Siti Unesco all’italiana: record ma flop [di Tina Lepri]

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Il Giornale dell’Arte n 38, novembre 2018. Il nostro Paese guida la classifica mondiale. Ma il «marchio» produce uno scarso ritorno turistico Dopo di noi, che vantiamo 54 siti inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco (record mondiale), c’è la Cina: 53 luoghi che danno slancio all’economia turistica del Paese.

Da noi, al contrario  della maggior parte  d’Europa, mancano statistiche ufficiali sugli introiti legati ai tesori d’arte e di natura inseriti nella World Heritage List. «Nel mondo questi siti attraggono visitatori e hanno precise graduatorie economiche ben rintracciabili da tutti, scrive il Touring Club, tranne in Italia dove spesso, privi di studi specializzati e semplici dati di affluenza, molti siti sono lasciati al degrado».

Uno studio del 2017 di Pricewaterhouse Coopers (PwC), un network internazionale specializzato in revisione di bilanci, consulenze legali e fiscali che opera in 160 Paesi Italia compresa, scrive che i siti Unesco del nostro Paese hanno uno scarso ritorno commerciale: 16 volte inferiore a quelli degli Stati Uniti (la metà dei siti italiani), 7 volte meno di quelli inglesi e 4 dei francesi.

La lista dei 10 siti Unesco più visitati al mondo si apre con Angkor Wat, in Cambogia e, unico sito italiano, Matera, salita al sesto posto dell’elenco nel 2017 grazie alla forte promozione internazionale della città lucana, che sarà Capitale europea della Cultura nel 2019.

Manca ancora da noi la realizzazione del progetto «Rete Siti Unesco» elaborato da anni dall’Associazione Province Unesco Sud Italia: cofinanziato dal Mibac e promosso dall’Unione Province Italiane (Upi), dovrebbe, con oltre un milione di euro già investiti, «promuovere l’offerta delle risorse paesaggistiche e culturali in 14 siti sofferenti e abbandonati».

Questi siti, oltre al degrado come nella necropoli delle 6mila tombe di Pantalica in Sicilia, soffocata dalla vegetazione spontanea, o a Villa d’Este a Tivoli, con il viale d’ingresso occupato da una rete di bancarelle abusive che impediscono l’ingresso a disabili e scoraggiano i turisti, sono carenti anche di servizi essenziali come, in alcuni casi, le toilette.

Il 70% dei nostri siti Unesco è privo di semplici cartelli didattici ed è assente la connessione con gli altri luoghi d’arte del territorio: mancano sussidi multimediali e nuove tecnologie. «Una gita da incubo, quella recente a Castel del Monte, Puglia, sito Unesco dal 1996», racconta Francesco D’Andria, archeologo dell’Università del Salento.

Deluso dalla visita al magnifico castello ottagonale senza alcuna informazione e, all’uscita, centinaia di turisti e scolaresche in una bolgia disordinata: gli infopoint con le indicazioni dell’orario delle navette erano fuori uso. «Un vero medioevo: mezzi pubblici che passavano veloci fermandosi a caso inseguiti da gruppi di turisti. Eravamo  impauriti ed esterrefatti». Il caos di fronte a uno dei simboli della cultura mondiale.

«Uno scandalo», afferma D’Andria, che fino allo scorso anno ha diretto la Missione archeologica italiana a Hieropolis, sito Unesco in Turchia. Forse non è un caso che Hierapolis/Pamukkale, dotato di strumenti modernissimi, ricostruzioni virtuali e percorsi con punti di ristoro e souvenir firmati da celebri artigiani e artisti, abbia avuto oltre 2 milioni di visitatori nel 2017 mentre Castel del Monte si è fermata a 250mila.

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