La scelta del sindaco di Mamoiada ci interroga e fa riflettere [di Antonietta Mazzette]
Quanto è cambiata la criminalità in Sardegna in questi ultimi tre decenni? Gli stessi che Annino Mele, condannato per reati gravi (sequestro di persona e omicidio), ha passato in carcere dopo una lunga latitanza. Quanto la Sardegna è lontana dalla violenza che l’ha attraversata in un passato più o meno recente? La stessa che Luciano Barone, sindaco di Mamoiada, è riuscito a respingere, nonostante la sua famiglia ne sia stata vittima. Prima di rispondere a questi quesiti, a mo’ di preambolo mi permetto di dire che non c’è alcun aspetto romantico in chi delinque (non è un balente). Ricordo che, all’indomani della grazia dall’ergastolo Graziano Mesina – oggi nuovamente in carcere – firmava autografi alle numerose persone che facevano a gara per stringergli la mano. Inoltre, riferendomi all’accenno di Mele, secondo il quale la giustizia riparativa o la si fa subito o “è meglio dimenticare”, sottolineo che la pratica della giustizia riparativa è assai complessa, sia per i risvolti giuridici sia, soprattutto, per quelli socio-culturali, perché riguarda non solo l’autore, ma anche il suo gruppo famigliare-amicale, quello che lo ha supportato direttamente e indirettamente (ad esempio, quanti lo hanno sostenuto durante la latitanza). Chi diventa vittima, qualunque sia la causa, non smette di essere vittima (compresa la famiglia) e, perciò, non dimentica, può però accettare che il danno subito venga in qualche modo riparato, ma perché ciò accada si devono costruire – attraverso percorsi di mediazione/conciliazione/riparazione, gestiti da persone competenti – atti pubblici responsabili orientati principalmente a restituire fiducia alla vittima e alla sua comunità di appartenenza. E di questa pratica la Sardegna avrebbe un gran bisogno. In merito agli iniziali quesiti, mi limito a sottolineare tre elementi. Un primo elemento è che la criminalità si adegua ai mutamenti della società, talvolta li anticipa o persino li crea. Così è nel caso delle coltivazioni illegali di cannabis, fenomeno sottolineato ampiamente dalla Direzione Centrale Servizi Antidroga, secondo la quale la Sardegna, a partire dal 2012, si colloca tra le prime regioni italiane (insieme a Puglia, Lazio e Calabria) per numero di piante sequestrate: in media circa dieci mila all’anno. In Sardegna, tuttavia, a fronte di una stabilità nazionale del fenomeno, i sequestri di piante di cannabis sono in continua crescita e ciò significa che è redditizia e che c’è una domanda sociale. Un secondo elemento è dato dal fatto che sembra esserci un’evoluzione della criminalità nel senso di un’infiltrazione progressiva, anche nell’isola, della criminalità organizzata di tipo mafioso. La presenza mafiosa comincia ad assestarsi anche in Sardegna, seppure in ritardo rispetto ad altre regioni di non tradizionale insediamento della criminalità organizzata, come ad esempio la Lombardia e il Piemonte, ciò è dovuto alle recenti trasformazioni economiche, soprattutto di quelle aree coinvolte nello sviluppo turistico, aree appetibili, tanto in relazione al mercato delle droghe, quanto in rapporto a quello immobiliare e delle costruzioni, che rappresentano un settore d’elezione per il riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Troviamo riscontro di tale presenza nel prospetto dei beni confiscati, di cui ben 210 sono beni immobili situati in centri urbani a forte attrazione turistica, Olbia in testa (49) e a seguire Cagliari (35). Un terzo elemento è dato dalla persistenza di violenza in alcune zone della Sardegna, in particolare dell’area Centro-Orientale, dove resistono modi residuali e primordiali di soluzione dei conflitti, in assenza di altri meccanismi di conciliazione e di mediazione, in parte favoriti dalla detenzione diffusa delle armi. Il fatto che in questo contesto vi sia chi, come il sindaco di Mamoiada, compie scelte che respingono la violenza, lascia intravedere che il dualismo che caratterizza tuttora la criminalità in Sardegna possa essere superato e sostituito dal controllo sociale. |