Ma Berlusconi dove guardava? Dieci anni fa il Governo italiano restituiva a Gheddafi la splendida Afrodite di Cirene [di Flaminio Gualdoni]

Venere_di_Cirene

Il Giornale dell’Arte numero 387, giugno 2018. Sta per giungere a compimento un decennale, meno importante di altri, certo, ma che continua a fare una gran rabbia. Il 30 agosto 2008 l’allora presidente del consiglio Berlusconi restituiva in una cerimonia ufficiale a Gheddafi, leader della Gran Jamāhīriyya Araba Libica Popolare Socialista ovvero, fuori dalle denominazioni un po’ trombonesche, della Libia, l’Afrodite di Cirene, capolavoro della scultura antica che da quasi un secolo se ne stava buona buona, e soprattutto bella bella, al Museo Nazionale Romano.

Era un atto diplomatico, ci venne raccontato, che oltre a sanare le annose questioni tra l’ex colonia e l’Italia (la Libia aveva molto da rivendicare, e ci mancherebbe; quanto ai beni confiscati agli italiani espulsi dal medesimo Gheddafi nel 1970 bastò non farne neanche una parola, e tutto si risolse in gloria) avrebbe consentito di por fine al flusso dei migranti che partivano da là per qua («Uniti sull’immigrazione», titolava tronfio il «Corrierone», e il Bossi governativo postillava: «Va bene l’accordo con la Libia perché la Libia fermerà gli immigrati clandestini invece di mandarli qui»): per dire della lungimiranza dei nostri politici e affini.

Tre anni dopo il dittatore libico non c’era più, ché in un empito di esportazione coatta della democrazia il trio delle meraviglie Francia, Usa e Regno Unito lo mandò a gambe all’aria innescando un casino senza fine e, nelle sue pieghe, la scomparsa al mondo, si può solo sperare non definitiva, della medesima Afrodite, che pare sia parcheggiata in un museino che sembra una vecchia palestra in un luogo da cui i turisti si tengono alla larga. Anche Silvio venne fatto fuori nello stesso 2011, ma dallo spread, e questa è un’altra storia. È stato un giro grosso di diplomazie, insomma, in cui della scultura in quanto tale non è fregato rigorosamente niente a nessuno, come è tradizione.

L’Afrodite è una meraviglia. Era saltata fuori dalla terra a Cirene dalle parti delle terme di Traiano nel 1913, primo frutto della grande archeologia italiana che colà ha restituito al mondo, per dire, robe come Leptis Magna, Sabratha, Tolemaide. È un’anadyomene, ovvero Afrodite che si strizza i capelli dopo essere nata dal mare, ed è una replica del 130 circa dopo Cristo di un modello celebre, discendente dalla leggendaria pittura che Apelle dipinse per Alessandro Magno e che, si narra, Cesare volle con sé a Roma.

È una figura-chiave della nostra coscienza storico-artistica, molto più della sorella, l’Afrodite di Leptis Magna di cui Italo Balbo fece un grazioso dono personale al gerarca nazista Hermann Göring (si sa, tra aviatori c’è una certa qual complicità artistica) e che era stata inghiottita dalla Germania Est: senza squilli di tromba un altro presidente del consiglio nostrano, D’Alema, la restituì alla Libia nel 1999. Questa in realtà l’avevamo vista poco o niente. Quella, invece, è un paradigma.

L’Afrodite di Cirene ha infatti una caratteristica straordinaria, a parte tutte le qualità su cui un esperto potrebbe imbastire senza sforzo un pippone di ore. La notò sin da subito Lucio Mariani, il primo archeologo che ebbe agio di esaminarla appena giunta in Italia: «Ancora maggiore è la bellezza dei glutei che mostrano tutta la severità di forma delle statue classiche e non dell’Ellenismo o decadenti o modernizzate dai copisti», scrisse, aggiungendo che era roba da far impallidire la mitica Callipige, ovvero quella «dal bel didietro» del museo di Napoli, e l’affine Afrodite Landolina di Siracusa, che sono della stessa epoca.

A parte che non mi è mai stato proprio chiaro come siano, per stare alle parole dell’illustre archeologo, delle chiappe «decadenti», la controprova l’avevo dalla mia esperienza giovanile di frequentante non troppo serioso dell’istituto di archeologia: più e più volte tra studenti con l’ormone a palla abbiamo indetto referendum per stabilire quale fosse il miglior didietro dell’antichità, e la Cirene sbaragliava sempre la concorrenza. Evidentemente di questa cosa Silvio non l’avevano avvertito, altrimenti mi sa che un po’ si sarebbe affezionato anche lui.

Tornando alla storia, va detto che noi italiani eravamo i colonialisti e loro la colonia, che l’Afrodite era a tutti gli effetti roba loro e che siamo stati noi stessi a farne un simbolo dell’invasione, rendendola protagonista addirittura di francobolli celebrativi.

Gheddafi l’aveva chiesta indietro già nel 1989 a Gianni De Michelis quando era ministro e dal 2002 erano in corso un sacco di manovre per fare in modo di ridarla al gran puzzone libico con la fiera opposizione della sola benemerita Italia Nostra, che provò a trattenerla usando tutte le argomentazioni possibili (e oltretutto aveva un’avvocata dal nome adattissimo alla bisogna, Maria Athena), ma venne sconfitta sul piano giuridico. Il buon senso purtroppo non è materia da aule di tribunale.

Quel 30 agosto 2008 l’Afrodite di Cirene era là, campeggiante tra Berlusconi e Gheddafi, inutile meravigliosa figurina in un teatro di fantasmi e diventata purtroppo, essa stessa, fantasma. Sic transit, eccetera.

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