La Costituzione ripudia la guerra ma la RWM vende la morte. La Regione Sardegna da che parte sta? [di Mauro Gargiulo]

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La Giunta Regionale con Delibera 3/26 del 15.1.19 ha deciso di non assoggettare a valutazione di compatibilità ambientale (VIA) la realizzazione di un nuovo campo (R140) per prove di scoppio di munizioni ed esplosivi in loc. S. Marco (Iglesias), ampliamento dell’adiacente stabilimento RWM (Domusnovas), che produce armi e munizioni.

Nel comunicato che ne dà notizia l’Assessore invoca l’intervento dello Stato per bloccare  la produzione di armi sul territorio sardo e la riconversione della fabbrica. Occorre scindere i due distinti livelli, quello tecnico-amministrativo della verifica ambientale da quello politico della produzione di materiale bellico. La vicenda della fabbrica sulcitana è abbastanza nota.

La S.E.I che negli anni 70 aveva realizzato a Domusnovas uno stabilimento per la produzione di esplosivi per uso civile, riceve nei primi anni 2000, a seguito della crisi mineraria, un finanziamento pubblico di 6 miliardi di lire per la riconversione in produzione di armamenti bellici. Nel 2010 la proprietà passa alla RWM Italia, società controllata dalla tedesca Rheinmetal, una multinazionale con un fatturato da 6 milioni di euro di cui il 50% in armamenti.

Poco dopo (2012) la RWM riconverte la linea produttiva, dedicandola esclusivamente alla realizzazione di materiale bellico ed ampliando poi a più riprese lo stabilimento, fino ad incrementare il fatturato nell’ultimo biennio del 200%. Beneficia nel frattempo di una serie di interventi pubblici per la sistemazione di viabilità ed aree al contorno. Benché il ciclo produttivo e commerciale sia coperto da segreto militare, è certo che gli ordinativi  provengano dall’Arabia Saudita e che il materiale bellico venga impiegato nel conflitto della coalizione araba contro lo Yemen.

Il trasferimento degli ordigni avviene attraverso i porti di Cagliari, Olbia e Sant’Antioco, nonché per via aerea da Elmas. E’ dunque acclarato che l’esplosivo proveniente dalla Sardegna venga utilizzato in un conflitto con fini offensivi ed in palese violazione dei diritti umani e che sia la produzione che la commercializzazione si svolga con la connivenza  di Governo e Regione.

Giova ricordare che sia la riconversione produttiva da civile a bellica, sia l’ampliamento complessivo è avvenuto frazionando gli interventi a più riprese, in modo da non consentire una visione d’insieme delle attività produttive e aggirare la procedura di VIA, limitando gli adempimenti amministrativi a semplici comunicazioni al SUAPE dei Comuni interessati.

Fa eccezione l’ampliamento in corso del campo R140, ma, come detto, la Regione ha escluso “a priori” ogni ipotesi di impatto sull’ambiente nelle attività di prova degli esplosivi. Sussistono ampie riserve sui presupposti tecnici a fondamento di tale apodittica conclusione, visto che non si conoscono i processi produttivi e le caratteristiche tecniche dei materiali testati, coperti dagli “omissis” nella documentazione tecnica.

Sarebbe stato inoltre opportuno divulgare i risultati delle prove e dei campionamenti eseguiti dall’ARPAS sulle matrici ambientali, le modalità di esecuzione, il perimetro e le profondità dei prelievi al fine di comprendere su quali dati reali si sia giunti ad escludere l’eventualità di una presenza di fattori inquinanti, posto che l’intera area (circa ha.193) risulta interdetta.

Anche sotto l’aspetto della compatibilità con la pianificazione territoriale sussistono ampie riserve, visto che il campo prove R140 ricade in una “Zona Bianca”, ovvero non disciplinata da strumenti urbanistici, nonché a 800 mt. dal SIC Marganai-Monte Linas ed all’interno di un Parco Geominerario  e del Parco regionale del Linas.

Gli interventi e le attività ammessi nelle Zone Bianche ai sensi dell’art.9 del DPR 380/01 dovrebbero considerarsi di “default” ovvero di carattere prettamente conservativo e non può dirsi che il sorgere di un campo prove per esplosivi e di una nuova linea produttiva per ordigni bellici possano farsi ricomprendere tra quelli non “innovativi” per un’area ubicata in agro.

Inoltre tutti i Parchi godono al contorno di aree buffer per le quali deve procedersi almeno alla VINCA. La propensione a seguire procedure eterodosse ha avuto un’ulteriore conferma nel corso dei lavori di bonifica da amianto in un capannone industriale, sempre di proprietà RWM, sito nella zona industriale di Iglesias (loc. Sa Stoia).

Non risultano chiare le procedure di decontaminazione e di smaltimento delle circa 250 tn di rifiuti contaminati., come pure è a tutt’oggi ignoto il materiale stoccato nel capannone, la sua destinazione d’uso futura e il ruolo che il deposito dovrà svolgere nell’ambito del ciclo produttivo della fabbrica di Domusnovas.

Non è dunque frutto di mera casualità il riferimento dell’Assessore all’ “autonomia degli uffici competenti”, un richiamo che è da interpretarsi come un’esplicita “excusatio non petita”. Nel contempo è sconcertante il contenuto “politico” del comunicato se solo si riflette sui vincoli imposti dalla Costituzione.

Val la pena solo rievocare l’art.11 “l’Italia ripudia la guerra….” e gli artt.41 e 2, secondo i quali l’attività privata non può svolgersi in danno della dignità, della libertà e della solidarietà umana. Non sussistono dubbi sulle violazioni costituzionali delle produzioni belliche in questione, che dovrebbero indurre a bloccare l’attività della RWM.

Se non bastasse, una legge del 1990 (la l.185) detta vincoli sulla riconversione di tali impianti da civili al settore difesa, tra cui il divieto di esportazione verso Paesi che non rispettano i diritti umani ed in assenza di garanzie sulla destinazione delle armi (art.1).

Si aggiungano  le Risoluzioni del Parlamento Europeo (2016, 2017 e 4/10/18) con cui, oltre alla condanna delle ripetute violazioni dei diritti umani nella guerra in Yemen, si formula l’esplicito embargo delle armi nei confronti dell’Arabia Saudita. Non mancherebbe dunque al distratto Governo sardo un sostegno normativo per mettere in angolo un riluttante Governo nazionale, prodigo di parole, avaro nei fatti!

Stupisce peraltro la tardiva presa di posizione nei confronti dell’attuale Governo, se raffrontata al prolungato silenzio verso i precedenti. Nicodemismo sotto la spinta di un fine mandato, perché non si può in patria “sgombrare la VIA” e imputare ad altri l’esclusiva responsabilità della fabbrica di morte! Sarebbe stato etico interrogarsi sull’assenso alla trascorsa riconversione da civile in bellica, sull’inazione nei confronti dell’arroganza ampliativa, sull’avallo all’utilizzo di porti ed aeroporti.

A fronte di tale latenza gnomica la richiesta di riconversione della fabbrica, oltre che problematica, si palesa come la foglia di fico con cui celare le vergogna di un fallimento politico. Si continua a non voler prendere coscienza di ciò che è sotto gli occhi di tutti. Un territorio, il Sulcis, devastato dagli inquinamenti frutto di disastri industriali, condannato a nutrirsi di cieche speranze ereditate dal nascere distretto minerario, ostinato nella perseverante erosione delle risorse.

Un territorio dotato di uno sconfinato patrimonio ambientale e culturale, ma che, oppresso dal calcagno del ricatto elettorale, è in endemica crisi occupazionale. Inutile piatire una riconversione sotto l’incubo della perdita di posti di lavoro destinati a svanire su pressioni internazionali. Occorre ripensare un’economia del territorio che assuma a principio la triplice sostenibilità col fine di una virtuosa circolarità. Assiomi evocati negli atti della Giunta, ma non tradotti in azioni concrete.

E’ in tale prospettiva e non per vano contendere, che si colloca il ricorso al TAR avverso all’autorizzazione ai nuovi  reparti produttivi R200 e R210 proposto da Italia Nostra insieme ai Comitati territoriali uniti. Se il TAR dovesse accoglierne le motivazioni, le forze civiche vedrebbero legittimata la loro opposizione ad una nefasta politica che rende l’Isola complice di un crimine contro l’umanità.

*Italia Nostra Sardegna

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