Così l’e-commerce senza governance ipoteca il paesaggio [di Elena Franco]

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Il Giornale dell’Architettura  20 giugno 2018. Nell’ambiguità (lecita) del quadro normativo, la diffusione dei magazzini per la logistica muta gli assetti territoriali. È notizia recente che Poste Italiane, grazie a un accordo siglato con Amazon, introdurrà la consegna serale – fino alle 19,45 – e nel week-end, accelerando lo sviluppo dell’e-commerce in Italia, con positive ricadute sugli investimenti in tecnologia e sull’occupazione. Infatti, al 2020 i dipendenti di Poste Italiane impegnati nella logistica dei pacchi saranno diecimila. E fin qui, tutto bene.

Per le città, dove le attività commerciali chiudono e i locali si svuotano, nel frattempo, il ministro dell’Interno Matteo Salvini, all’annuale assemblea nazionale di Confesercenti, sciorina un’ottima ricetta: stop al pagamento dell’IMU per i negozi sfitti e cedolare secca anche per i contratti commerciali.

Ma in realtà, che cosa sta accadendo in Italia, nell’indifferenza dell’opinione pubblica e dei dibattiti politici, degli studi settoriali e delle ricerche universitarie? Accade che l’e-commerce sta ipotecando il nostro paesaggio, come ha fatto e ancora sta facendo il sistema della cosiddetta Grande Distribuzione Organizzata. Tutto ciò avviene nel disinteresse dei più, che vedono solo gli aspetti occupazionali del fenomeno e non le ricadute urbanistiche e territoriali.

L’e-commerce – e qui semplifichiamo anche se il fenomeno è più articolato e meriterebbe un altro tipo di approfondimento – tende a eliminare un anello della catena distributiva, ossia il negoziante sotto casa (ma anche la grande catena commerciale, come sta accadendo, ad esempio, ad alcuni specialisti dell’informatica). Il negozio fisico non serve più ma serve il magazzino. E quest’ultimo diventa sempre più esteso sia in superficie, per trattare crescenti volumi di merce, sia in altezza, per poter ospitare la tecnologia necessaria a renderlo sempre più efficiente e performante.

Quanti sono, ad oggi, i magazzini sul territorio nazionale a servizio della logistica per l’e-commerce e che superfici sviluppano? Non abbiamo dati in merito. Le regioni italiane che hanno, quasi tutte, un osservatorio sul commercio, difficilmente hanno un osservatorio per la logistica. Tanto meno per la logistica a servizio del retail.

Perché non abbiamo nemmeno un termine per definire il fenomeno: magazzino serve a descrivere quegli enormi capannoni che punteggiano il nostro sistema autostradale e stradale dove si confezionano le merci da inviare al consumatore? Logistica per il retail è una definizione che trova riscontro nel quadro normativo del nostro sistema urbanistico? Ovviamente no, perché la legge urbanistica nazionale, ossia la famosa 1150, risale al 1942… Neanche le regioni, a cui è stata demandata la competenza in materia di commercio, hanno, all’interno dei testi delle loro leggi urbanistiche, le parole giuste per raccontare il fenomeno. E quindi per normarlo.

E così, fra annunci assordanti e un bombardamento continuo di parole come innovazione, occupazione, tecnologia, progresso stanno nascendo grandi capannoni localizzati in aree urbanistiche a destinazione produttiva che, magari, erano stati previsti dai nostri piani di governo del territorio con tutt’altra intenzione ed erano rimasti inattuati e, ora, con gioia di sindaci e lavoratori, vengono occupati dalle sedi operative di grandi catene della distribuzione e da colossi dell’e-commerce.

Aree non commerciali, urbanisticamente parlando, ma produttive. Ciò significa oneri di urbanizzazione più bassi, tasse rifiuti commisurate all’uso produttivo e non commerciale. Tutto a norma, naturalmente, perché i magazzini non sono il luogo dove avviene l’atto di acquisto e il quadro normativo a cui mancano le parole per descrivere il fenomeno si presta a interpretazioni che consentono tutto ciò nel più assoluto rispetto delle norme, anche in materia di concorrenza, con buona pace di Bolkenstein e di Bersani, a cui dobbiamo le rivoluzioni legate alla liberalizzazione del settore commerciale.

Così, grazie all’atteggiamento multitasking a cui ci hanno abituato gli stimoli che vengono dal nostro sistema liquido, un po’ social e un po’ smart, anche in questo caso viaggiamo veloci e siamo incapaci di avere un quadro completo di quanto sta accadendo. Nel frattempo, i negozi in centro si svuotano, il paesaggio viene compromesso da nuovi capannoni e la casa in centro, di cui stiamo ancora pagando il mutuo, si svaluta; anche grazie al nostro compulsivo desiderio di acquisti a colpi di click.

*Nata a Torino nel 1973, è architetto e si occupa di valorizzazione urbana e del territorio. Della sua formazione in restauro al Politecnico di Torino conserva la capacità di leggere gli edifici e comprenderne le trasformazioni, anche grazie a un’attenta ricerca storica. E’ autrice di articoli e saggi sul tema della rivitalizzazione urbana e partecipa a convegni e workshop in Italia e all’estero, in particolare in materia di town centre management e place management.

 

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