto a Verona Giuseppe Tonelli, un noto falsario che nel corso della vita è riuscito a immettere nel mercato dell’arte numerose contraffazioni. Ha operato negli Stati Uniti, in Francia e nell’ultima parte della sua vita in Italia. Aveva costruito un’efficiente rete di distribuzione per piazzare nel mercato diversi dipinti falsi, tra i quali opere di Roy Lichtenstein, René Magritte, Franz Kline e Josef Albers. Già in giovane età il falsario, dopo aver sposato in prime nozze la figlia di un produttore cinematografico di Hollywood, aveva venduto nell’entourage del cinema alcune copie false di quadri dei maggiori maestri del Novecento. Scoperto, fu costretto a fuggire all’estero dove è stato a lungo inseguito dall’Fbi. La sua vita è stata un’avventura degna di un romanzo, tra periodi di latitanza, relazioni sentimentali e apparizioni sulla scena dell’arte in diversi Paesi, sebbene raramente in prima persona. Io rappresento la Fondazione americana Josef e Anni Albers e mi sono imbattuto in Giuseppe Tonelli in occasione di una giornata in cui il direttore della Fondazione, Nicholas Fox Weber, esaminava diverse opere per l’autenticazione. Il falsario manovrava la scena dalle retrovie, dipingendo le contraffazioni e immettendole nel mercato tramite diversi complici, alcuni dei quali erano nomi insospettabili della borghesia italiana. La sua vicenda terrena è terminata, essendo deceduto nello stesso periodo in cui stavano per iniziare diversi procedimenti penali a suo carico. Giuseppe Tonelli operava con fidati complici con cui aveva creato una rete di vendita a livello europeo, tra i quali Renato Perilli, un membro della borghesia bene veronese, il cui padre aveva collezionato diversi Albers. Il 14 dicembre 2017 il Tribunale penale di Milano ha condannato in giudizio abbreviato il complice Perilli alla pena di 1 anno e 8 mesi di reclusione per il reato di cui alla lettera b) dell’art. 179 del Codice dei beni culturali, ovvero per aver posto in commercio diverse contraffazioni realizzate dal falsario. Per gli altri soggetti coinvolti è pendente il processo. La Fondazione Josef e Anni Albers, costituita parte civile nel processo, ha ottenuto il risarcimento dei danni e il rimborso delle spese legali. Nelle motivazioni della sentenza sono state evidenziate l’entità e il valore delle opere contraffatte (diverse centinaia di migliaia di euro), il carattere insidioso dei falsi (astutamente confezionati e in grado di trarre in inganno anche un esperto collezionista), le modalità professionali, organizzate e reiterate della falsificazione e commercializzazione dei falsi (avendo l’imputato agito con più complici e ottenuto dai depositari delle opere originali particolari e elementi utili per la contraffazione) e il marcato fine di lucro perseguito. Renato Perilli si recava nella galleria nella quale vi erano i dipinti originali dell’artista, spendendo il suo buon nome e fingendosi interessato all’acquisto. La galleria gli consegnava le immagini del fronte e del retro dell’opera ad alta risoluzione e i dati di archiviazione della fondazione; a distanza di pochi giorni la contraffazione era confezionata, pronta per essere proposta nel mercato. Dalle etichette delle gallerie, ai residui di colla, dai nomi delle ditte di trasporto ai diversi appunti che l’artista era solito annotare sul retro del quadro: tutto veniva astutamente contraffatto. Solo un occhio molto esperto, che ha analizzato negli anni migliaia di quadri dello stesso autore, poteva accorgersene. A volte il colpo aveva successo e i complici, tra i quali vi era anche un ricettatore di Bruxelles, si spartivano i profitti per centinaia di migliaia di euro. Altre volte, per esempio dopo che la Fondazione Albers si era attivata sulle tracce dei falsari, la banda ritirava immediatamente dal mercato i dipinti, che immancabilmente comparivano altrove, proposti per una nuova vendita. Giuseppe Tonelli era ben noto al Nucleo Tutela Patrimonio Artistico di Monza per il suo coinvolgimento in diversi procedimenti. Una delle parti coinvolte nella vicenda lo ha definito «un uomo simpatico, ma anche un bell’impostore […], mi inviava dei quadri che presentavo alle aste; io raccomandavo sempre alle case d’asta di verificare l’autenticità delle opere […]; conoscevo il personaggio […], penso che sia un truffatore da due soldi, ma è un tipo simpatico. La definizione stessa dell’impostore […], un pittore». Questa vicenda mi ha permesso di riallacciarmi al recente dibattito sull’operato delle fondazioni di artisti e sulle contraffazioni apparso su «Il Giornale dell’Arte», nel quale si è discusso delle modalità di archiviazione delle opere e del rilascio delle autentiche. L’operato delle fondazioni o archivi di artista è infatti oggi sotto lo scrutinio di tutti: grazie alle vicende giudiziarie emergono condotte che una volta rimanevano confidenziali. Poiché vi sono fondazioni che operano professionalmente e altre che antepongono gli interessi privati a quelli della corretta archiviazione delle opere, non è possibile fare una generalizzazione. Personalmente consiglio di rivolgersi a fondazioni e archivi che collaborano con storici dell’arte che hanno esaminato dal vivo almeno diverse centinaia di opere dell’artista, che conoscono approfonditamente i materiali utilizzati dallo stesso e che dimostrano una condotta ineccepibile e coerente nel rilasciare autentiche. Indirizzo chi mi chiede un consiglio sulle autentiche a storici dell’arte che non abbiano interessi economici nella vicenda: questa è la migliore garanzia per l’emissione di un parere. Purtroppo non sempre è possibile: soprattutto quando si tratta di una vendita, le regole del mercato ci obbligano a districarci tra monopoli, conflitti di interessi e scarsa trasparenza. |