In Sardegna è tempo di decidere [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 4 maggio 2019. Il Commento. Mentre Efisio, custos civitatis Sardiniae, che riunisce l’isola specie nei momenti bui, lasciava uno dei luoghi urbani più antichi del Mediterraneo per compiere un millenario e oscuro pellegrinaggio, il presidente della Repubblica, a sua volta laico garante della comunità nazionale, ammoniva che “creare lavoro è un dovere costituzionale”. Ricordava alle classi dirigenti l’art.1 della Costituzione, “Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” perché ciò che rende liberi e soggetti attivi di democrazia è “carente in molte aree del Paese”, specie per le donne; mentre viene meno quella “dignità” senza la quale si tradisce un “dovere pubblico, costituzionale”. Dopo la tragedia del ventennio fascista e della guerra, i padri e le madri costituenti scrissero, con linguaggio fermo e chiarissimo, la Carta della nostra democrazia, inserendo, tra i principi fondanti, alcuni cardini che, oggi più che mai, è necessario recuperare come pratica attiva, a partire dall’accessibilità al futuro che è l’istruzione come dice l’art. 9 “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Come l’art.1 deve essere ispirazione e riferimento, specie in Sardegna, viste le disavventure della istruzione e della tela del paesaggio. Ogni decisore dovrebbe avere chiaro quanto i tre ambiti siano interdipendenti. Ma come si fa a creare lavoro se la Sardegna occupa l’ultimo posto per diplomati e laureati e valutazioni Invalsi e OCSE Pisa e il primo per abbandono scolastico? Per tacere sul disastro dell’emigrazione in massa di laureati e diplomati. In questi momenti, come ha fatto il presidente della Repubblica, mette conto riflettere sulle ragioni che spinsero, nell’Italia affamata del dopoguerra, i nostri padri a individuare in istruzione, ricerca, tutela del paesaggio i motori di riscatto e progresso. Dalle élite al proletariato, tutti si percepirono portatori di valori patriottici riassunti in quella triade. Che lungimiranza ebbe un’intera generazione eppure gran parte era pressoché analfabeta ma sapiente e più di oggi sapeva che il paesaggio rappresenta la summa del rapporto millenario tra uomo e natura e i beni culturali sono la carta d’identità della nazione. Tutti, nell’Italia in macerie, ad autoriconoscersi nella cultura, materiale e immateriale, su cui Benedetto Croce nel 1922 e Giuseppe Bottai nel 1939 avevano sapientemente legiferato. Fu infatti il filosofo, da ministro, il primo a scrivere una legge di tutela del paesaggio e a riformare l’istruzione. Memorabile la sua Relazione del 1920 sulla necessità di un “un argine alle devastazioni contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo». L’Italia assunse consapevolezza che il paesaggio è il denominatore del paese e, nell’art. 9 della Costituzione, pensò che con l’istruzione fosse pietra miliare e infrastruttura della democrazia da non barattare con vantaggi momentanei come sarebbe stato nei decenni anche in Sardegna. Si rimane pertanto perplessi per le dichiarazioni di qualche rappresentante regionale perché è noto che le ostentate retoriche etnocentriche e le reiterate rappresentazioni da cartolina sono l’altra faccia del contraddittorio rapporto con ambiente, suolo, paesaggio, cultura, il loro profilo costituzionale, di deboli classi dirigenti. La Sardegna ha bisogno di decisori che pongano l’istruzione a perno di ogni politica perché solamente solide comunità educanti, frutto di una consapevole paidéia, sono capaci di emancipare competenze e luoghi dal disconoscimento. Sulla retorica dell’Autonomia speciale inoltre da tempo pende un’ineludibile domanda: quali le politiche su terra, suolo, ambiente, paesaggio? Superando la distinzione tra costa e interno che ha creato gerarchie, disvalore, spopolamento, per agire coesione e ricompattare quell’insularità che non è un addendum alla lista della spesa ma riconoscimento di luoghi, materiali ed immateriali, che, per rango costituzionale, devono avere le stesse opportunità di ogni luogo di Italia e d’Europa. La classe dirigente sarda pertanto deve, finalmente, assumersi la responsabilità, individuale e politica, di aver negato a intere generazioni il diritto allo studio e di aver svenduto interi territori e che nell’isola tarda la diffusa autocoscienza di luoghi, contenuti, valori dell’insularità e dei misfatti consumati in suo nome. |
Istimada Professoressa Mongiu, is Sardus seus iscallaus (e nci pongu a mimi e a Fostei puru), seus marasma, no iscieus mancu a chini e ita seus, ni aundi seus, ni in manus de chini seus, ita boleus, a ita serbeus e mancu po ita seus in su mundu.
Si cumentzastis a nci pentzai e a callai assumancus a ciorbedhu, ca s’iscallamentu est isceti entropia, caos, iat a èssi a cambiai calincuna cosa.
Chi ha orecchie per intendere..
Come il Battista che predicava nel deserto