Ho Fame. Mostra personale di Elisabetta Falqui [di Redazione]

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Presentata in autunno a Firenze alla galleria La Corte ArteContemporanea, Ho Fame è la mostra personale di Elisabetta Falqui, una riflessione sul rapporto tra arte e cibo e sulle problematiche conseguenti alla complessità della relazione dell’uomo col cibo. Dagli affreschi di Pompei alle innumerevoli versioni dell’Ultima cena, dalle nature morte tra ‘500 e ‘700 alle osterie di Carracci, ma anche i banchetti di Bruegel, i ritratti surreali di Arcimboldo e le scene di vita contadina di Van Gogh, fino ad arrivare agli accumuli di caramelle di Felix Gonzales-Torres passando per i cibi griffati di Warhol e l’artificazione del cibo nelle performance Fluxus – è quanto afferma la curatrice della mostra Roberta Vanali – Arte – Cibo è un binomio inscindibile ed è interminabile l’elenco delle opere in cui lo si contempla come mezzo espressivo che diviene metafora della realtà.

Costituita da una serie di fotografie in bianco e nero di piccole e grandi dimensioni, due installazioni neon e un video, l’esposizione verrà inaugurata alle 18.30 di venerdì 21 febbraio nella Sala della Torretta del Centro Comunale Exmà. Potente veicolo di comunicazione, il cibo come fonte creativa, come rituale ma soprattutto come metafora dell’esistenza è anche oggetto cinematografico: magnificamente opulento per Buñuel, grottesco strumento di morte per Ferreri, sotto forma di cultura da mangiare per Pasolini, si legge nel testo di presentazione della curatrice che prosegue: in un’epoca in cui non si può prescindere dalle diete e dall’ossessione per i cibi sani, in tempi in cui gli chef s’impongono come star e il culto del corpo arriva a esasperata e morbosa ricerca della perfezione, per Elisabetta Falqui il cibo è una necessità per decodificare e interpretare significati simbolici partendo da esso come fonte di nutrimento e strumento di aggregazione sociale e confluire nel concetto che ruota intorno all’impossibilità di soddisfare il desiderio.

Ecco che il cibo diventa ossessione poiché unico appagamento delle frustrazioni più recondite e la magrezza, sinonimo di bellezza nella società occidentale, è associata all’illusione della felicità. Identificabile in un preciso stile di vita alimentare e quindi sociale, per l’artista l’ossessione del cibo rappresenta la crisi e il fallimento dell’uomo contemporaneo immerso in un’esistenza alienante. Il corpo come luogo di riflessione diventa quindi racconto di una patologia e il cibo da nutrimento si trasforma in disturbo compulsivo.

Il tramite espressivo per Elisabetta Falqui è la fotografia e in questa il corpo riveste un ruolo centrale. Dalle immagini patinate attinte dall’universo mediatico passa in questo frangente a un rigoroso bianco e nero che rivela una realtà più tormentata. Le intime sofferenze di una percezione distorta della fisicità, di un rapporto perverso con il proprio corpo. La fame d’amore e il senso di inadeguatezza sono il risultato delle installazioni al neon associate alla costante che contraddistingue la sua dimensione concettuale, ovvero il susseguirsi forsennato di pensieri contraddittori, a tratti deliranti che profilano la complessa e inquietante relazione tra donne e cibo, un mantra che diventa assillo, tormento, incubo: “ho fame, mangio non mangio, mangio questo e basta, poi inizio la dieta, da lunedì sarò a dieta, sono grassa non posso guardarmi allo specchio, mangio, ho fame non ho fame, non mi piaccio, ma se lo mangio non sarà questo a farmi ingrassare, poi vado a correre, devo dimagrire ma ho fame, ho sempre fame, non voglio ingrassare, mangio meno, mangio questo e basta…”.

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