GB, il rischio del regno disunito [di Nicolò Migheli]
La Nuova Sardegna 29/7/2019 Alla fine Boris Johnson è diventato primo ministro. Fautore della Brexit dura ha sempre accusato Theresa May di avere accettato un accordo penalizzante e che l’uscita senza accordo sarebbe stata la migliore. I punti negativi secondo Johnson sono il backstop, il permanere di un confine invisibile tra l’Ulster e la Repubblica d’Irlanda che lo consegnerebbe de facto alla Ue, ponendo le basi per la riunificazione dell’isola non essendoci data certa per ristabilire le barriere; la somma da pagare alla Ue pari a 45 miliardi di sterline per l’impegno del Regno Unito nei programmi europei dei prossimi anni. La prima telefonata intercorsa tra il primo ministro e Juncker non ha dato buoni esiti. Johnson vorrebbe ridiscutere l’accordo, Bruxelles si mostra possibilista sul preambolo politico ma per il resto sostiene che quanto negoziato tra Barnier e May sia immodificabile. Accordo o no, la data ultima per l’uscita della GB è sempre il 31 ottobre. I tempi per nuovi trattati sono ridotti, a meno che non si chieda una nuova proroga. BoJo, lo chiamano così, si trova ad avere un parlamento con una maggioranza esigua in mano al partitino unionista dell’Ulster. Molti deputati conservatori stanno confluendo nei liberal-democratici. Il 1 di agosto si terranno elezioni suppletive nel collegio di Brecon-Radnorshire, se i conservatori dovessero perdere il seggio la maggioranza dei Tories e DUP a Westminister si ridurrebbe a un solo voto. L’ipotesi di nuove elezioni si avvicina. Johnson componendo il suo gabinetto non solo ha eliminato i ministri che si erano espressi contro la sua nomina, ma dando incarichi ai duri ha dimostrato di volere un governo elettorale. L’altra preoccupazione è bloccare Nick Farage, che con il suo nuovo partito Brexit party, ha raggiunto il 30% nelle elezioni europee. Nonostante il fatto che quelle consultazioni abbiano una storia differente rispetto a quelle parlamentari, è alto il rischio che Farage intacchi il voto per i Tories. I sondaggi non sono favorevoli. Già nelle elezioni del 2017 sotto la presidenza May, i conservatori persero seggi e l’avvento di Johnson potrebbe accrescere la fuga verso i liberal-democratici anche se si recupererebbero parte dei voti andati a Farage. Il partito laburista ha già lanciato una campagna per togliere il seggio di BoJo a Londra. I laburisti della corrente europeista e i liberal-democratici sono tentati da un nuovo referendum, ma non è escluso che sia lo stesso premier a richiederlo; ne ha bisogno per confermarsi nel ruolo. Tensioni molto forti si addensano sul Regno Unito, in caso di no deal la Scozia è pronta a indire un referendum sulla propria indipendenza, la chiusura della frontiera con l’Irlanda potrebbe riaccendere la guerra civile. Un panorama fosco che spinge il New York Times a chiedersi se Boris Johnson sarà l’ultimo premier del Regno Unito. Sembra difficile che la data del 31 di ottobre venga rispettata e la Ue potrebbe concedere una nuova proroga. Il Referendum voluto da Cameron nel 2016 per rinsaldare il suo potere dentro il suo partito, ha innescato la crisi britannica più dura degli ultimi settant’anni, dimostrando la totale inadeguatezza di quella Upper Class, uscita da Oxford e Cambridge, che aveva fornito i dirigenti dell’impero. La Brexit ricorda l’abbandono dell’India. Nei programmi del governo del laburista Clement Attlee, l’indipendenza era prevista per il giugno del 1948. Non riuscendo a mediare tra la Lega Musulmana e il Partito del Congresso, il viceré Louis Mountbatten divise il continente con una linea di demarcazione che non teneva conto delle inimicizie tra comunità religiose ed etniche, imponendo la data frettolosa del 15 agosto 1947. Una sorta di no deal. Il risultato fu che la nascita della Repubblica dell’India e del Pakistan provocò un esodo di 16 milioni di profughi e una guerra con circa 500.000 morti solo nell’estate del 1947. Una continuità della classe dirigente inquietante. Aggiornamento. Il governo inglese ha l’intenzione di sospendere l’autonomia dell’Ulster in previsione del backstop nominando un commissario governativo anche se BoJo promette che mai ci saranno controlli fisici nella frontiera. Lunedì 29 Boris Johnson è andato in visita in Scozia è ha incontrato la premier Nicola Sturgeon che è stata gelida con lui, gli ha ricordato la posizione scozzese e che mai accetteranno un no deal. Johnson alla fine dell’incontro ha abbandonato il palazzo da un ingresso di servizio per evitare la manifestazione contro di lui. Le previsioni pessimistiche del NY Times trovano riscontro.
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