3 milioni e mezzo di studenti in fuga: la dispersione scolastica è una vera emergenza sociale, ma non interessa a nessuno [di Irene Cosul Cuffaro]
Linkiesta 4 Ottobre 2018. Dal 1995 a oggi tre milioni e mezzo di studenti su undici hanno abbandonato la scuola. Il costo è enorme: 55 miliardi di euro. E l’emorragia non si fermerà presto: la dispersione scolastica è un’emergenza che tutti ignorano. “La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde”, scriveva mezzo secolo fa don Milani in “Lettera a una professoressa”. Nel 2018 forse avrebbe aggiunto anche i tetti che crollano, le classi formate da almeno trenta studenti e i genitori che castigano i professori anziché i loro pargoli, ciò che è certo però è il disappunto che proverebbe nel leggere gli ultimi dati sulla dispersione scolastica. Per ogni ciclo quinquennale dal 1995 ad oggi, infatti, sono mancati all’appello di anno in anno nella scuola secondaria superiore statale tra i 150 e i 200 mila studenti che si erano iscritti cinque anni prima: tra il 25 e il 35%. Erano iscritti al primo anno, non c’erano più al quinto. Il trend fortunatamente è in diminuzione, dal 35% del 2000-01 al 24,7% del 2017-18, ma dei 590 mila adolescenti che a settembre hanno varcato per la prima volta l’ingresso delle scuole superiore statali, almeno 130 mila non arriveranno al diploma. Tirando le somme, dal 1995 al 2013-14, anno in cui è iniziato il ciclo scolastico che si è concluso quest’anno, e quindi negli ultimi 19 cicli scolastici, 3 milioni e mezzo di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non hanno completato il corso di studi. È quasi come se l’intera popolazione della Toscana (3,7 milioni) avesse abbandonato la scuola. Gli istituti professionali sono di gran lunga quelli nei quali si registra il più elevato tasso di dispersione (32,1%), seguiti dagli istituti tecnici (27,3%), dai licei artistici (20,6%),delle scienze umane (18,0%), scientifici (19,8%) e classici (17,7%). L’area del Nord Ovest registra complessivamente un tasso di dispersione del 25,2% pressoché uguale all’area del Sud (25,4%), mentre le isole raggiungono il 29,4%. Tenuto conto che lo Stato investe per ogni studente della scuola secondaria superiore 6.914,31 euro l’anno, il costo per quei 3,5 milioni di studenti che non ce l’hanno fatta, a valori correnti, si può stimare in circa 55 miliardi di euro, 2,9 in media all’anno. Un investimento senza ritorno. Purtroppo non esistono dati pubblici che indichino quanti tra gli studenti che hanno abbandonato la scuola statale abbiano conseguito il diploma in una scuola privata, mancanza sintomatica questa di quanto il problema della dispersione scolastica sia sottovalutato. Anche economicamente: tenuto conto infatti che lo Stato investe per ogni studente della scuola secondaria superiore 6.914,31 euro l’anno, il costo per quei 3,5 milioni di studenti che non ce l’hanno fatta, a valori correnti, si può stimare in circa 55 miliardi di euro, 2,9 in media all’anno.Un investimento senza ritorno. Inoltre, i ragazzi che non concludono il ciclo di studi, hanno il doppio delle probabilità di finire nelle file dei disoccupati rispetto ai loro compagni che si diplomano e il quadruplo rispetto a quelli che raggiungano la laurea. Analizzando i dati Istat riferiti al 2017 per la classe di età 35 anni e più, si nota infatti che il tasso di disoccupazione per chi ha la laurea è del 3,1%, per chi ha il diploma di scuola secondaria superiore è del 6,6%, mentre per chi si è fermato alla terza media è dell’11,6%. Se tutto ciò non bastasse, anche le statistiche che riguardano gli studi universitari sono desolanti: dei circa 476.500 mila diplomati, si iscrivono all’università in media poco più della metà. Di questi se ne laureano (in tempo o fuori corso) circa uno su due. La dispersione universitaria è quindi stimabile intorno al 50% e non riguarda solo le fasce più vulnerabili, ma anche le eccellenze ch,e non trovando gli sbocchi e le opportunità adeguati al livello di preparazione conseguito, lasciano l’Italia e vanno a produrre reddito, ricerca, valore aggiunto (e a pagare le tasse) in altri Paesi europei o extra-europei. Un sistema scolastico che, si può dire senza esagerare, fa acqua da tutte le parti. Tirando le somme, dal 1995 al 2013-14, anno in cui è iniziato il ciclo scolastico che si è concluso quest’anno, e quindi negli ultimi 19 cicli scolastici, 3 milioni e mezzo di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non hanno completato il corso di studi. È quasi come se l’intera popolazione della Toscana (3,7 milioni) avesse abbandonato la scuola. Non tutti possono essere dei brillanti studenti e non si possono attribuire alla scuola pubblica tutte le cause degli insuccessi nel corso della carriera scolastica di ciascuno, questo è ovvio. Tuttavia, classi sovraffollate, strutture fatiscenti, programmi di studio obsoleti, professori impossibilitati a svolgere al meglio la loro professione e scarso interesse alla valorizzazione delle abilità del singolo studente non sono certamente uno stimolo a terminare gli studi. Soprattutto in un Paese come il nostro, dove anche chi si laurea, probabilmente, almeno per un primo periodo, lavora gratis o non trova un’occupazione adeguata al proprio livello d’istruzione. |
Nemos chi pòngiat in discussione un’iscola assurda (e ita si abbaidaus a sa Sardigna!), fàbbrica de DISOCUPANDI: funt totus interessaos a fàere is cuadhos de punta de un’economia de gherra ateretanti assurda, interessada a “vincere e vinceremo” ammuntonandho milliardos (in is manos de is ‘leones’) e mancari fabbricandho bombas, míssiles e àteras cositedhas deasi, po su fallimentu de… is mortos de fàmene. Arresone teniat su pedagogista Bruno Ciari foedhandho de s’iscola chi definiat «la grande disadattata» o, méngius, adatada no a is bisòngios de istrutzione, de trebballare e campare prus de umanos de sa parte assolutamente prus manna de s’umanidade, ma adatada a s’errichimentu foras de dónnia límite, utilidade e torracontu colletivu de pagos.
Un’iscola assurda chi separat e istésiat sèmpere de prus istúdiu e trebballu e fràbbicat mentalidades e cumportamentos chi depent èssere dipendhentes, impicaos a su torracontu de is leones o fuliaos chentza arte e ne parte.