Architetture interrotte (VI) [di Franco Masala]

sacripanti esterno VI

Il 2 settembre 2018 saranno venticinque anni dall’inaugurazione del Teatro Lirico di Cagliari, inizialmente (e giustamente) denominato Nuovo Teatro Civico in quanto riproposizione, in altro luogo e in altra veste, del teatro ottocentesco di Gaetano Cima (1836) situato in Castello e distrutto dalle bombe angloamericane del febbraio 1943.

Era la conseguenza del concorso nazionale bandito dal Comune nel 1964 che ne prevedeva la realizzazione in un’area marginale al centro storico, vicino all’istituto agrario. Furono presentati trentaquattro elaborati, con soluzioni eterogenee compresa una ormai improponibile sala con i palchi nei vari ordini.

Tra questi fu scelto il progetto degli architetti bergamaschi Luciano Galmozzi, Pierfrancesco Ginoulhiac e Teresa Ginoulhiac Arslan, per un edificio tradizionale derivato dalla cultura architettonica teatrale del momento, legata soprattutto alla ricostruzione tedesca: un teatro con platea e due gallerie, definito da un volume in cemento a vista e sormontato da una copertura in lamiera di rame brunito, con gli accessi che si disponevano in funzione della topografia articolata del luogo.

Dopo vicende complesse e dispendiose rispetto al costo iniziale, il teatro fu realizzato dall’Ufficio tecnico del Comune con diverse varianti fino all’apertura avvenuta finalmente nel 1993 a cinquant’anni dalla distruzione.

In realtà l’esito del concorso non fu indolore poiché escluse, relegandolo al secondo posto, il progetto di Maurizio Sacripanti che presentava motivi di ben altro interesse: una sala polivalente realizzata con elementi prismatici mobili, atti a cambiare pavimento e soffitto a seconda delle esigenze di spettacolo.

Nel giro di venti minuti i pistoni recanti poltrone amovibili potevano mutare l’assetto della sala con una corsa verticale comandata da schede perforate, superando con evidenza la frattura tra la “clausura” del palcoscenico e lo spazio per gli spettatori, e reiventando di volta in volta il tutto quale “ambiente per congressi, riunioni sportive, rappresentazioni di massa,  e ancora come serie di aule per attività multiple anche sincrone, come mostre, mercati, festivals, assise politiche” (“L’architettura”, 1966, 123).

Insomma una “macchina” da inserire nella “vita associata come interprete puntuale e duttile di numerose sue funzioni”, che lo stesso Sacripanti riprese nel concorso per il teatro di Forlì (1976) e che anticipava in nuce il “giocattolo” meccanico che Renzo Piano e Richard Rogers avrebbero realizzato anni dopo nel Centre National Georges Pompidou di Parigi.

Un edificio che avrebbe posto Cagliari all’avanguardia con un teatro “totale” che ancora oggi è un punto di riferimento dell’architettura contemporanea e che, invece, fu causa di polemiche aspre tra il sindaco Brotzu e il progettista sulle pagine di stampa quotidiana circa il versante ”economia” del nuovo edificio. Ciò che per una città piccola come Cagliari avrebbe consentito l’utilizzo non per pochi mesi all’anno ma entro un periodo ben ampio grazie alla sua versatilità.

E non mancò di biasimare l’esito discutibile del concorso Bruno Zevi che nelle sue Cronache d’architettura de L’Espresso affermò che “non si era mai sentito dire prima che il veto di un ispettore dei Vigili del Fuoco fosse determinante in un concorso di architettura. E’ quanto pare sia accaduto per il nuovo teatro lirico di Cagliari” (1965).

Insomma, l’ennesima occasione mancata. Così che Cagliari ha di un Sacripanti ancor giovane soltanto le case INA di via Is Mirrionis con la caratteristica apertura “a farfalla” dei corpi di fabbrica ad ali simmetriche (1953-56).

*http://www.fondosacripanti.org/

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