Esodi di massa e muri anti-migranti. Succedeva già 4.500 anni fa, al collasso del 1° impero della Storia. Per i cambiamenti climatici [di Vasile Ersek]
Busines Insider Italia – The Conversation 20 gennaio 2019. La grotta di Gol-e-Zard si apre all’ombra del monte Damavand, che con i suoi cinquemila metri domina il paesaggio dell’Iran settentrionale. All’interno, le stalattiti e le stalagmiti crescono lentamente da millenni, serbando al loro interno indizi di passati eventi climatici. Le alterazioni chimiche nelle stalagmiti di questa grotta permettono oggi di mettere in relazione la caduta dell’impero accadico,avvenuta più di quattromila anni fa, con i cambiamenti climatici. Quello accadico è stato il primo impero del mondo. Si stabilì in Mesopotamia circa quattromilatrecento anni fa dopo che il suo sovrano, Sargon di Akkad, unificò una serie di città-stato indipendenti. L’influenza accadica si estese lungo i fiumi Tigri ed Eufrate da ciò che oggi è l’Iraq meridionale attraverso la Siria e la Turchia. L’estensione Nord-Sud di questo impero copriva aree climatiche diverse, dai fertili territori del Nord (uno dei “granai” dell’Asia), molto condizionati dalle precipitazioni, alle pianure meridionali irrigate grazie alle alluvioni. Sembra che l’impero fosse diventato via via sempre più dipendente dalla produttività dei territori settentrionali, usando i cereali prodotti in quelle regioni per sfamare l’esercito e assegnare forniture alimentari ai maggiori sostenitori dell’impero stesso. A un secolo dalla sua formazione l’impero accadico collassò improvvisamente, provocando emigrazioni di massa e conflitti. L’angoscia vissuta in questo periodo è perfettamente rispecchiata nel testo dell’antico Anatema di Akkad, che racconta i tumulti seguiti alla scarsità di acqua e cibo: … i grandi poderi coltivabili non rendevano il grano, le pianure allagate non davano pesci, più nessuno sciroppo o vino dai frutteti irrigati, la pioggia non cadeva dalle spesse nuvole. Siccità e polvere. La ragione di questo collasso è tuttora dibattuta dagli storici, dagli archeologi e dagli scienziati. Una delle versioni più attendibili, sostenuta da Harvey Weiss, archeologo dell’università di Yale (sviluppando precedenti idee di EllsworthHuntington), è che ciò fu causato da un’improvvisa siccità che colpì le regioni settentrionali dell’impero. Nella Siria settentrionale Weiss e i suoi colleghi hanno trovato le prove di un repentino abbandono, avvenuto circa quattromiladuecento anni fa e segnalato dall’assenza di ceramica e di altri resti archeologici, di una regione fino a poco prima prospera. I fertili suoli dei periodi precedenti sono stati sostituiti da grandi quantità di polvere e sabbia portate dal vento, facendo pensare all’avvento di una siccità. Le analisi effettuate in seguito su alcuni sedimenti marini del Golfo di Oman e del Mar Rosso hanno messo in relazione la comparsa delle polveri nel mare con le quelle presenti nella distante Mesopotamia in quel periodo, offrendo ulteriore evidenze di una siccità su scala regionale. Molti altri ricercatori hanno però guardato con scetticismo alle conclusioni di Weiss. Alcuni osservano, ad esempio, che le tracce sia marine sia archeologiche non sono abbastanza precise da poter dimostrare una solida relazione tra la siccità e i cambiamenti sociali avvenuti in Mesopotamia. Nuovi e più precisi dati climatici. I dati provenienti dalle stalagmiti iraniane gettano oggi una nuova luce su questo dilemma. In uno studio pubblicato nella rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS), diretta da Stacy Carolin, paleoclimatologa di Oxford, io e i miei colleghi abbiamo presentato un resoconto datato in modo attendibile e molto dettagliato della presenza di queste polveri tra i 5.200 e i 3.700 anni fa. La polvere proveniente dalla grotta in Iran può dirci sorprendentemente parecchio della storia climatica, anche di altrove. La grotta di Gol-e-Zard è sì a diverse centinaia di chilometri a Est del trascorso impero accadico, ma è direttamente sottovento rispetto a quest’ultimo. Il 90% delle polveri di questa regione provengono dai deseri della Siria e dell’Iraq. La polvere di quei deserti ha una concentrazione in magnesio maggiore dell’arenaria locale che va a formare la gran parte delle stalagmiti (quelle formazioni che crescono dal suolo della grotta verso l’alto) di Gol-e-Zard. In questo modo, le stalagmiti possono essere usate come indicatori della presenza di polvere in superficie, dove le maggiori concentrazioni di magnesio indicano periodi più polverosi; per estensione, anche più siccitosi. Le stalagmiti hanno l’ulteriore vantaggio di poter essere datate con grande precisione con il metodo Uranio- Torio. Combinando diversi criteri, i nostri studi offrono una storia dettagliata della presenza di polveri nell’area, identificando due principali periodi di siccità iniziati 4.150 e 4.260 anni fa e durati 110 e 290 anni, rispettivamente. L’evento più recente accadde precisamente al momento del collasso dell’impero accadico, avvalorando con forza l’ipotesi che vede il cambiamento climatico almeno in parte responsabile dell’accaduto. Al collasso civile seguì una migrazione di massa dal Nord al Sud, che vide la resistenza delle popolazioni che incontrò. Fu anche costruito un muro di 180 km. – il “Respingitore degli Amoriti” – tra il Tigri e l’Eufrate, nell’intento di controllare l’immigrazione, non diversamente dalle strategie proposte oggi a proposito. Le storie dei bruschi cambiamenti climatici avvenuti in Medio Oriente riecheggiano da millenni fa fino ai giorni nostri. *Senior Lecturer in Physical Geography. Northumbria University, Newcastle. Questo articolo è tradotto da ** Foto: L’impero accadico durante il regno di Narâm-Sîn (2254-2218 a.C.). Il monte Damavand è indicato in blu. Zunkir / Semhir / wiki, CC BY-SA
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