Giorgio Parisi all’Accademia dei Lincei: attenzione alle tendenze antiscientifiche [di Giorgio Parisi]
Scienzainrete.it 14/11/2018 Relazione di apertura Anno Accademico 2018-2019. Lo scorso 9 novembre è stato inaugurato l’Anno accademico 2018-2019 della Accademia Nazionale dei Lincei, il 416° dalla costituzione della prestigiosa istituzione scientifica. Pubblichiamo la relazione del suo nuovo presidente Giorgio Parisi nell’Adunanza pubblica a classi riunite. Autorità, care Consocie e cari Consoci, Signore e Signori, innanzitutto desidero ringraziarvi per essere presenti all’inaugurazione del 416o Anno Accademico dell’Accademia Nazionale dei Lincei.Rivolgo a tutti un cordiale saluto di benvenuto e, in particolare, ai nuovi Soci dell’Accademia che portano una nuova linfa nella nostra istituzione. Essendo questa la mia prima inaugurazione dell’anno accademico in veste di Presidente, avendo assunto quest’incarico lo scorso agosto, voglio innanzitutto ringraziare tutti i Soci della fiducia dimostratami. Per Statuto quest’Accademia è costituta dai Soci e volevo ringraziarli per tutto il loro impegno nella gestione di quella che, in fondo, è la loro casa. Il compito assegnatomi è difficile e impegnativo, ma conto sul generoso aiuto dei soci e di tutte le persone esterne all’Accademia che ci hanno sempre supportato, a partire dall’associazione Amici dell’Accademia dei Lincei e al suo Presidente Umberto Quadrino e alla Fondazione Scuola che sta per diventare un’ala dell’Accademia. È enorme il numero delle persone che ci hanno dato una mano nelle varie circostanze. Senza questi interventi le capacità dell’Accademia non sarebbero sufficienti a realizzare i suoi vasti programmi. A tutti va la mia gratitudine sia per quello che hanno fatto nel passato sia per quello che faranno nel futuro. Come Presidente dell’Accademia e Presidente della Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, cercherò di proseguire l’opera dei miei illustri predecessori a cui va il mio più sentito ringraziamento. Vorrei fare un particolare ringraziamento ai qui presenti Lamberto Maffei, Alberto Quadrio Curzio e Maurizio Brunori. Vorrei anche ringraziare per tutto l’eccellente lavoro fatto, il precedente Consiglio di Presidenza e in particolare gli altri membri uscenti, l’Accademico Amministratore Aggiunto Pietro Rescigno e l’Accademico Segretario della Classe di Scienze Fisiche Matematiche e Naturali, Giancarlo Setti per il loro più che decennale impegno. Ritengo che la direzione di questa Accademia debba essere condotta il più possibile in maniera collegiale. Sono gratissimo al Presidente della Classe di Scienze Morali, Roberto Antonelli, all’Accademico Amministratore, Renzo Piva e al suo Aggiunto Alessandro Roncaglia, per la loro validissima opera e per i loro, quasi quotidiani, preziosissimi consigli. Come mi sono reso conto in questi primi mesi, il Consiglio di Presidenza è un organo fondamentale per la guida dell’Accademia: volevo quindi ringraziare i membri più anziani Annibale Mottana e Fulvio Tessitore, i nuovi membri, Giuseppina Barsacchi e Antonio Gambaro, i revisori dei conti, le dottoresse Angela Adduce e Flavia Cristiano e, in particolare, il nostro Socio Natalino Irti che ci illumina con la sua profonda cultura giuridica. L’Accademia funziona solo per l’enorme dedizione di tutto il personale, a partire dal Cancelliere, che riesce a non farci quasi sentire gli effetti dei tagli di personale. A tutti loro va la gratitudine, non solo mia, ma di tutti i Soci. Viviamo in tempi che non sono facili per la cultura e per la scienza. Ci sono molte difficoltà, problemi nuovi sia in Italia che nel mondo. L’Accademia dei Lincei deve avere un ruolo cruciale nell’analizzare le cause di questa situazione e cercare di proporre soluzioni. Noi tutti qui presenti ci rendiamo conto che non è possibile lo sviluppo tecnologico senza un parallelo avanzamento della scienza pura. La scienza pura non solo fornisce alla scienza applicata le conoscenze necessarie per potersi sviluppare (linguaggi, metafore, quadri concettuali), ma ha anche un altro ruolo più nascosto e non meno importante. Infatti, le attività scientifiche di base funzionano anche come un gigantesco circuito di collaudo di prodotti tecnologici e di stimolo al consumo di beni ad alta tecnologia avanzata. Questa profonda integrazione tra scienza e tecnica potrebbe far pensare che la scienza abbia un futuro radioso in una società che diventa sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata (i diffusissimi cellulari di adesso arrivano a una capacità di calcolo di centinaia di miliardi di operazioni aritmetiche al secondo, più o meno come i mastodontici super-computer di venticinque anni fa). In realtà oggi sembra vero tutto il contrario: ci sono forti tendenze antiscientifiche nella società attuale, il prestigio della Scienza e la fiducia in essa stanno diminuendo velocemente, le pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche (vedi per esempio NoVax o il negazionismo della Xylella come origine della malattia degli ulivi pugliesi) si diffondono largamente insieme a un vorace consumismo tecnologico. Addirittura una prestigiosa università italiana è arrivata ad ospitare un corso sulla agricoltura biodinamica. Non è facile capire fino in fondo quale sia l’origine di questo fenomeno; è possibile che questa sfiducia di massa nella scienza sia dovuta anche ad una certa arroganza degli scienziati che presentano la scienza come sapienza assoluta, rispetto agli altri saperi opinabili, anche nei casi in cui non lo è affatto. A volte l’arroganza consiste non nel cercare di far arrivare al pubblico le prove di cui si dispone, ma di chiedere un assenso incondizionato basato sulla fiducia negli esperti. Proprio il rifiuto di non accettare i propri limiti può indebolire il prestigio degli scienziati, che a volte sbandierano un’eccessiva sicurezza, che non è fondata, davanti a un’opinione pubblica che in qualche modo ne avverte la parzialità di vedute e i limiti. A volte i cattivi divulgatori presentano i risultati della scienza quasi come una superiore stregoneria le cui motivazioni sono comprensibili solo agli iniziati. In questo modo chi non è scienziato può essere spinto in una posizione irrazionale di fronte a una scienza percepita come magia inaccessibile e quindi a preferire altre speranze irrazionali: se la scienza diventa una pseudomagia, perché non scegliere la magia vera piuttosto che un suo surrogato? La scienza deve essere difesa non solo per i suoi aspetti pratici, ma anche per il suo valore culturale. Dovremmo avere il coraggio di prendere esempio da Robert Wilson che, nel 1969, di fronte ad un senatore americano che insistentemente chiedeva quali fossero le applicazioni della costruzione dell’acceleratore al Fermilab, vicino Chicago, e in particolare, se fosse utile militarmente per difendere il paese, gli rispose “il suo valore sta nell’amore per la cultura: è come la pittura, la scultura, la poesia, come tutte quelle attività di cui gli americani sono patriotticamente fieri; non serve per difendere il nostro paese, ma fa che valga la pena difendere il nostro paese.” Per affermare la scienza come cultura, bisogna rendere la popolazione (almeno quella colta) consapevole di cosa è la scienza, di come la scienza e la cultura si intreccino l’una con l’altra, sia nel loro sviluppo storico sia nella pratica dei nostri giorni. Bisogna spiegare in maniera non magica cosa fanno gli scienziati viventi, quali sono le sfide dei nostri giorni. Non è facile, specialmente per le scienze dure dove la matematica gioca un ruolo essenziale. Tuttavia con un certo sforzo si possono ottenere ottimi risultati. Bisogna anche abbattere, per quanto sia possibile, la separazione che c’è spesso tra gli studi umanistici e le altre discipline scientifiche. La nostra Accademia, che si divide equamente in una classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche e in una Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, è uno dei luoghi più adatti per colmare questa separazione. Spesso si dice che le scienze dure non sono comprensibili a chi non ha studiato la matematica. Ma lo stesso problema c’è anche con la poesia cinese, che è un miscuglio inseparabile di letteratura e di pittura: il manoscritto originale della poesia è un quadro dove i singoli ideogrammi cinesi sono gli elementi pittorici che vengono rappresentati ogni volta in maniera differente. Questa dimensione pittorica si perde completamente nella traduzione e la sua bellezza non è apprezzabile da chi non conosce bene il cinese. Come è possibile far apprezzare in italiano la bellezza delle poesie cinesi, così è possibile far comprendere anche la bellezza delle scienze dure a chi non conosce la matematica e non ha fatto studi scientifici. Ma forse le difficoltà attuali hanno origini più profonde che devono essere comprese a fondo allo scopo di poterle contrastare. Stiamo entrando in un periodo di pessimismo sul futuro che ha la sua origine da crisi di varia natura: crisi economica, riscaldamento globale, esaurimento delle risorse, inquinamento. In molti paesi si aggiungono l’aumento delle diseguaglianze, il precariato, la disoccupazione, le guerre. Mentre una volta si pensava che il futuro sarebbe stato necessariamente meglio del presente, si è intaccata la fede nel progresso, nelle magnifiche e progressive sorti dell’umana gente: molti temono che le future generazioni staranno peggio di quelle attuali. E come la scienza aveva il merito del progresso, così adesso la scienza riceve il biasimo del declino (reale o solo percepito non importa). La scienza è a volte sentita come una cattiva maestra che ci ha portato nella direzione sbagliata e cambiare questa percezione non è facile. C’è una grande insoddisfazione verso tutti coloro che ci hanno portato in questa situazione e gli scienziati non sfuggono a questo biasimo. Non dobbiamo essere sicuri che lo sviluppo della scienza sia inarrestabile: confidare ciecamente sull’ineluttabilità del bisogno che lo sviluppo tecnologico ha dello sviluppo scientifico può essere un tragico errore. I romani hanno conservato la tecnologia greca senza curarsi molto della scienza greca e i fanatici cristiani, comandati dal vescovo Cirillo di Alessandria, hanno tranquillamente fatto a pezzi la matematica-astronoma Ipazia, senza curarsi affatto delle conseguenze a lungo termine, anzi rallegrandosi della scomparsa di un sapere profano, ritenuto inutile se non dannoso. Ma se anche al livello planetario la scienza continuerà a svilupparsi e a trascinare la tecnologia, non c’è nessuna garanzia che questo accada anche in un Paese come l’Italia. La deindustrializzazione sistematica dell’Italia è il filo conduttore della storia italiana dagli anni sessanta in poi, assieme al sempre più marcato disinteresse della grande industria per la ricerca. È ben possibile che i nostri governanti decidano che l’industria e la ricerca italiana debbano avere un posto sempre più secondario e che il Paese debba lentamente scivolare verso il terzo mondo: in fondo i brevetti si possono sempre comprare dall’estero e i prodotti ad alta tecnologia si possono importare. Se consideriamo anche il lento decadere della scuola pubblica, il progressivo disinvestimento dell’impegno finanziario del governo italiano nei Beni culturali (basti dire che il restauro del Colosseo è stato fatto con fondi privati e che il Fondo Unico per lo Spettacolo diminuisce ogni anno fino ad arrivare alla metà delle cifre stanziate venti anni fa) ci rendiamo conto che tutte le attività culturali italiane sono in lento, ma costante, declino. Il prestigio (e forse anche lo stipendio) degli insegnanti nelle scuole di tutti i livelli è calato sempre di più. Una volta nei piccoli paesi si dedicavano le vie agli insegnanti delle scuole elementari e i professori di Liceo erano grandemente rispettati. La scuola sta perdendo il ruolo di ascensore sociale che aveva una volta: le crepe che si aprono sul soffitto di molte aule scolastiche sono il segnale visivo dell’abbandono in cui è lasciata la nostra scuola. L’università italiana ha assistito nell’ultima decina di anni a uno dei più grandi disinvestimenti nell’alta cultura che siano avvenuti in un paese in tempo di pace, venti per cento in meno di finanziamenti, venti per cento in meno di insegnanti, venti per cento in meno di studenti. Bisogna difendere la cultura italiana su tutti i fronti, dobbiamo evitare di perdere la nostra capacità di trasmetterla alle nuove generazioni. Se gli italiani perdono la loro cultura, cosa resta del Paese? Bisogna che si costituisca un fronte comune di tutti gli operatori culturali italiani (dagli insegnanti degli asili ai professori universitari, dai programmatori ai poeti) per poter affrontare e risolvere l’attuale emergenza culturale. Cosa può fare l’Accademia? La scuola è certamente al primo posto nei nostri pensieri e la Fondazione scuola è lo strumento principe con cui interveniamo in questo delicatissimo settore. Questa fondazione, che esiste dal 2015, si occupa dell’organizzazione dell’attività di formazione professionale e di aggiornamento dei docenti. Sono stati attivati 22 centri didattici (detti poli) con la collaborazione di una trentina di università e accademie L’anno scorso sono stati erogati corsi a più di 5.000 insegnanti per un totale di quasi 1.500 ore. Queste attività sono potute andare avanti grazie al finanziamento di 750.000 euro da parte del MIUR per il triennio 2016-2018 e dai contributi di tantissime istituzioni private, che sarebbe troppo lungo nominare, ma che hanno tutta la nostra gratitudine. L’Accademia deve rafforzare il suo ruolo centrale nel dibattitto culturale italiano diventando il luogo privilegiato dove vengono dibattuti scientificamente i principali problemi del Paese: bisogna arrivare a soluzioni condivise che trovino poi la loro realizzazione. Questa Accademia ha una grande tradizione in proposito: a Palazzo Corsini novantacinque anni fa un grande Presidente dell’Accademia, Vito Volterra, ha tenuto la riunione di fondazione del CNR, ente del quale Volterra era diventato il primo presidente, designato dalla stessa Accademia dei Lincei. Sfortunatamente quando Volterra prese una posizione pubblica contro il Fascismo, fu rimosso da Presidente del CNR. Questa pratica sciagurata di scegliere i presidenti degli Enti di ricerca in base al colore politico e non alle competenze scientifico è un mal costume prosperato alla grande durante il Fascismo: basti pensare che il Generale Badoglio è stato nominato presidente del CNR dopo Marconi. Ritornando ai nostri compiti vorrei ricordare che nel nostro Statuto è scritto che la nostra Accademia ha lo scopo di promuovere, coordinare, integrare e diffondere le conoscenze scientifiche nelle loro più elevate espressioni nel quadro dell’unità e universalità della cultura. Inoltre fornisce – su richiesta e anche di sua iniziativa – pareri ai pubblici poteri nei campi di propria competenza; eventualmente formula proposte. L’Accademia dei Lincei ha quindi il compito di far sì che le competenze scientifiche di entrambe le sue due Classi possano essere al servizio dell’opinione pubblica e dei pubblici poteri per permettere loro di orientarsi, specialmente prima di prendere quelle decisioni che dovrebbero essere basate su un’analisi rigorosa delle conoscenze. In altri paesi di antica democrazia, le Accademie sono interpellate ufficialmente dal Governo e dal Parlamento. Per esempio, la National Accademy of the U.S. ogni anno è convocata un centinaio di volte per audizioni al congresso per presentare i risultati di studi commissionati dal congresso durante il procedimento legislativo. Sarebbe ragionevole che anche in Italia l’Accademia dei Lincei venisse sistematicamente invitata in audizioni nel caso di leggi che coinvolgano questioni culturali e/o scientifiche. L’Accademia ha un enorme prestigio, accumulato nei secoli, e i suoi interventi possono avere una grande influenza. L’Accademia deve avere un ruolo importante nel progettare il futuro della Cultura nel nostro Paese in tutti gli ambiti in cui ha competenze, a partire dall’educazione scolastica. L’Accademia non deve essere timida, ma, come già fatto nel passato, deve alzare la sua voce senza mai allontanarsi dal rigore scientifico che deve caratterizzare i suoi documenti. I suoi scritti devono affrontare anche, e forse soprattutto, temi controversi, temi sui quali la società ha bisogno di avere informazioni affidabili per prendere decisioni. In questi casi la scientificità si raggiunge illustrando i meriti e i demeriti delle varie tesi, provando e riprovando, approvando e disapprovando, sulla scia del nostro grande socio Galileo Galilei. È importante che la sua voce venga udita da una platea il più possibile ampia e a questo scopo l’Accademia dovrà usare tutti i possibili strumenti di comunicazione. Dobbiamo rimboccarci le maniche, forse cambiare il nostro modo di scrivere in maniera che la nostra voce possa raggiungere un vasto pubblico, dobbiamo essere presenti con i nostri scritti sui giornali, in edicola, in libreria, in maniera da poter incidere efficacemente sul dibattito pubblico. Non sarà facile raggiungere tutti questi obiettivi, ma come vi dicevo prima, conto moltissimo sul generoso aiuto non solo dei Soci, ma anche di tutti coloro che sono interessati allo sviluppo culturale nel nostro Paese. |