Siamo sicuri che le nuove generazioni saranno progressiste? [di Wired]

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Wired 20 marzo 2019 In Italia e nel resto d’Occidente, nazionalisti e i populisti sono preoccupati dai cambiamenti demografici. Leader politici come Trump, Le Pen o Salvini hanno passato gli ultimi anni lamentando – con narrative piuttosto simili – il rischio di sostituzione etnica con un chiaro riferimento alla pulizia etnica di balcanica memoria.

Un classico sul tema è lo spauracchio dell’Eurabia (una teoria geopolitica diffusa tra gli altri anche dalla scrittrice Oriana Fallaci) secondo cui l’Europa, a causa della continua immigrazione dai paesi di religione islamica e del tasso di fecondità calante dei nativi, si vedrà presto colonizzata da una cultura radicalmente diversa dalla nostra. I

l presidente americano è stato accusato da diversi giornalisti di appoggiare, seppur non esplicitamente, le teorie sul white genocide, il genocidio dei bianchi, tipiche delle aree dell’estrema destra; il network del Front National francese è strettamente connesso con quello dei suprematisti bianchi; Matteo Salvini ha fatto riferimento più volte alla presunta sostituzione dei nativi italiani a opera di organizzazioni elitarie, inclusi presunti complotti sorosiani; martedì, il leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni si è spinta in territori ancora più estremi, prendendosela in un tweet addirittura con i “matrimoni misti”.

 Spesso queste posizioni vengono definite anacronistiche, e viste come già sconfitte da una società in cambiamento e inevitabilmente sempre più inclusiva.

Come ricorda il giovane fondatore di Jacobin, Bhaskar Sunkara, i progressisti occidentali spesso adottano una cornice opposta ma simile a quella della destra, confidando nel fatto che i nativi bianchi saranno presto una minoranza, e che prima o poi la generazione più reazionaria semplicemente sparirà. I dati ci forniscono risposte a questa tesi molto diverse, a seconda dei Paesi che guardiamo: negli Stati Uniti, entro il 2044, la soglia fatidica del 50 per cento di americani potrebbe essere costituita da minoranze etniche.

La maggior parte degli esperti ridicolizza invece le ansie acutizzate dalle teorie sull’Eurabia, e tra le nazioni campioni del populismo, come l’Ungheria, l’Italia o la Germania dell’Est, la quota di popolazione straniera è di gran lunga più bassa della media Ue. Per di più, il flusso di rifugiati in Europa è notevolmente in calo rispetto al 2014-15, periodo decisivo per la radicalizzazione delle paure xenofobe nel Vecchio Continente.

E dunque, secondo la narrativa dei progressisti, l’ovvia conseguenza di una società più diversa, con i giovani di oggi che prenderanno il posto degli anziani, sarà il rafforzamento di uno spazio politico più favorevoli ad essi. Confidano, cioè, in una sorta di destino demografico nel quale gli under-30, le donne e gli immigrati di seconda generazione voteranno necessariamente per candidati di centro o di sinistra – qualunque significato queste espressioni potranno avere in futuro – e saranno favorevoli a politiche di apertura e inclusione, piuttosto che di chiusura e conservazione.

Succede ad esempio in Inghilterra, quando si parla di Brexit: la giornalista Polly Toynbee ha scritto esplicitamente qello che molti altri liberal pensano, vale a dire che, morendo, i vecchi favorevoli nazionalisti faranno largo ai giovani pro-Remain. Succede negli Usa: dove effettivamente le minoranze etniche non si sono allontanate mai così tanto dai Repubblicani come durante le ultime Midterm, e 7 elettori su 10 tra i 18 e i 29 hanno votato per i Democratici.

Questa idea presuppone confini molto rigidi tra etnia, età e sesso, da un lato, e scelte politiche dall’altro. Piaccia o no, diverse tendenze di voto raccontano una storia più complessa.

L’ex candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump ha definito narcos e violentatori gli ispanici che vivono nel paese. Tra questi, però, ce n’è almeno uno su tre che ha votato per lui alle ultime elezioni di metà mandato; tra gli under-30, alle ultime Midterm ha votato meno di 1 su 5: non proprio il segnale di una percepita emergenza democratica. La Brexit è stata sì respinta sonoramente dai giovani e dalle minoranze, ma questo oscura il fatto che è stata votata pur sempre da un elettore di origine indiana o cinese su tre.

Chi sostiene i partiti populisti in Austria e Ungheria ha, in media, meno di quarant’anni, e votano nella stessa direzione quelli che si sono recati alle urne per la prima volta; il partito di estrema destra ungherese Jobbik è risultato il più popolare tra studenti universitariin un sondaggio del 2015. Stessa storia per la diavolessa della politica francese, Marine Le Pen, il cui segmento demografico più forte è rappresentato dai 20-30enni.

Insomma, tutto questo punta a un futuro in cui l’elettore medio di partiti illiberali e anti-liberisti potrebbe avere un identikit molto diverso dallo stereotipo del vecchio, ignorante e rancoroso uomo bianco.

In Italia, secondo una ricerca dell’osservatorio Generazione Proteo della LinK Campsu University di Roma, su mille ragazzi tra i 16 e i 19 anni, il 34,5 per cento è favorevole alla reintroduzione della pena di morte per i reati di pedofilia e violenza sessuale. Tra i ragazzi del Veneto, la percentuale sale a quasi una persona su due.

La cosa interessante è che questo dato non coincide con quello dell’elettore cinico o disinteressato alla politica: tra le priorità dei giovani veneti c’è anche, infatti, il ruolo dello stato come garante dellordine e della stabilità nel paese, oltre che di legislatore di regole chiare e da rispettare.

L’86,4 per cento di coloro che avevano diritto di voto, tra gli intervistati, è andato a votare; nel resto d’Italia, invece, lo ha fatto l’80,9 per cento. Insomma, una quota importante di giovani, non solo veneti, sarebbero al tempo stesso favorevoli a una misura tipicamente populista ma anche più ligi al dovere e parte di una cittadinanza politicamente attiva.

Secondo i dati Ipsos, Lega e 5 stelle hanno attratto insieme oltre il 53 per cento dei votanti under 34: il 35,3 per cento ha scelto Luigi Di Maio (un dato superiore al 32,9 per cento generale), il 17,8 per cento la nuova Lega di Salvini (leggermente sopra al 17,4 per cento raggiunto a livello generale).

Probabilmente ha influito, nella seduzione dei giovani, la cura nella comunicazione socialmediale da parte delle forze nazional-populiste: Lega e 5 stelle occupano con più persistenza Facebook e YouTube, reputati canali di informazione primaria dal 48,8 per cento e dal 20,7 per cento dei giovani nella fascia 14-29 anni (dati Censis). Matteo Salvini conta 3 milioni e mezzo di fan su Facebook, Luigi Di Maio 2,1 milioni, Alessandro Di Battista 1,5 milioni. Per fare un confronto, l’esponente più social del Pd, Matteo Renzi, raggiunge a fatica gli 1,1 milioni di follower.

Ma il terremoto delle scorse politiche, anche nel voto giovanile, è stato innescato probabilmente anche da fatto che i giovani fossero tra i grandi dimenticati della campagna elettorale – di sicuro quella dei partiti mainstream.

E la tendenza non sembra mutata radicalmente, a distanza di un anno. Sulla base di un sondaggio dell’Università Luiss  del dicembre dell’anno scorso si può dire, in sintesi, che i partiti dal profilo più giovanile sono Più Europa e Potere al Popolo, fortemente sovra-rappresentati tra i minori di 24 anni. Ma il M5s resta egemone tra le persone di mezza età (45-54), mentre la Lega va particolarmente bene soprattutto tra 35-44enni. Non proprio fasce d’età prossime all’estinzione.

Dunque, siamo davvero sicuri che una volta estinto l’Angry Old White Man ci attende una società più tollerante e multiculturale? Non diamolo troppo per scontato, questo “destino progressista”. Il nazional-populismo incarna meglio di altri le paure, i bisogni e i desideri di milioni di giovani, e per questo durerà ancora a lungo.

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