La storia ridotta a chiacchiera e spreco [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 12 giugno 2018. La città in pillole. Era il 1854 quando G. Spano pubblicò “Memoria sopra i  nuraghi di Sardegna” che, ”accresciuta e corredata di una Nuova Carta Nuragografica”, rieditò nel 1867 con l’intendimento di “spargere nuova e sicura luce sopra questi giganteschi avanzi”.

La sua statura archeologica era all’apice. Strutturatasi negli anni romani e sul campo in Sardegna, trovò vasto riconoscimento nelle frequentazioni cagliaritane tra cui emergono Lodovico Baille, Alberto Della Marmora, e Carlo Decandia, autore del primo Catasto dell’isola.

Nonostante l’evidenza dei reperti che il sottosuolo restituiva, l’intellettualità sarda, compreso Spano, subì il fascino di uno storytelling mitopoietico che polarizza il “passato assoluto” nei periodi nuragico e giudicale. Le falsificazioni ottocentesche di cui furono oggetto i momenti “sovranisti” dell’isola, sempre sbrigativamente liquidate, devono essere riconsiderate a partire dal disagio che pezzi di classe dirigente sarda manifestano nell’autoriconoscersi e nella relazione con l’altro da se.

Spano, come altri, è pertanto personaggio che bisogna liberare da luoghi comuni, minorità e marginalità  con cui molta storiografia ha considerato periodi e personaggi. Se ne coglie l’urgenza nello scavo di Luciano Carta nella copiosa corrispondenza dello studioso, finalmente riproposto come intellettuale complesso, di formazione urbana, a tratti fuori dalla norma e quasi stravagante.

Così poco conformista da rigettare, nella monografia sui nuraghi, le teorie di Della Marmora sul loro uso. Li interpreta come abitazioni/insediamenti dal profilo urbano, connettendoli con l’origine delle città del levante mediterraneo, e ne ricostruisce la geografia in relazione ai tracciati viari, palinsesto di quelli successivi.

La visione tutt’altro che vernacolare e nella traiettoria pedagogica la ritroviamo nitida in “Cagliari. Fragili immagini”, nelle foto relative ad un capolavoro di didattica museale che è il modello in sughero di un  nuraghe monotorre.Campeggiava nel Museo di Palazzo Vivanet e in quello allestito, successivamente, da Antonio Taramelli in Piazza Indipendenza.

Esemplari rispetto all’attuale marketing su nuraghi e giganti, perché quando la grande storia finisce nelle mani di incompetenti e della piccola burocrazia non può che diventare chiacchiera e spreco.

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