Pattada, la pedagogia di una comunità-mito [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione sarda 27 giugno 2018. Inserto: L’isola in Festa 2018 – Becciu Cardinale. Un paese che nasce da mediazioni e sintesi di contrasti. “Non immaginavamo che da quella pietra noi/saremmo fuggiti come uccelli e che ora non è più/ possibile sostare dove andavamo a sognare a sentire / l’ebbrezza del maestrale sopportato volentieri che/poteva allentare timidezze nuovi slanci del volo de / criaturas joghende a pius ki si podiat aguantare, e / nelle interruzioni trovare aria e ariavo…/ lì ho ricevuto vento…”. Protagonista Pattada, autore Alberto Masala anello di una densa genealogica la cui cifra, esistenziale e culturale, consiste in quel nucleo fondante che è l’irriducibile pratica poetica, radicata a Pattada, e che è andata strutturandosi in una pedagogia di comunità. Tanto più evidente dopo il denso lavoro filologico di Giancarlo Porcu su Pisurzi, con prefazione di Paolo Cherchi, presentato di recente nella Sala Pisano de L’Unione Sarda da diversi studiosi che ne hanno indagato i tanti campi disciplinari relativi sia alla lingua sarda sia alle sue implicazioni civili perché l’indagine su tanto poeta e su una comunità così referenziata sul piano letterario interroga ove si voglia affrontare la formazione delle elite sarde e la percezione delle stesse. Ad adiuvandum potremo convocare altri giganti della poesia pattadese Luca Cubeddu, Giovanni Asara Limbùdu, Salvatore Campus Limbori fino ai contemporanei e contestualmente generazioni di mastros e dischentes alla base di una comunità educante. Lo sono nel tramettere il ben noto saper fare ma insieme sequenze di suoni che nei significante e significato significano fondanti campi simbolici diventati pratiche di relazione quotidiane e di conseguenza esistenza di una comunità. In Miele Amaro Salvatore Cambosu bene restituisce i luoghi dove si formava e si trasmetteva molto del sapere comunitario ”…vattene dal fabbro, vattene dal falegname: lì ci fa caldo e si discorre di tutto, di quello di oggi, di quello di ieri, di quello di domani…” e Giulio Angioni, tematizzando il ruolo della relazione tra dischente e mastru nei frailes, ne tratteggia la grammatica, la sintassi e persino la cinesica “ si impara guardando e facendo e si insegna facendo, con pochissimo spazio al discorso normativo, che per lo più o reprimenda o approvazione” e ancora “gli artigiani, come fabbri, falegnami, maestri carrai, godevano di solito di un benessere e di un prestigio sociale pari a quello dei pastori e dei contadini medi, qualche volta anche oltre”. Ecco allora il profilo e il carattere di un luogo che se genera vera classe dirigente non può che avere a che fare con stratificate pratiche di pedagogia sociale e civile. Bene ha fatto qualche mese addietro monsignor Angelo Becciu, futuro settimo Cardinale nella storia della Cristianesimo della Sardegna, a rammentare quelle pratiche che nel nostro paese di origine abbiamo conosciuto e che consistevano nella perenne dialettica tra differenze e in un dichiarato riconoscimento del talento, vissuto come valore sociale e comunitario. Riconoscere i talenti e dargli possibilità significa aver chiaro che su dischente deve poter spostare il limite per prendere il posto de su mastru. Nondimeno l’orizzonte simbolico della pratica della parola bene faeddada consentiva/consente quella forma di ironia/autoironia di cui Pisurzi fu maestro: ponnere cantone ovvero motteggiare su vizi e virtù avendo come orizzonte il bene della comunità e riferimento i classici, sos mannos. Pisurzi come Luca Cubeddu, formatisi presso Gesuiti e Scolopi, sono parte di un’altra densa genealogia, quella dei religiosi che hanno affollato Pattada negli ultimi secoli. Ciò spiega perché alto e basso si contaminano e perché laicità e tolleranza convivano con un pervasivo senso religioso. Michelangelo Pira nella prefazione a Cantones e versos di padre Luca Cubeddu, curato da Salvatore Tola, con ancora nell’orecchio l’incanto della parola poetica di padre Luca, viene non a caso sollecitato ad un “discorso anche teorico sul rapporto tra langue e parole e a porre tra le imprevedibilità, incalcolabilità, e irregolarità della lingua (cioè sul versante della creatività sociale) il tema della lingua come pratica sociale rivalutato dalla linguistica marxista, da Michail Bactin, e Valentin N. Volosinov…”. Coglie i sintomi del disagio di un’intellettualità che si fa urbana ma non vuole disconoscere il suo retroterra. Vede materializzarsi nei versi in cui Luca Cubeddu si autorappresenta mentre balla con gli abiti sollevati quanto Michail Bactin avrebbe descritto come essenza stessa del carnevale e del “recitarsi in esso della vita del popolo” con tutta la carica di dissacrazione. Le parole di Pira stupiscono per quanto l’antropologo conosca una comunità profondamente amata dai bittesi. Non è dato ancora oggi iniziare la festa del Miracolo di Bitti senza i cavalieri di Pattada e le loro bandiere legate alle diverse chiese a conferma di quanto fossero salde le relazioni tra luoghi oggi lontani ma che gli antichi i percorsi – diventati pellegrinali – rendevano prossimi. Ai pattadesi piace raccontarsi che il paese nasca da mediazione e sintesi di situazione e luoghi anche contrastivi. Per la stessa ragione chiamarono Concordia nel 1970 la cooperativa che mise insieme quelle “rosse” e gli allevatori “grandi elettori” democristiani. Non poteva che essere così un luogo che stratifica culture e periodi che si sono succeduti avendo come perno un impianto chiesastico dedicato ad una martire romana, ripetutamente ristrutturato dal periodo tardo antico, posto su un asse stradale che metteva in relazione parti consistenti della Sardegna centrosettentrionale. Nell’Ottocento Vittorio Angius prima e in seguito Paolo Mantegazza, che visitò Pattada con la prima Commissione parlamentare del 1869, riconoscono quest’attitudine dei pattadesi a essere “persone di buon umore, di notevole spirito, pronti nell’agire, accorti, ingegnosi, imaginosi, anime poetiche”. Virtù che Papa Francesco ha riconosciuto in don Angelino: diciosas sa mama e sa idda.
|