Basta ”Ora tocca a noi”: ora tocca a tutti. Cagliari ha bisogno di un civismo vero: chi riuscirà a interpretarlo? [di Vito Biolchini].

A poco a poco ci si sveglia dal sogno e la città ora ci guarda. Con le sue periferie in mano alla criminalità (arresti e sequestri di ingenti quantitativi di droga si susseguono quasi giornalmente a ritmo impressionante), il suo centro storico desertificato di giorno e stravolto di notte da una fittizia identità fatta di spritz e taglieri a dieci euro, le sue ricchezze ambientali e artistiche abbandonate al loro destino (il parco di Molentargius eterna incompiuta, quello di Tuvixeddu un fantasma di cui si ha anche imbarazzo a parlare, il Poetto usato come se fosse un enorme spazio fungibile in cui tutto è possibile), la sua classe dirigente senza punti di riferimento e in lotta per mantenere le solite rendite di posizione (esemplificativo dei tanti conflitti, quello alla Camera di Commercio che sfocerà nelle aule dei tribunali).

Questa è Cagliari, oggi. Oltre le narrazioni di comodo e le esaltazioni interessate: una città spaesata e inconsapevole, davanti all’ennesimo bivio della sua storia millenaria.

Otto anni di amministrazione di centrosinistra, attesa per decenni come l’acqua nel deserto, ci lasciano in realtà una città dove non si è riusciti a invertire la rotta come sperato. Nessun cambiamento è stato operato in profondità. Mera alternanza, e non l’alternativa tanto agognata.

Quella leggerezza che è caratteristica distintiva del vivere e dell’agire nella nostra città, trasformata in superficialità da una classe politica di sinistra che ha fatto della fuga dal confronto a viso aperto, delle narrazioni interessate e, in ultima analisi, della maldicenza i suoi principali strumenti di lotta politica. Insieme ad una sistematica occupazione del potere da parte di una microcerchia di affamati. “Ora tocca a noi”, recitava il loro slogan elettorale.

In quel “noi” gran parte della città progressista, rimasta negli anni della destra senza voce, si era riconosciuta, salvo poi accorgersi amaramente che quel “noi” erano solamente loro e basta. Torneranno nei bassifondi della politica da cui erano sbucati, proveranno a reinventarsi reinventando l’ennesimo partito di sinistra fatto sempre dalle stesse persone. Sappiamo chi sono, non li rimpiangeremo.

Perché ora a poco a poco i problemi che hanno creato o evitato di affrontare torneranno a galla. E contestualmente, si spera, i polmoni a respirare e i cervelli a ragionare.

La città può e deve tornare ad essere protagonista. C’è voglia di civismo: quello vero però, non quello usato dai partiti per ingannare l’elettorato. Dopo “Ora tocca a noi”, dovremmo dire “Ora tocca a tutti”. Nessuno si deve sentire escluso dalla responsabilità di dare voce ai cagliaritani, primi fra tutti gli schieramenti che si presenteranno alle prossime comunali.

Dal suo punto di vista, il centrodestra è riuscito talvolta nei lunghi anni di amministrazione Delogu-Floris ad ascoltare le istanze che arrivavano dal basso. Ma solo per evitare conflitti e comunque in maniera quasi mai coerente e con tanti limiti di visione. Perché il centrodestra cagliaritano ha sempre avuto paura ad affrontare la sfida della modernità.

A partire dall’idolatrato sindaco Delogu, che (solo per fare due esempi) vent’anni fa rimandò indietro a Bruxelles i soldi della metropolitana leggera solo perché non voleva farla passare in via Roma e decise di non dare il via alla raccolta differenziata dei rifiuti ritenendola un azzardo. Scelte sbagliate, operate per assenza di una visione futura della città, pagate a caro prezzo da tutti i cittadini e a cui si è posto rimedio solo con l’avvento dell’amministrazione di centrosinistra.

Riuscirà il centrodestra cagliaritano ad uscire dalle acque stagnanti della sua limitata visione politica, strenuamente incardinata su un’idea di sviluppo che mortifica i beni ambientali, storici e paesaggistici? Riuscirà a chiamare a raccolta una classe politica nuova, fuori da i soliti cognomi e dai soliti interessi? Riuscirà, banalmente, a guardare oltre il proprio naso come quasi sempre ha fatto? Al di là di tutto, la città ne avrebbe un enorme giovamento.

La sfida del centrosinistra è più complessa. Perché dovrebbe intanto ammettere che Massimo Zedda è parte del problema del centrosinistra cittadino e sardo e non quella salvifica soluzione come qualcuno (ancora cieco davanti ai risultati delle ultime regionali) si ostina a ritenere.

Se non serve una inversione a U, poco ci manca. In una intervista all’Unione Sarda di ieri, il consigliere regionale Piero Comandini, di sicuro il più autorevole tra gli esponenti del centrosinistra che potrebbero candidarsi alle prossime comunali, ha fatto intendere di avere ben presenti i limiti dell’amministrazione uscente.

Il punto di partenza sarebbe incoraggiante se non fosse che in pochi mesi il centrosinistra dovrebbe recuperare quel dialogo con alcuni mondi tradizionali di riferimento (penso solo al volontariato, all’associazionismo e alla cultura), sistematicamente mortificati in questi ultimi otto anni.

Forse il tempo è finito.

Dei 5 Stelle parlano le cifre: sotto il dieci per cento alle comunali di tre anni fa, sotto il dieci per cento in città alla regionali di un mese fa. In mezzo, il generalizzato exploit alle politiche dello scorso anno e il risultato alle suppletive di gennaio di difficile decifrazione. Di sicuro il Movimento è a un bivio. Se a livello locale non apre alle alleanze è destinato ad avere un ruolo secondario, ma Di Maio non sembra avere fretta di accelerare quella transizione che lui stesso ha annunciato.

A Cagliari i 5 Stelle sembrano quindi essere destinati a restare in una terra di nessuno, anche perché in questi tre anni non si sono distinti in particolari battaglie che li hanno resi protagonisti in città. Per questo, alleanze o meno e pena la mrginalità, a loro serve aria nuova, volti nuovi, un approccio diverso e più battagliero e meno ideologico. La città ne avrebbe bisogno.

Poi ci sono gli “altri”, ovvero quei mondi indipendentista, di sinistra e cattolico che tre anni fa con Enrico Lobina e Paolo Matta cercarono di portare una visione diversa in consiglio comunale. Quella sconfitta oggi può portare frutti. A patto però che il progetto per una città possibile prevalga chiaramente sui personalismi e sull’adorazione di sigle e simboli che ai cagliaritani continuano a non voler dire nulla. Servirebbe un progetto civico vero, incentrato sulla volontà di risoluzione di problemi concreti e non sulla volontà di riproporre ricette già fallimentari.

La situazione è complessa, come i problemi che il governo di una grande città presenta. Ogni schieramento per vincere o anche solo per presentarsi degnamente al giudizio degli elettori, è però chiamato ad un deciso cambio di passo. Il tempo è pochissimo ma Cagliari ha voglia di cambiamento e pretende di essere ascoltata.

La sfida è aperta: e tutti dovrebbero raccoglierla.

 

 

 

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