Il tempo dei movimenti territoriali [di Alessandra Algostino]
Il Comune.info 27 marzo 2019. I movimenti che sorgono in difesa del territorio, come movimenti reattivi, o oppositivi, a fronte della decisione di costruire una grande opera, di scelte urbanistiche, di installazione di impianti per l’estrazione o la produzione di energia o di smaltimento dei rifiuti, rappresentano un nuovo genus di movimenti sociali, che conosce una notevole espansione e diffusione in questo inizio di secolo. Il territorio è il motivo per il quale e nel quale nasce un movimento: è la ragione scatenante il movimento e, al contempo, lo spazio fisico nel quale il movimento si organizza. Ciò non implica, peraltro, né la qualificazione delle mobilitazioni come Nimby (Not In My Back Yard), attraverso la quale si intende malevolmente che i partecipanti siano «mossi dal cieco egoismo di chi non vuole un certo impianto a casa propria, ma non muoverebbe un dito se esso fosse proposto a casa d’altri» (Luigi Bobbio), né la loro configurazione come esclusivamente locali. Nelle proteste si manifesta un nuovo modo di intendere il territorio, che scardina forme, decisioni e orizzonti del potere politico ed economico dominante. Da un lato, il luogo viene ad essere sede di relazioni, un’opportunità per ricostituire legami sociali: ovvero, il contrario di un «nonluogo» (Marc Augé). Si recupera in tal modo una dimensione collettiva e il territorio diviene spazio di vita della comunità, in opposizione al dilagare della visione di una libertà ed autonomia del singolo ripiegata sull’auto-imprenditorialità, nella prospettiva di una ricerca individuale del successo nello scenario del mercato globale. Dall’altro lato, la difesa del territorio, dell’ambiente, inducono ragionamenti intorno allo sviluppo sostenibile, ai beni comuni, alla decrescita, all’articolazione del sistema economico, alla distribuzione delle risorse, agli stili di vita: il modo di intendere il territorio diviene parte di una visione del mondo, altra rispetto a quella riconducibile ai sostenitori della scelta oggetto di contestazione. La singola issue locale diviene occasione per lanciare lo sguardo oltre l’orizzonte; in questo senso l’identità dei movimenti territoriali pare caratterizzarsi per una dinamica “espansiva”, una progressiva generalizzazione. Non solo: la riappropriazione del territorio e il suo mutamento di significato si accompagnano alla sperimentazione, e all’immaginazione, di nuovi modi di intendere la democrazia. Nella gestione del movimento si utilizzano per lo più strumenti riconducibili alla democrazia diretta, con decisioni assunte attraverso discussioni assembleari, che privilegiano la ricerca dell’unità rispetto a votazioni nette, in aderenza ad una concezione orizzontale, e non formalizzata e burocratizzata, dei rapporti politici. Quando il movimento sia articolato sul territorio vengono create strutture di coordinamento dei comitati, le quali, a loro volta, si inseriscono in reti più ampie che collegano movimenti analoghi sorti in altri territori, a livello nazionale e oltre. Non di rado, poi, i movimenti, nel loro sviluppo, creano sinergie con la democrazia rappresentativa a livello locale, sostenendo liste civiche, dando vita ad una rappresentanza che mantiene un rapporto permanente e continuo con i movimenti, con una legittimazione reciproca, bi-direzionale. Il luogo diventa lo spazio fisico nel quale sperimentare forme nuove di organizzazione sociale e partecipazione, contrapponendo un territorio sentito come proprio, dove si vive la democrazia e si ragiona di nuovi modelli di rapporti sociali ed economici, a non-luoghi, da dove “calano” decisioni percepite come eteronome. Non è egoistica difesa del territorio locale, ma una sua re-interpretazione che, in un certo qual modo, lo trascende, con la presa di coscienza che l’espropriazione del proprio territorio è parte di un processo globale di predazione neoliberista. In questo contesto, anche la questione dell’interesse generale non può essere banalmente risolta come contrapposizione fra la decisione di istituzioni rappresentative nazionali che sarebbero di per sé titolari dell’interesse generale e la protesta delle comunità locali quale per definizione latrice di un interesse particolare. La progressiva sudditanza della politica all’economia rende sempre meno credibili le istituzioni rappresentative come portatrici tout court dell’interesse generale, e ben può darsi il caso che a farsi carico degli interessi generali siano comunità locali, che si oppongono ad un’opera che porterebbe profitto a pochi mentre distrae risorse che potrebbero incrementare la garanzia dei diritti di tutti. Dunque, i movimenti territoriali contrappongono socialità e condivisione all’individualizzazione e alla frammentazione competitiva del mercato, si fanno portavoce di visioni del mondo dove valori universali, come la tutela della persona e dei suoi bisogni, sono centrali versus modelli retti dalle pretese di profitto di pochi, propongono e sperimentano nuovi modi di intendere la democrazia: i movimenti territoriali sono soggetti collettivi che esprimono e veicolano un modello alternativo di società rispetto a quello dominante, rappresentano in modo nuovo rispetto alle contrapposizioni dei partiti novecenteschi il conflitto sociale. I movimenti territoriali sono trasversali, popolari, e, quindi, non hanno in senso tradizionale una composizione di classe, ma in quanto si situano da una parte nel conflitto sociale, nella contrapposizione fra chi governa e trae benefici dalla versione odierna del finanzcapitalismo (utilizzando il neologismo coniato da Luciano Gallino) e chi ne è soggetto e subisce gli effetti di un mondo sempre più diseguale e mercificato, possono essere definiti come movimenti di classe. La pluralità che caratterizza i movimenti territoriali trova una sintesi non solo nell’opposizione rispetto ad una specifica decisione politica ma anche in una visione del mondo, che, senza precludere le rispettive peculiarità, condivide l’essere altro rispetto al modello egemone, nel nome di valori condivisi unificanti, se pur differentemente declinati. L’eventuale mancanza di considerazione da parte delle istituzioni e, come spesso accade, una risposta in termini di repressione (creazione di stati di eccezione, assoggettamento dell’area interessata dai progetti a controlli di polizia, sino alla militarizzazione del territorio, ricorso sproporzionato allo strumento penale e alle misure cautelari, campagna stampa denigratoria), possono poi contribuire a incrementare il senso di identità e unità dei partecipanti ai movimenti. Il conflitto sul territorio e per il territorio, dunque, può essere letto come nuova rappresentazione del conflitto sociale, dello scontro fra visioni del mondo: il territorio mercificato e oggetto di predazione nel contesto di una razionalità di governo neoliberale versus il territorio come spazio di una nuova socialità che rivendica la centralità della persona e dei suoi bisogni. * Professoressa associata in Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino |