Osa, combatti, ama. A lezione di empowerment (con il cuore) da Christine Lagarde [di Erin Doherty e Anne-Cécile Sarfati]
Elle 23 aprile 2019. La terza donna più potente del mondo regala alle lettrici di “Elle” una preziosa lezione di empowerment: per arrivare in alto serve autostima, e l’autostima nasce dall’affetto di chi ci sta vicino. Quando la incontriamo alla sede francese del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde è decisamente sui carboni ardenti. «Deve nascere mio nipote entro la fine della settimana», confessa con un sorriso radioso la terza donna più potente del pianeta (secondo la rivista Forbes). Un traguardo che riflette il suo cv: prima donna a dirigere il prestigioso studio legale Baker & McKenzie, prima a essere nominata ministro dell’Economia e delle finanze, sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, prima direttrice generale del Fondo monetario. Dopo essere intervenuta al forum Elle Active di Parigi, la briosa sessantatreenne ripercorre il percorso che l’ha portata a essere la numero uno e dispensa qualche consiglio professionale. È consapevole di quello che rappresenta per le donne? «Non mi sveglio la mattina pensando “sono un modello da seguire”, ma rimango colpita ogni volta che vengo fermata da donne di tutte le età e nazionalità che mi dicono: lei incarna qualcosa che un giorno io potrò diventare, o qualcosa che un giorno potranno realizzare i miei figli». Ha dichiarato che la crisi del 2008 si sarebbe potuta evitare se la banca Lehman Brothers si fosse chiamata Lehman Sisters. Conferma? «Sì. Dare maggior spazio alle donne nelle organizzazioni comporta un miglioramento dei meccanismi di governo e una migliore capacità decisionale. Sono convinta che le donne abbiano un approccio al rischio diverso rispetto agli uomini, ed è una cosa che ho constatato un po’ dappertutto: nel settore privato e in quello pubblico, anche a livello internazionale. Su scala mondiale, le cifre sono catastrofiche: solo il 20 per cento di donne nei consigli d’amministrazione del mondo finanziario, e un risicato 2 per cento tra i dirigenti. Ecco perché il mio commento sulla Lehman Brothers è ancora e sempre valido». Si è dichiarata indignata per la disuguaglianza economica tra uomini e donne. Cosa ne consegue? «I nostri studi hanno dimostrato che eliminando gli ostacoli alla partecipazione femminile nel mercato del lavoro, il pil potrebbe crescere sensibilmente: oltre il 4 per cento in Canada e addirittura più dell’8 per cento in Senegal, sulla base di una stima peraltro prudente, basata sulla riduzione del divario educativo. Un secondo studio, più recente, ha rivelato che una maggiore presenza femminile nella vita economica migliora la produttività, che a sua volta porta a un aumento dei salari per l’intero tessuto sociale (donne e uomini). Abbiamo dei margini di manovra davvero straordinari». Il sessismo non è mai stato un problema per lei? «Ma certo. Quand’ero avvocato, anche associato, i clienti giapponesi erano convinti che fossi lì solo per servire il caffè». Nella sua carriera, le sono mai passati davanti uomini meno qualificati di lei? «Certamente, ma non sono durati molto». Che cosa ne pensa del #MeToo? «È stato fondamentale, ma ci sono altri tipi di violenze, soprattutto coniugali, di cui non si parla ancora abbastanza, pur essendo profondamente radicati nella società, in tutti gli ambienti e in tutti i Paesi. E ogni volta che viaggio, me ne rendo sempre più conto». Crede che il movimento possa avere anche un effetto negativo? «Quel che temo di più è che possa ritorcersi contro di noi. Che il messaggio subliminale sia: evitiamo di assumere una donna perché ci creerebbe problemi. Negli Stati Uniti lo percepisco già abbastanza chiaramente. Per questo è di fondamentale importanza che le donne occupino funzioni dirigenziali». Che consigli darebbe alle giovani donne che puntano al successo? «Direi loro di non rinunciare mai alle loro ambizioni, di continuare a sognare e soprattutto di trovarsi alleati, che non devono essere necessariamente donne. Mi è capitato di lavorare con uomini che mi hanno dato un sostegno prezioso. Formare alleanze è di fondamentale importanza nel mondo del lavoro. In questo senso le americane sono all’avanguardia. Io l’ho capito poco alla volta. Gli anni passati negli Stati Uniti, quand’ero ancora una studentessa, mi hanno fatto crescere naturalmente all’interno di una rete: ero in un Paese straniero, con una lingua diversa dalla mia, in una famiglia che non conoscevo, in un’università lontana da casa, con compagni che arrivavano da ogni parte del mondo. Poi sono entrata alla Baker & McKenzie, uno studio con 3.000 avvocati che lavoravano tutti insieme». In generale, le donne sono ancora troppo timide per chiedere aumenti e promozioni? «Sì, assolutamente. Io stessa non l’ho mai fatto abbastanza. In compenso, quando ho assunto la presidenza della Baker & McKenzie, ho precisato subito: voglio esattamente tutto quello che ha avuto il mio predecessore. È giusto avere consapevolezza del proprio valore. E non cedere». È un po’ quello che sostiene anche Sheryl Sandberg, la numero due di Facebook… «Non esattamente. Sheryl sostiene che si può avere tutto, che bisogna chiedere tutto e sempre. Purtroppo, la faccenda è più complessa. Si può avere tutto, ma non necessariamente tutto insieme». Vuole forse dire che nella vita professionale esistono fasi diverse? «Assolutamente. Me ne sono resa conto alla Baker & McKenzie quando, dopo essere diventata mamma, non avevo portato abbastanza clienti e mi sono sentita dire: quest’anno non potrai essere socia, devi aspettare un altro anno. E io ho accettato, per poi recuperare il tempo perduto. Occorre tenere conto della vita personale all’interno del proprio percorso, e costruire una strategia adeguata». Uscire dalla comfort zone è un passaggio obbligato per crescere a livello professionale? «Sì. Bisogna rischiare, altrimenti si rimane in una fase di stagnazione». Per lei questo passaggio è stato fonte di angoscia? «Sì, il giorno che Nicolas Sarkozy mi ha telefonato per dirmi: “Sei andata bene come ministro dell’Agricoltura, ora voglio nominarti ministro dell’Economia e delle finanze. È un grosso rischio ma sono sicuro che sarai all’altezza”. Non era il solo a rischiare ma era necessario». Ha raccontato che il suo successo non è stato facile per gli uomini che ha avuto accanto nella prima fase della sua vita. Ritiene che la gestione di due carriere all’interno di una coppia sia complicata ancora oggi? «Diciamo che le cose stanno un po’ cambiando, ma mi spiace che, quando si tratta di fare una rinuncia, molto spesso sia ancora la donna a doversi annullare». Lei sostiene che la figura del compagno sia molto importante per il successo di una donna. Significa che una donna senza un compagno ha meno possibilità di riuscire nella vita? «Sono convinta che per avere successo, nella vita professionale ma anche personale, sia necessario avere una certa autostima, e io credo che la fiducia in se stessi scaturisca dall’amore, dal supporto, dall’affetto e anche dalla tenerezza. Il sostegno necessario può arrivare dal coniuge, ma anche da un particolare ambiente familiare o da una cerchia di amicizie». Si sentono cose sgradevoli sulle cinquantenni… Ha seguito la polemica nata dalle dichiarazioni di Yann Moix, «Donne di 50 anni? Troppo vecchie da amare»? «Mi ha raccontato tutto mio marito, che poi ha dichiarato: “Mia moglie ha più di 60 anni, mi sa rendere assolutamente felice e io la trovo sublime”. In tanti gli hanno dato ragione». Lei si è rifatta una vita, a 50 anni. «Ci tengo a ribadire il concetto alle vostre lettrici: a 50 anni, e anche oltre, si può essere straordinariamente felici, e sotto tutti i punti di vista… mentale, fisico e sessuale». Ha raccontato di essere stata colpevolizzata nel suo ruolo di madre. «Sì, il classico professore che mi convoca per parlarmi dei risultati mediocri di mio figlio, concludendo il colloquio con la solita frase: “Del resto è comprensibile, visto che lei lavora”». Le è capitato di fallire in qualcosa, nella sua vita? «Sognavo di entrare all’Ena (École nationale d’administration , ndr), ma mi hanno bocciato due volte». Ha perso suo padre da ragazzina, poi è partita per gli Stati Uniti. La sua sete di successo è forse legata a quella tragedia? «La morte di un padre scava un solco profondo, dal quale è necessario uscire per potersi ricostruire. Già prima della sua morte ero una ragazza molto indipendente, ma la sua perdita ha rafforzato questo mio sentimento di autonomia, tanto più che avevo tre fratelli più piccoli. Dal punto di vista psicanalitico, tanti avrebbero da rilate Sempre su e giù dagli aerei: ha un’energia incredibile. «Diciamo che sono fortunata, perché ho un fisico piuttosto resistente. Sono quarant’anni che non mangio carne, né bianca, né rossa, e quando lavoro non bevo. Durante i pranzi e le cene ufficiali, fingo molto bene. Mi lascio riempire il bicchiere, faccio finta di sentire l’aroma e anche di bere qualche sorso (mima la scena, con una finta deglutizione ). Ho smesso di fumare da tanti anni e ogni giorno cerco di fare un po’ di attività fisica». È vero che approfitta dei tragitti in ascensore per far lavorare i glutei? «Certo, in ascensore ma anche durante le riunioni. Soprattutto quando sono interminabili. Appoggio la schiena contro la sedia e contraggo i muscoli. Se mi dicono qualcosa, spiego che mi sto preparando per andare a sciare». Come riesce a inserire un po’ di attività fisica tutti i giorni? «Oggi è più facile, perché ormai i figli sono grandi. A Washington mi alzo alle 5 e fino alle 6 cincischio con la mia bella tazza di tè. Mi sembra di dominare il mondo. Subito dopo, palestra o piscina, nel palazzo dove abito». E i capelli? «Metto una fascia e nuoto a rana. In palestra, faccio gli addominali e utilizzo qualche macchina per le braccia, perché dopo i 60 anni, la “tendina” è in agguato, e bisogna impegnarsi a fondo. E mentre pedalo sulla cyclette leggo i dossier». Alimentazione sana e attività fisica: è fin troppo virtuosa. Non ha vizi? «Il cioccolato». Si sveglia mai angosciata, durante la notte? «Raramente, ma è anche vero che dopo le due del pomeriggio non bevo né tè né caffè». La sua vita privata è in Francia. Come mantiene i contatti con la sua famiglia? «Non è solo in Francia perché mio marito Xavier è spesso da me. Il mio secondogenito è rimasto negli Stati Uniti fino all’anno scorso, ma ora vive in Francia con la moglie americana. L’altro mio figlio invece è a Parigi. In qualche modo ci organizziamo, e per Natale ci ritroviamo sempre tutti insieme». Non ha paura che possa verificarsi una crisi finanziaria simile a quella del 2008? «Ci saranno nuove crisi economiche, perché è così che si evolve il capitalismo. Ma non saranno necessariamente di carattere finanziario. In realtà, ora sono stati attivati dei sistemi di supervisione. Ma la tecnologia applicata alla finanza è destinata a creare situazioni a rischio, alle quali non abbiamo ancora pensato: bisogna rimanere in allerta». Lei si è detta molto preoccupata per l’evoluzione politica del mondo. Teme l’ascesa del populismo? «La congiunzione tra le fake news e la sensazione della perdita di controllo sul proprio destino permette il prolificare e il prosperare di proposte politiche estreme, ed è una cosa decisamente inquietante. La politica e i media devono assumersi le proprie responsabilità». C’è un’emergenza clima: cosa ne pensa? «Sono cinque anni che lo ripeto: se non faremo niente, ci ritroveremo roasted, toasted, fried and grilled , fritti in padella. A Davos, ho incontrato la giovane attivista Greta Thunberg. È una ragazza incredibilmente determinata, e molto motivata. Incarna la necessità di agire in fretta». Crede che ecologia e crescita economica siano compatibili? «Sicuramente. Analizzando settore per settore, è evidente il numero dei posti di lavoro persi, ma creati nelle energie pulite. Questo però sconvolgerà alcuni sistemi di reddito». Il suo mandato scadrà nel 2021 e in molti la considerano “presidenziabile”. Cosa dice? «Come avrebbe elegantemente risposto Chirac: non me ne può importare di meno». |