Dopo la Sentenza della Corte costituzionale il Consiglio regionale impedisca ai “nuovi barbari” di ingabbiare nel cemento la Sardegna [di Massimo Dadea]

Cantiere-Tuerredda

Al di là delle rassicurazioni che il Presidente della regione ha dispensato a piene mani nella recente intervista al quotidiano La Nuova Sardegna, i cittadini sardi sono preoccupati. L’urbanistica è uno dei motivi di questa preoccupazione.

Il Disegno di legge della giunta regionale sulla “Disciplina generale per il governo del territorio”, rappresenta – in attesa di eventuali modifiche della Commissione prima e del Consiglio poi – un pericoloso ritorno al passato, che rischia di ricacciare indietro decenni di lotte per la salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio in Sardegna.

Di vanificare l’impegno di quei cittadini, associazioni, movimenti, che in tutti questi anni si sono battuti per tutelare il bene più prezioso ed irriproducibile: le sue coste, il suo mare. Il pericolo è quello di un nuovo, subdolo, tentativo di cementificare il territorio, di rimettere in pista le betoniere entro i trecento metri dal mare; di contraddire il concetto costituzionale di tutela; di vanificare il PPR (Piano Paesaggistico Regionale); di accentuare quella propensione al consumo e alla rapina del suolo, così come evidenziato dal Rapporto ISPRA 2018.

L’ennesima promessa mancata da parte di un Presidente della Regione che si era presentato agli elettori con la parola d’ordine di “estendere il PPR a tutta la Sardegna”, e che come primo atto di governo ha pensato bene di prorogare il Piano Casa varato dalla giunta Cappellacci.

Un pericoloso dejavù. Cinquantadue anni fa, compariva sulle pagine dell’Espresso la drammatica denuncia di Antonio Cederna sul saccheggio delle coste della Sardegna, dal titolo  Hanno messo il mare in gabbia: “…è in atto l’urbanizzazione della costa, la sua trasformazione in un ininterrotto nastro edilizio, che alterna nuclei di gran lusso a lager balneari di infima qualità, che stronca ogni continuità tra litorale ed entroterra, che privatizza quanto dovrebbe essere accessibile a tutti, che chiude il mare in gabbia e degrada irrimediabilmente il prestigio naturale dei luoghi, cioè la stessa materia prima del turismo”.

Come allora Antonio Cederna, oggi dobbiamo chiederci come possa essere di aiuto allo sviluppo turistico un ulteriore incremento volumetrico sulle coste che svaluterebbe e comprometterebbe il territorio, cioè la stessa materia prima del turismo.

Il disegno di legge della giunta Pigliaru ripropone lo stesso “pensiero unico” che è possibile ritrovare in altre sue iniziative legislative, contrabbandate per atti di riforma: verticalizzare le istituzioni, centralizzare le decisioni, vanificare il processo partecipativo di cittadini e Comuni.

Un disegno politico perverso che tende ad accentuare gli squilibri territoriali: si svuota il territorio di servizi essenziali, scuole, servizi postali e bancari, servizi sanitari; si accentua lo spopolamento delle aree più deboli; si accentra nelle aree più dinamiche dal punto di vista economico e demografico (grossi centri urbani e costieri); si promuove la desertificazione sociale, economica, occupazionale e culturale, di ampi territori della Sardegna.

Un “disegno” che possiamo ritrovare nella riforma della “governance territoriale”: si cancellano la Province, si accentrano i poteri nella città metropolitana di Cagliari, qualche briciola alla fantomatica rete metropolitana di Sassari, tutto intorno il vuoto, il deserto.

La “riforma” della sanità. Si cancellano le otto ASL, si centralizza tutto nella ATS, una macrostruttura che genera inefficienze, sprechi e disservizi; si svuotano i piccoli ospedali, si chiudono i servizi territoriali, si spostano gli operatori sanitari.

La cosiddetta “legge urbanistica” risponde allo stesso disegno: si concede sulle coste l’ennesimo aumento volumetrico che sposta popolazione ed investimenti e taglia la presenza dell’uomo nelle zone interne della Sardegna.

La recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha bocciato cinque articoli della legge regionale sugli usi civici, dovrebbe far riflettere il governo regionale. La Corte infatti ha posto dei punti fermi sui limiti che il legislatore regionale incontra in materia di tutela del paesaggio. Spetta ora al Consiglio regionale  trovare la forza e la volontà –  sempre che esistano al suo interno – per impedire ai “nuovi barbari” di “mettere in gabbia” il mare e le coste, e con essi la Sardegna e i sardi.

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