Dall’effimero alle virtù politiche. Leggi del bene oggi in Italia [ di Leonardo Becchetti]

Ethics

Avvenire.it 23 Febbraio 2019.  La quantità enorme di dati che abbiamo a disposizione su individui di quasi tutti i Paesi del mondo fornisce indicazioni piuttosto chiare sulle determinanti principali di soddisfazione e senso della vita.

Proprio ieri l’Istat ha segnalato come nei primi mesi del 2018 sia leggermente risalito – fino a un voto medio 7 – il grado di soddisfazione degli italiani per la propria condizione di vita. Stabile il giudizio positivo rispetto al lavoro (77%), sale invece quello realtivo alla condizione economica (59%) ed è quasi plebiscitaria la percentuale di persone soddisfatte delle proprie le relazioni familiari (90%) e amicali (82%).

Assieme a fattori scontati come il reddito, un’occupazione e la salute sono importanti la qualità della vita politica (assenza di corruzione, libertà d’iniziativa) e la “generatività” (qualità della vita di relazioni e gratuità). Ma se gli ingredienti sono chiari perché siamo in così tanti casi lontani dalla mèta e sembra così difficile raggiungerla? La risposta è nelle differenti caratteristiche tra tre tipi di bene: il bene “effimero”, la virtù individuale e la virtù politica. Il bene “effimero” è semplice, attraente e non tradisce mai.

Chiunque e da qualunque condizione di vita di partenza può sentirne l’attrazione e il richiamo. Un gesto di gratuità non delude, i suoi “dividendi interiori” (che uno studioso di economia comportamentale come James Andreoni chiama «warm glow», ovvero quella calda risonanza interiore che fa seguito a un gesto di gratuità) non sono soggetti alla volatilità dei rendimenti delle attività finanziarie.

Se il gesto individuale di gratuità ripaga sempre, la possibilità di costruire un percorso di vita più stabile e coerente in quella direzione è molto più difficile e richiede un investimento dove la libertà-di viene impiegata per costruire una libertà-da che fonda la libertà-per. Un economista come Tibor Scitovsky spiegava brillantemente la differenza tra “beni di comfort” e “beni di stimolo” dove i primi producevano appagamento immediato, ma attutivano la capacità d’investire nei secondi che producevano invece soddisfazione stabile e duratura. Istruzione, cultura, competenze professionali, abilità sportive sono altrettanti “beni di stimolo” che non è possibile consumare se non si è precedentemente investito.

Se la virtù individuale che rende costante e stabile la possibilità di godere di quel «warm glow» prodotto da esperimenti estemporanei di gratuità che ci affascinano, la realizzazione della virtù politica è ancor più complicata perché dipende dal coordinamento tra le scelte virtuose e di senso civico di una molteplicità di cittadini.

Come è noto nelle scelte sociali tale coordinamento è costantemente minacciato dalla tentazione dell’opportunismo con il quale portiamo a casa un risultato effimero di breve periodo, ma mettiamo a rischio il conseguimento di un risultato superiore di lungo periodo che nascerebbe dalla cooperazione.

Il compito del politico (come quello dell’economista) è molto più difficile di quello del meccanico (le cui competenze bastano a riparare un guasto) e del medico (che oltre alle proprie competenze ha bisogno della collaborazione del paziente). Perché la virtù politica si realizzi non bastano le competenze degli addetti ai lavori e la collaborazione di uno o qualche paziente.

È necessario il senso civico di molti o moltissimi, e questo rende il lavoro particolarmente difficile. Il difficile perseguimento della virtù politica che presuppone quelle individuali è fortemente a rischio nel nostro Paese per storia recente e vizi atavici (e per un livello preoccupante di analfabetismo funzionale, più elevato nel nostro paese che nel resto d’Europa).

Guglielmo Minervini amava ricordare come il difetto fondamentale degli italiani è quello della ricerca dell’«uomo della provvidenza», del leader a cui affidare taumaturgicamente la soluzione dei problemi politici. Quasi che questo bastasse e non ci fosse invece necessità di quel complesso coordinamento delle scelte civiche individuali, che è essenziale per produrre la virtù politica.

Ancora oggi troppi italiani sperano nell’«uomo della provvidenza», nella zattera di salvataggio di un sussidio che arriva senza alcuna contribuzione al bene comune o nella bacchetta magica di una ricetta macroeconomica che risolve come per incanto i problemi del Paese.

Prendendo a prestito la metafora Collodiana, per tanti di noi il programma politico del Gatto e la Volpe è molto più affascinante di quello di Geppetto, con il rischio che il Paese si ritrovi presto nel ventre della balena di una crisi finanziaria autoindotta a dover svolgere compiti di bilancio ben più gravosi degli attuali.

Ci vorrebbe una Fata Turchina, ovvero la capacità di svelare gli inganni e al contempo rendere attrattivo quel sudore, quella fatica, quel rimboccarsi le maniche per il progresso di sé e degli altri che è il sapore vero della vita.

La strada che porta dal bene effimero alle virtù individuali e politiche è lunga e difficile. Le donne e gli uomini di oggi, abituati ad avere tutto e subito in rete e sempre meno provenienti da cammini nei quali sperimentano su di sé, e attraverso esempi, il valore di questi percorsi, saranno capaci di costruirla? Continuiamo a sperarlo.

 

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