Urbanistica. La critica non è No-Ismo [di Antonietta Mazzette]
Ho sempre apprezzato gli articoli di Giuseppe Pulina, anche quando non li ho condivisi. Quello su “L’urbanistica, il no-ismo e le bufale” rientra tra questi ultimi. Ha ragione Pulina a scrivere che le fake news, veicolate dai social, sono diventate per una larga fetta di popolazione la base su cui fondare comportamenti e opinioni, talvolta ciò ha riguardato anche chi invece avrebbe dovuto contrastarle per il ruolo di governo assunto: penso alla vicenda dei vaccini. Ma che hanno a che fare le fake news con il ricco dibattito che si è aperto, da un anno a questa parte, attorno al disegno di legge urbanistica? Forse che le decine di persone – autorevoli per scienza e coscienza civica (giuristi in primis) – che hanno alimentato questo dibattito, sono in realtà promotori della “balla spaziale” secondo cui questo disegno, così com’è, alimenta consumo di territorio, aggira il piano paesaggistico (dalla recente sentenza della Corte Costituzionale si dovrebbe trarre qualche insegnamento, oppure è diventata improvvisamente No-ista?), accelera quel noto processo di “isola a ciambella”, come a suo tempo è stata descritta da alcuni sociologi? Suvvia. La questione è assai più semplice: il caro (a me) amico Pulina ha un’opinione diversa da quanti sostengono che quel disegno di legge non vada affatto bene. Egli argomenta con numeri alla mano che la Sardegna è tra le ultime regioni d’Europa, relativamente al costruito. Vero. Ma quei numeri andrebbero connessi (e questo Pulina lo sa fare bene) alla popolazione e ai territori dove grava il costruito. Ebbene, al primo gennaio 2018 risiedono in Sardegna 1.653.135 abitanti, con una densità media di 76 abitanti per Km2, ma ben il 28% della popolazione è concentrata nei 5 comuni con più di 40.000 abitanti (Cagliari, Sassari, Quartu S. Elena, Olbia e Alghero). Per contro, i comuni con meno di 5.000 abitanti sono ben 314 (su 377, circa l’83% sul totale dei comuni). Sottolineo che i principali centri urbani, con l’eccezione di Olbia, appartengono a due diverse “agglomerazioni” la città metropolitana di Cagliari e la Rete urbana del Nord Sardegna. Queste aree comprendono solo 26 comuni (circa il 3% del totale) e raccolgono il 31% della popolazione. Per precisione va detto che queste ripartizioni non tengono conto di alcuni comuni che hanno giocato un ruolo importante nella storia amministrativa dell’Isola (ad esempio Nuoro e Oristano) e neanche di quell’insieme di comuni che sono collegati ai centri urbani tramite i più importanti sistemi viari. Fuori dai numeri, ciò significa che, mentre gran parte dell’Isola ha una densità abitativa irrisoria, poche aree sono invece dense, anche sotto il profilo del costruito, oltre che dei flussi di traffico. Guarda caso le stesse segnalate dall’ultimo rapporto di ricerca dell’ISPRA sul consumo del suolo e, almeno parzialmente, anche le stesse interessate dagli incrementi volumetrici ipotizzati dal disegno di legge urbanistica, seppure limitatamente alle strutture ricettive. E allora, ripropongo tre domande: Qual è la filosofia di fondo insita nell’articolato di norme presenti nelle 77 pagine della “Disciplina generale per il governo del territorio”, più gli allegati? Di quale idea complessiva di sviluppo è il risultato normativo? Chi sono i principali interlocutori a cui è rivolta detta proposta? Nel dibattito in corso si possono rilevare grossolanamente due posizioni: una prima che sostiene modifiche strutturali, a partire dallo stralcio dell’allegato 4 e degli articoli 31 e 43, più votati verso il consumo di suolo nella fascia costiera; una seconda che chiede il ritiro del disegno di legge. In merito alle modifiche sostanziali ho letto di impegni ai più alti livelli di governo regionale, ma la cronaca su ciò che va accadendo in commissione urbanistica non è rassicurante. E allora, non è forse arrivato il momento che questo Consiglio regionale prenda in seria considerazione le argomentazioni di quanti criticano la proposta della Giunta? *La Nuova Sardegna 3 agosto 2018
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