Archeologia: etica e passione [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 12 marzo 2019. La città in pillole. Si chiamava Sebastiano Tusa. Archeologo che come altri della sua generazione ha vissuto la trasformazione dell’archeologia da disciplina monolitica all’attuale declinazione plurale. Con la consapevolezza delle sentinelle dell’art. 9 della Costituzione non si sottrasse all’impegno civile che lo portò anche al recente ruolo di assessore regionale. Ma già nel 2004, come funzionario regionale (la Sicilia ha competenza nei BB.CC.), fu protagonista nella fondazione della prima Soprintendenza del mare in Italia. Il patrimonio culturale sottomarino fu da allora oggetto di tutela sistematica per sottrarre ai predoni, che alimentano il mercato clandestino di reperti per collezioni e musei di mezzo mondo, la lucrosa spoliazione di relitti specie lungo le coste. Come celebrare una persona con tale dedizione per il suo lavoro e la sua terra, diventati tutt’uno, se non col suggestivo periplo che unisce come un filo rosso il Mediterraneo. Una rotta delle isole, con Sicilia e Sardegna domicili privilegiati, fondata sulla geografia di un mito irriducibile rappresentato dall’eroe greco Ercole/Herakles, e dal suo omologo, libio o fenicio, Makeris/Melqart, padre di Sid/Sardus pater, divinità principe della Sardegna. Pausania narra che una sua statua in bronzo, dono dei nostri progenitori, era presente nel tempio di Apollo a Delfi. La sequenza mitografica trova sintesi ad Antas ma pure a Cagliari; a Tuvixeddu, in una tomba a pozzo, affrescata in ocra rossa, una figura maschile nuda con un panno intorno alla vita, barba ed elmo, mentre lancia un’asta, fu identificata da Ferruccio Barreca con Sid, a conferma che la Sardegna è stata a lungo l’isola di Herakles e delle sue genealogie. Nel Museo Archeologico è visibile la sua sorprendente densità figurativa: dall’Ercole bronzeo, capolavoro trovato a Posada, alla Heraklesschalen, coppa in vernice nera con stampigliato Ercole con la pelle di leone, riconosciuto da chi scrive durante lo “scavo” per la tesi di laurea, nel materiale rinvenuto da Doro Levi ad Olbia. Ma il Sardus Pater, con l’inconfondibile copricapo piumato, mostra la sua potenza specie nel bronzetto di Decimoputzu, nella statuina del pozzo di Genoni, e nelle terrecotte del frontone del tempio di Antas che Giuseppina Manca ha identificato di recente. E’ la prova che i relitti materiali e immateriali che affiorano dal passato strappano all’oblio solo chi gli riconosce valore. |