Cultura è la parola chiave per un’altra Europa [di Simona Maggiorelli]

Federico_II_di_Svevia

Left. L’unico giornale di sinistra 23 Maggio 2019. «Steve Bannon, ideologo del sovranismo identitario è sceso in un Grand Hotel parigino per portare una buona parola xenofoba alle persone sofferenti», così il direttore di Liberation, Laurent Joffrin, racconta l’avanzata delle destre nazionaliste suprematiste e fondamentaliste cristiane in Europa.

Come è noto l’ex consigliere di Trump si è precipitato in Europa, e in Italia in particolare, per radunare crociati puntando a disgregare l’Unione. Anche se il suo è un esercito di egoismi nazionalisti pronti a mettersi gli uni contro gli altri, è interessante chiedersi perché si sia mosso da Oltreoceano per gettarsi in questa concione. Ciò che appare evidente è che un’Europa forte politicamente unita e democratica potrebbe dar fastidio agli Usa.

Se Bruxelles attuasse un green new deal, ascoltando la voce degli scienziati e dei giovanissimi che sono scesi in piazza nei Fridays for future, potrebbe guastare gli interessi delle multinazionali. Ma c’è di più. Un’Europa aperta, laica, democratica, solidale, attenta ai diritti sociali e civili non dà noia solo alle destre, in senso stretto, ma anche ai neoliberisti che predicano l’austerity e che, dopo la crisi del 2008, ancora parlano, come se nulla fosse, di auto regolamentazione del mercato.

In giro se ne incontrano ancora parecchi, da Macron a Calenda. In comune con le destre sovraniste i neoliberisti hanno l’ossessione di alzare muri, di presidiare confini, di costruire eserciti, bloccare la libertà di movimento dei migranti (soprattutto se migranti economici).

Non è questa l’Europa che vogliamo! Su Left lo andiamo dicendo da molto tempo, provando ad immaginare un’altra Europa possibile, numero dopo numero del settimanale; ora anche con un libro L’Europa rapita con contributi di politologi, economisti, filosofi, uomini e donne di cultura. Ed è questa per noi una parola chiave: “cultura”.

Oltre che un’Europa fondata sull’uguaglianza, sulla giustizia sociale, sul welfare, sul rispetto dei diritti umani, sogniamo un’Europa meticcia che, lungi dal brandire la propria identità come una clava, sia attraversata dal dialogo interculturale, aperta ai Paesi del Mediterraneo, senza confini. In barba ai crociati di ieri e di oggi che cercano di imporre il falso dogma delle radici cristiane. Basta dare un’occhiata alla storia per scoprire che si tratta di una assurdità.

Pensiamo, solo per fare un esempio, al grande contributo della cultura araba che ha animato centri culturali raffinatissimi in Spagna e nella penisola, dalla corte di Federico II in Sicilia al Rinascimento fiorentino, che non avrebbe mai scoperto la prospettiva senza gli studi di ottica degli scienziati arabi.

La verità storica è che le radici dell’Europa sono quanto mai polifoniche, risuonano di accenti differenti, hanno mille colori diversi. Unità nella varietà, questa è la vera ricchezza dell’Europa. E da questo tesoro dovremmo ripartire per una nuova Unione fondata sulla cultura, sulla conoscenza, su un’idea di benessere dei cittadini che non si limiti al soddisfacimento dei bisogni, ma ambiziosamente sostenga il pieno sviluppo personale e creativo dei cittadini.

Per questo, se non fosse una parola che suona finta e usurata nelle proposizioni fittizia e plastificata che ora ne fa Macron, diremmo che all’Europa serve un nuovo Rinascimento, un rinnovato umanesimo.

Per combattere i rigurgiti nazionalisti e neoliberisti che in comune hanno la religione del profitto (di pochi) e una visione anaffettiva e disumanizzante, serve un pensiero nuovo di sinistra, con una visione profonda della realtà umana, un’«onda rossa» per dirla con Mimmo Lucano, che abbia la fantasia di immaginare un modo diverso di stare insieme, di fare società.

Serve un’Europa di sinistra che investa nella scuola, nell’università, nella formazione continua, che punti con coraggio sulla ricerca scientifica e sullo sviluppo tecnologico per potenziare l’umano (e non per creare disoccupazione). Un percorso in questo senso è avviato da secoli, basta pensare alla “rete” delle università medievali, ma rischia di rimanere incompiuto, se pensiamo che solo il 2 per cento dei laureati ha partecipato al progetto Erasmus dal 1987 ad oggi.

In questi giorni, molte iniziative ricordano i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, esempio di poliedrico artista e scienziato, europeo ante litteram, umanista dalla fantasia inarrestabile e cosmopolita. Ma se il presidente francese Macron sciovinisticamente impone anche alla lettura della storia dell’immigrato Leonardo un paradigma assimilazionista, esponenti della destra italiana come Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia (che ha candidato alle europee il pronipote del Duce Caio Mussolini) vorrebbero ascrivere alla sola stirpe italica il genio che scelse di varcare le Alpi portando con sé La Gioconda. Et voilà.

Non sono questi i personaggi ai quali vogliamo consegnare l’Europa.

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