Chi tocca l’euro muore? [di Guido Salerno Aletta]
Milano Finanza, 28 maggio 2018. La crisi nella crisi, apertasi la sera di domenica 27 al Quirinale, avrà conseguenze politiche ed istituzionali assai complesse, rischiando di tracimare sul versante istituzionale. Mai prima d’ora, infatti, nella storia della Repubblica era accaduto che un Presidente del Consiglio incaricato della formazione del nuovo governo rimettesse il mandato ricevuto per la mancata accettazione da parte del Presidente della Repubblica della proposta di nominare un Ministro. I precedenti cui si attinge, quelli delle mancate nomine a Ministri della Giustizia dell’avv. Cesare Previti da parte del Presidente Scalfaro e del procuratore Nicola Gratteri da parte del Presidente Napolitano, erano state ricostruite dalla stampa per ragioni oggettive: il primo era avvocato difensore, in processi in corso, del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi; il secondo ricopriva un incarico di Magistrato inquirente: nell’un caso e nell’altro, c’erano cause di incompatibilità funzionale. E’ capitato assai spesso, invece, che un Presidente incaricato della formazione del nuovo governo non sia riuscito nell’intento per ragioni riferibili alla impossibilità di trovare un accordo politico sul programma, ovvero di comporre una compagine di ministri che gli consentisse di avere la fiducia da parte di entrambe le Camere, come prevede la Costituzione. La accettazione dell’incarico avviene apponendo ritualmente la riserva, al fine di verificare se in concreto si possa realizzare l’auspicio di formare il nuovo governo. E, per la verità, nel caso dell’incarico conferito a Giuseppe Conte, questo duplice passaggio politico era avvenuto con successo, come ha riconosciuto lo stesso Presidente della Repubblica di fronte alla stampa, convenuta al Quirinale per apprendere in diretta l’esito dell’incontro. La marea di critiche strumentali era montata già nella fase di elaborazione del programma di governo e della individuazione della squadra dei Ministri, svoltasi prima della formale individuazione di un Presidente incaricato. Le critiche riguardavano lo spossessamento del ruolo del Presidente del Consiglio, cui spetta per Costituzione il potere di proporre al Presidente della Repubblica i nomi dei Ministri da nominare e di dirigere il Governo. Polemiche che però trascuravano che, se è ben vero che secondo Costituzione il Presidente del Consiglio “dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”, ai partiti spetta di “concorrere alla determinazione della politica nazionale”. C’è un altro principio, questo sì fondamentale: “il Governo deve avere la fiducia delle due Camere”. E’ su questa affermazione che si fonda la forma di governo parlamentare. Se, dunque, il governo nel suo complesso ed i singoli ministri sono soggetti all’impulso e alla direzione del Presidente del Consiglio, che ne ha la responsabilità, il Governo intero ed i ministri singolarmente devono ottenere e mantenere per tutta la durata del loro incarico la fiducia del Parlamento , che può in ogni momento ritirarla. La pietra di inciampo sulla strada percorsa al fine di formare il nuovo governo è stata rappresentata dal nome di Paolo Savona e dalle sue idee: il fatto che circolasse con insistenza il suo nome come candidato a ricoprire il ruolo di Ministro dell’economia era già stato valutato negativamente dai mercati. Secondo Mattarella, infatti, “l’incertezza sulla nostra posizione nell’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali. Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane. Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende. In tanti ricordiamo quando, prima dell’Unione Monetaria Europea, gli interessi bancari sfioravano il 20 per cento. È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri, che mi affida la Costituzione, essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani. In questo modo, si riafferma, concretamente, la sovranità italiana”. Il rifiuto di nominare Savona implica allora che solo chi non ha mai criticato l’euro, o fa abiura formale, possa essere nominato al Ministero dell’economia? Se è vero che nei giorni scorsi c’è stato l’innalzamento dello spread dei Bpt ed un calo di Borsa, è altrettanto vero che picchi inusitati furono raggiunti anche nel corso dell’estate del 2012, nonostante ci fosse al governo Mario Monti che aveva adottato misure fiscali draconiane, e che solo la minaccia di intervento da parte di Mario Draghi, pronunciata a Londra, aveva placato la bufera. I mercati temono solo chi ha il potere di domarli, la Bce, mentre gli Stati ne sono proni. Contrariamente a quanto si è voluto far credere, anche in questi ultimi anni tutto l’impegno intellettuale e professionale di Savona è stato indirizzato alla tutela del risparmio, al migliore esercizio del credito ed all’abbattimento del debito pubblico. Si è voluto far passare per un pericoloso sovversivo dei mercati uno dei più arcigni tutori della stabilità monetaria e finanziaria, della correttezza nell’esercizio del credito e della necessità di una severa Vigilanza bancaria. Le sue idee confliggerebbero addirittura con la tutela del risparmio, protetto dalla Costituzione in ogni sua forma. Coloro che in nome della superiorità del mercato hanno accettato supinamente in questi anni la direttiva europea sul bail-in ed il divieto di aiuti di Stato alle banche, determinando una inusitata penalizzazione dei risparmiatori, ora si ergono a giudici. Quali scenari si aprono ora? C’è chi prospetta la presentazione di una risoluzione che chieda le dimissioni del Presidente della Repubblica: la sua irresponsabilità per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, prevista dall’articolo 90 della Costituzione, configura unicamente la impossibilità di muovergli, anche dopo la cessazione dalla carica, l’accusa per una qualsiasi altra violazione di norme di diritto civile, penale, amministrativo o contabile. Ma il Parlamento è sempre libero di valutare politicamente le iniziative del Presidente: può archiviare senza neppure un dibattito un suo messaggio formale alle Camere, così come può superare il rinvio di una legge approvandola nuovamente. In seconda istanza, potrebbe essere sollevato un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato: ad azionare il ricorso dovrebbe essere lo stesso presidente incaricato di formare il governo, leso nelle sue funzioni dal veto presidenziale. Sullo sfondo, rimane la messa in stato di accusa per attentato alla Costituzione. E’ stato convocato al Quirinale un tecnico, Carlo Cottarelli, che per lunghi anni ha prestato servizio al Fmi. E’ verosimile che l’incarico di formare un governo, che gli verrà affidato, non trovi il riscontro positivo nel corso delle conseguenti consultazioni, in una qualsivoglia maggioranza parlamentare. Se così dovesse accadere, e ciononostante Cottarelli fosse invitato a presentarsi alle Camere, si arriverebbe al paradosso di avere un governo dimezzato, senza né maggioranza né fiducia del Parlamento, con l’incarico di gestire un pur limitato programma di attività in vista delle elezioni, piuttosto che un governo nel pieno delle sue funzioni. Un tale governo non potrebbe legittimamente assumere nessuna decisione rilevante, tanto meno procedere alle centinaia di nomine pubbliche in scadenza nei prossimi mesi. Forse è vero anche questo: il potere vero, quello degli apparati, era a rischio di sommovimenti incontrollabili. Ma basterà una legge, anche di un solo articolo, se questo governo ardisse procedere comunque, per congelarle fino a che non ci sarà un governo nel pieno dei suoi poteri, legittimato dal voto di fiducia del Parlamento. Si è inferto un vulnus profondo alla forma di Stato: per la nomina a Ministro è richiesto un preliminare giuramento di fedeltà all’euro. Il giuramento nei confronti della Costituzione è solo una stantia formalità del cerimoniale di Corte.
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