Le donne in Magistratura [di Fiorella Pilato]
L’Unione Sarda 16 marzo 2019. Il Dibattito. A proposito della sottorappresentanza delle donne in alcuni luoghi della decisione va riaffermato che ogni pratica di esclusione è a termine. Lo è stato in magistratura, interdetta in Italia alle donne da una legge del 1919 e dall’ordinamento giudiziario del 1941, che ne riservava l’accesso al cittadino italiano, di razza ariana, di sesso maschile ed iscritto al P.N.F. Nel 1947, quando l’Assemblea Costituente dovette decidere se riconoscere alle donne questo diritto, i vecchi pregiudizi riaffiorarono. Alcune perle: La donna deve rimanere la regina della casa […]. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche […]. Era impossibile parificare i sessi perché […] nella donna prevale il sentimento sul raziocinio, mentre nella funzione del giudice deve prevalere il raziocinio sul sentimento. Era assurdo immaginare donne negli alti gradi della magistratura e il linguaggio di molti padri costituenti identifica la donna con le sue funzioni riproduttive e tra le mura di casa. Ma l’Assemblea era anche la prima sede della rappresentanza politica delle donne che contribuirono alla scrittura della Costituzione. Poche madri costituenti ma decisive. A Lina Merlin si deve la formulazione dell’art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, base giuridica per la piena parità di diritti tra uomo e donna. Quando nella discussione fu chiaro che per l’accesso in magistratura non sarebbe passato il testo di Piero Calamandrei (al concorso possono essere ammesse anche le donne) e spuntò una formula di compromesso per escluderle da alcune funzioni, Teresa Mattei e Maria Maddalena Rossi presentarono un emendamento sostitutivo che ripristinava il diritto senza condizioni. Prevedendone la bocciatura, Maria Federici Agamben ne presentò uno soppressivo, senza riferimenti alle donne perché non entrasse in Costituzione un inciso che potesse bloccare il loro accesso ad alcune funzioni giurisdizionali. Un ordine del giorno per affermare che l’art. 51 che consente a tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso di accedere a uffici pubblici e cariche elettive in condizioni di uguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge, bastava a garantire alle donne il diritto all’accesso in magistratura. Grazie agli artt. 3 e 51 la Corte costituzionale nel 1960 dichiarò illegittimo il divieto del 1919; ma solo nel 1963 il Parlamento approvò la legge che consentì alle donne di partecipare ai concorsi. Escluse dai sedici precedenti, otto donne vinsero quello del1963 e furono assunte nel 1965. Da una media iniziale per concorso del 4-5%, 10-20% negli anni ’70, 30-40% negli ’80 fino a superare ampiamente la metà col sorpasso nel 1987. Dal 1996, la percentuale di vincitrici è superiore, con un largo divario dal 2007, grazie a studentesse in giurisprudenza più meritevoli dei maschi e al segreto sull’identità dei concorrenti nella valutazione degli scritti che impedisce alla radice discriminazioni di genere. La magistratura italiana oggi è fatta di uomini e di donne di provenienze sociali diverse, specchio del corpo sociale di cui interpreta sensibilità e bisogni. Dal 2015 il numero superiore di donne è un dato di fatto, mentre è una tendenza la riduzione progressiva dello squilibrio tra i sessi negli incarichi direttivi e semidirettivi, ancora a favore dei maschi soprattutto per i direttivi. Hanno contribuito al cambiamento la scuola dell’obbligo con valori, culture, esperienze più articolate, e soprattutto le donne, portatrici di una mentalità di genere e di una percezione del ruolo come servizio socialmente utile. In magistratura finalmente le donne non soffrono esclusione e discriminazione? Non proprio. Il vistoso sorpasso, testimone della pari opportunità d’accesso e del merito, nasconde un’insufficiente tutela della maternità e la sottorappresentanza negli organi di autogoverno, identica a quella endemica in qualunque istituzione elettiva. Sono dati comuni a tutta la politica nazionale e interdipendenti che dovrebbero far riflettere le donne sulla necessità di prendere in mano il destino proprio e del paese per salvarlo dall’irrilevanza e dal declino. *Magistrata, già componente del CSM
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