I rifiuti? Un problema da centinaia di anni [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 21 maggio 2019. La città in pillole. Perché sorprendersi se il paesaggio di Cagliari è punteggiato dai rifiuti, annunciati dalla sgradevolezza olfattiva? Se si riesce a ignorare sacchetti e suppellettili, è più complicato per l’odore e per l’alterata percezione dei luoghi che ne deriva. Impossibile aspirare oggi al cosiddetto silenzio olfattivo? Forse no. Lo era certamente nelle età passate come racconta Alain Corbain in Storia sociale degli odori (Mondadori 1983) sul complesso rapporto tra uomo, rifiuti, odori. Al netto di amministrazioni non all’altezza, la città dal suo sorgere ha avuto il problema dello smaltimento dei rifiuti, umani e animali. Per quanto l’assenza della plastica e il tipo di economia lo rendessero più semplice, già nell’ordinamento romano era proibito buttarli nelle vie pubbliche e ciascuno doveva ripulire lo spazio prospiciente la sua abitazione. Il problema divenne fuori controllo se agli ediles, addetti alle infrastrutture urbane, si aggiunsero, per supportarli, quattro curatores viarum. Nel tempo, si arrivò a suddividere le spese della pulizia delle strade, in parti uguali tra privati e pubblico, e con Vespasiano la messa in opera di latrinae publicae che tuttora, con alterne fortune, fanno parte del paesaggio urbano. Gli stessi contenitori anforacei di olio, vino, granaglie una volta scaricati nei porti, essendo usa e getta, venivano riutilizzati. A Roma ad esempio diedero vita al Testaceo e a Cagliari in Viale Regina Margherita ad un cospicuo strato formato da migliaia di cocci a sorreggere una strada al servizio di una necropoli attiva dal tardo punico all’alto medioevo. Nei millenni i rifiuti più delle fonti scritte sono la base per ricostruire le diverse fasi. Si chiama diffusamente “archeologia dei rifiuti”. Che cosa sono altrimenti quelli rinvenuti nella Grotta di San Bartolomeo oggetto, dal 1878 al secondo Novecento, di studi di paleontologi e di paletnologi, di scavi e di indagini archeologiche, geologiche, botaniche, malacologiche, zoologiche? Comunità dal Neolitico antico alle Età del Rame e del Bronzo vivevano in un habitat rupestre depositando rifiuti, tra cui oggetti d’osso e di ossidiana, elementi in rame, un’accetta levigata, conchiglie, denti forati, pendagli, frammenti di vasi campaniformi, che hanno raccontato a D. Lovisato, nel primo Novecento, a G. Lilliu ed E. Atzeni nel secondo, le loro storie. Verso i rifiuti forse necessita uno sguardo diverso.
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