Restauro: I medici dell’Arte. Approvata dopo 24 anni una prima megalista di 6.600 restauratori [di Gianluigi Colalucci]
Il Giornale dell’Arte.it marzo 2019. Sino ad oggi non c’è stata inaugurazione di un importante restauro in cui il ministro dei Beni culturali di turno non abbia ripetuto la fatidica frase: «I restauratori italiani sono i migliori del mondo, evviva l’eccellenza del restauro italiano». Cullarsi in questa convinzione senza fare nulla per sostenerla, o peggio mettere mano al delicato e complesso settore del restauro in modo confuso, errato e con gravissimi ritardi è stata colpa grave. Oggi, dopo più di 14 anni dalla legge del 2004, reiterata nel 2009 (ma se ne parlava già nel 2000), che stabiliva i percorsi formativi, è stato pubblicato l’Elenco nazionale dei restauratori inquadrati secondo tabelle che ne definiscono i settori di competenza e in base alle quali sono state valutate le 6.351 domande presentate per l’ottenimento della qualificazione a «Restauratore di beni culturali». Un lavoro enorme e molto meritorio svolto da un’apposita Commissione del Mibac, alla quale dovremmo essere tutti molto grati anche se, inevitabilmente e comprensibilmente, ha lasciato dietro di sé alcune insoddisfazioni. I settori di competenza individuati sono 12. Alcuni di questi sono a sé stanti perché inerenti ad ambiti molto specifici della conservazione, come quello del materiale fotografico, dei manufatti di metallo, dei manufatti in vetro ecc.; mi lascia invece molto perplesso lo spezzatino fatto nel settore della pittura che vede i dipinti murali inseriti nel settore delle superfici decorate dell’architettura assieme agli stucchi, sigla Pfp1. Ma questa è una vecchia storia, una stortura nata ai tempi in cui si andavano disegnando i percorsi formativi e si decise di dividere i manufatti in base ai supporti. Una visione della conservazione verso la quale sono stato sempre molto critico perché la vedevo come un limite alle conoscenze del restauratore. Le scelte di allora stanno mostrando oggi molte debolezze, ma ormai c’è ben poco da fare. I settori di fatto definiscono gli ambiti entro i quali il restauratore potrà agire; quindi, pur con tutte le sue imperfezioni, bisogna riconoscere a questa sanatoria il merito di aver iniziato a mettere ordine nel settore e di aver dato una grande opportunità a chi esercitava la professione senza una formazione riconosciuta. Rimane molta strada da fare, perché un punto critico, ad esempio, è rappresentato dall’esame di abilitazione per «tecnici del restauro» che vogliano acquisire la qualifica di «restauratore di beni culturali». Su questo punto considero molto scorretto (qui sono pienamente d’accordo con l’Ari, Associazione Restauratori d’Italia) che, come al solito, il decreto per l’esame abilitante in questione sia stato dibattuto e messo a punto senza coinvolgere direttamente la categoria dei restauratori. Mi auguro che al Ministero ci sia un ripensamento su questo. Inoltre mi auguro che l’esame sia serio e severo per evitare che si nominino «todos caballeros». E finalmente una buona notizia: per legge il restauratore ha titolo per ricoprire il ruolo di direttore dei lavori negli interventi su beni culturali. Era ora! Da sempre, infatti, chi mette le mani direttamente sull’opera d’arte è il restauratore. E dato che l’incolumità dell’opera passa attraverso le sue capacità personali nonché attraverso il controllo dei suoi collaboratori, mi sembra logico che gli oneri della responsabilità e delle decisioni ricadano su di lui, nel bene e nel male.
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