La risata e lo sgomento [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 29 maggio 2018. La città in pillole. Chissà se fu davvero Michail Bakunin a pronunciare “sarà una risata che vi seppellirà”. Espressione liberatoria specie in quei momenti autocefali, riassumibili da un’altra frase, “adesso tocca a noi”, minacciosa quanto escludente. Da secoli la democrazia ha infatti il suo massimo esercizio nel riconoscere complessità e pluralità e nell’agire inclusione e mediazione. Uno dei testi più antichi che ne determina e ne àncora l’esercizio alla civitas, ovvero all’insieme delle persone, e al locus, alle sue caratteristiche, al suo uso, è la Legge delle XII Tavole, bibbia del diritto romano, redatta nel V sec. a. C.. Uno storico sardo, Ettore Pais, la considerò fonte del diritto e sintesi di un sostrato normativo che risaliva molto indietro nel tempo. Ad un altro studioso sardo, Oliviero Diliberto, si deve la definitiva conferma della continuità di molte di quelle norme nel Corpus giuridico che Giustiniano redasse una volta al potere. La percezione del territorio che si registra in Sardegna non è dunque un’ossessione etnocentrica o estetica quanto una strutturata invarianza che ha radici in codici di solide tradizioni. Non a caso la stessa Carta de Logu esplicita nel titolo la sintesi del sentire profondo della comunità regionale che si materializza persino in nomi di luoghi e destinazioni d’uso, oscuri solo a chi è afflitto dalla perdita di riferimenti. E’ esemplare a Cagliari il complesso di San Francesco di Stampace. Nell’atto di acquisto dei Francescani, al tramonto del XIII secolo, di un lotto per costruirvi chiesa e convento sono insistiti fondamenti topografici le vie pubbliche, tuttora persistenti, che perimetravano il lotto e la prossimità alla chiesa di San Nicola in capitolio, tra Via Sassari e Piazza del Carmine, abbattuta nel secondo Ottocento. Le strade ed il campidoglio sono elementi decisivi ed invarianti nella forma urbis dal primo periodo romano, la cui vicenda, nella storia urbana, oltrepassa la fine del mondo antico. Il siparietto della compagnia Lapola tra Sant’Efisio e Sant’Elia sul nome dello stadio, è un capolavoro sulla tragedia dello stravolgimento dei luoghi, fuori da ogni opportuna pianificazione. Le irrefrenabili risate che gli artisti suscitano sono liberatorie ma non diminuiscono lo sgomento per la perdita di senso di luoghi significativi.
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