Metano: a chi serve? Non certo alla Sardegna e ai Sardi [di Antonio Muscas]
Negli ultimi mesi si è intensificato il dibattito sulla metanizzazione della Sardegna ma il messaggio diffuso è pressoché univoco e tutto rivolto a cantare le lodi di un combustibile che a tutti gli effetti, pur rappresentato come naturale, resta un fossile e, come dimostrano i numerosi studi scientifici, è altamente inquinante. Il progetto di metanizzazione, con la sua dorsale e i numerosi serbatoi di stoccaggio, è destinato a stravolgere l’assetto energetico della Sardegna con ricadute economiche, paesaggistiche, sociali, sanitarie e ambientali di estremo rilievo. Il metano non è e non può essere considerato un combustibile di transizione. E per la tutela della salute di tutti, compresa la salute economica e ambientale, sarebbe bene analizzare tutti gli aspetti dei progetti in corso prima di accoglierli a braccia aperte. In tutto il mondo, movimenti e organizzazioni a difesa di ambiente e salute stanno riuscendo a sensibilizzare sull’emergenza climatica opinione pubblica, governi nazionali, UE. Giusto pochi giorni fa, il 24 luglio, Greta Thunberg è stata ricevuta all’Assemblea Nazionale Francese per esporre le sue tesi sul riscaldamento globale. In Sardegna, invece, come se i problemi del resto del mondo non fossero anche nostri, come se fossimo in un mondo a parte, a cadenza quotidiana Sindacati, Confindustria e Governo sardo, chiedono una moratoria del carbone almeno fino al 2030 e l’accelerazione dell’iter per la metanizzazione dell’isola. La Sardegna è l’unica regione d’Italia a non aver il metano, forse l’unica in Europa. Per ragioni economiche, 50 anni fa, si preferì non metanizzarla; costava troppo e il numero degli abitanti non giustificava l’investimento. Non ci sarebbe stato il rientro in tempi congrui. Da allora nessuno si era mai accorto dell’anomalia, ma oggi il metano è risalito agli onori della cronaca, nonostante sia passato mezzo secolo e nel frattempo siano cambiate drasticamente le condizioni ambientali, climatiche, economiche; e tecnologia e conoscenze scientifiche siano andate avanti. Sarebbe come chiedere il telegrafo o le locomotive a carbone laddove non sono mai giunti. Bisogna chiedersi perché in tanti si son fatti promotori del metano e chi siano i diversi soggetti altrimenti contrapposti. Martedì 30 luglio nell’incontro del Tavolo tecnico organizzato al MISE per discutere del futuro energetico nell’isola, in un clima surreale, CGIL, CISL, UIL e Governo sardo, invece di appoggiare l’iniziativa del Governo, che ha fissato al 2025 il termine ultimo per l’utilizzo del carbone in Italia (e quindi anche in Sardegna) e chiedere garanzie in termini di investimenti e occupazione per rendere la scadenza concretamente praticabile, all’unisono hanno preteso la proroga delle scadenze e il contemporaneo avvio della metanizzazione. Tra i compiti di chi tutela i lavoratori, ci sono (o ci dovrebbero essere) la salute degli stessi, la qualità del lavoro e della vita, le dovute garanzie economiche e occupazionali; promuovendo ogni iniziativa volta a superare sistemi energetici obsoleti e produttivi altamente inquinanti, privi di senso e fuori dalla storia. Allo stesso modo, il Governo sardo dovrebbe approfittare di questa occasione per spingere sull’acceleratore della transizione rinnovabile. Invece la Sardegna è la vittima che chiede al carnefice pene ancora più esemplari. Così almeno la rappresentano le sue classi dirigenti. Gli argomenti utilizzati sono gli stessi di sempre: costo dell’energia, risparmi presunti e rilancio industriale. Che poi di questi costi, dei risparmi e a quale industria ci si riferisca se ne sappia poco, è un problema secondario. Alla luce delle cifre in gioco, dei costi certi per gli utenti, dei risparmi dubbi, e delle conseguenze di ogni ordine e grado, è doveroso soffermarsi sugli aspetti di rilievo per evitare di commettere un grave errore nell’illusione, come è capitato nel passato, di spiccare un balzo in avanti per ritrovarsi, al contrario, a dover ancora inseguire ma con il problema di aver nel frattempo perduto invano tempo, risorse e territorio. Entrando nello specifico del metano, o più precisamente del Gas Naturale Liquefatto (GNL), sono oramai disponibili numerosi studi che ne attestano le criticità. In particolare, quello condotto dalla EDF (https://www.edf.org/climate/methane-research-series-16-studies), avviato nel 2011 con ricercatori di oltre 100 università, ha rivelato come negli Stati Uniti il settore delle estrazioni disperderebbe in atmosfera 13 milioni di tonnellate di metano l’anno, un valore superiore del 60% rispetto alle stime ufficiali dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente. Nel contempo, le importanti perdite dalle linee di distribuzione locali, produrrebbero lo stesso impatto sul clima a breve termine delle emissioni da tutte le centrali elettriche a carbone degli Stati Uniti. In termini di riscaldamento dell’atmosfera, una tonnellata di metano è 80 volte superiore a una tonnellata di anidride carbonica nei primi 20 anni dopo l’emissione e 28 volte su un periodo di 100 anni. Sempre secondo la EDF, le emissioni di metano prodotte dall’industria estrattiva negli ultimi due decenni avrebbero azzerato i benefici sul clima derivanti dalla conversione a GNL degli impianti a carbone nello stesso periodo. Un altro studio pubblicato il 24 Ottobre 2018 e condotto dalla Transport & Environment (https://www.transportenvironment.org/publications/natural-gas-powered-vehicles-and-ships- ), dimostra come i veicoli e le navi a GNL non forniscono benefici climatici significativi rispetto ai carburanti derivati dal petrolio, mentre includendo gli effetti delle perdite di metano a monte, i benefici si annullano in quasi tutti i casi. Inoltre, non risulterebbe prova alcuna del vantaggio teorico dei veicoli a gas sulla base del minore contenuto di carbonio; anzi, la scarsa efficienza del motore a gas sarebbe in grado da sola di cancellare i presunti benefici. I veicoli a gas hanno emissioni simili alle auto a benzina e addirittura superiori alle auto diesel che rispettano i nuovi limiti. Se rapportati ai veicoli Euro VI, non vi sono vantaggi significativi per i camion in termini di NOx e PM. I diesel HPDI hanno emissioni di NOx leggermente superiori ma emettono meno particolato. Il GNL per le navi perde ogni vantaggio anche rispetto al gasolio marino a basso tenore di zolfo se per quest’ultimo vengono utilizzati sistemi di post trattamento. Nel 2010 il GNL con 550 Milioni di tonnellate ha rappresentato il 20% delle emissioni globali di gas serra, con una progressione di 25 Milioni di tonnellate, di cui 17 Milioni di tonnellate legate all’estrazione di combustibili fossili. Per concludere: In Sardegna non c’è il GNL, non c’è la rete e non ci sono impianti per il suo impiego. Se anche fosse economicamente conveniente, la metanizzazione comporterebbe, oltre alla realizzazione della condotta principale e delle relative diramazioni, anche la realizzazione di un sistema infrastrutturale oggi inesistente, la conversione dei sistemi produttivi e, in ambito civile, la sostituzione di gran parte degli impianti: caldaie, scaldini, forni, generatori, ecc., con tempi e costi enormi, difficilmente quantificabili e non sempre sostenibili. L’impulso al suo impiego dovrebbe essere dato con sovvenzioni e agevolazioni, ci dovrebbe essere una nuova promozione del consumo energetico a detrimento del rinnovabile, del risparmio e dell’efficientamento energetico e dei relativi incentivi. Altrimenti come potrebbero i privati a recuperare i miliardi investiti? Non si tratta perciò, come si vuol far credere, della banale realizzazione di un gasdotto, di un’opera transitoria, ma di una trasformazione profonda e duratura. A livello residenziale, in Sardegna già nel 2011 oltre il 47% delle abitazioni residenziali era dotata di pompa di calore con punte del 73% per le abitazioni di classe energetica B. L’utilizzo delle biomasse (legna e pellet) interessa oltre il 40% degli impianti prevalenti. Il consumo di combustibili fossili, per contro, già nel periodo 2005-2014, ha registrato un calo drastico, pari al 53% per il Gasolio e al 30% circa per il Gpl. In questo quadro generale, in un momento in cui soprattutto in Sardegna si vuole puntare sulle rinnovabili e l’UE si appresta a concentrare i finanziamenti sul settore, la metanizzazione rappresenta un non senso, un arretramento ingiustificabile. Il rilancio delle attività produttive in Sardegna non passa necessariamente per la metanizzazione e comunque non potrebbe essere una fabbrica oggi dismessa come l’Eurallumina, la presunta industria della ceramica a giustificare un’opera da oltre 2 miliardi di euro. Nella nostra isola sono tante le attività assenti: oggi non si produce praticamente nulla e comunque non nei numeri consoni per le enormi potenzialità del territorio e le esigenze economiche e lavorative dei suoi abitanti. E proprio perché per certi versi sarebbe come ripartire da zero, perché non far cominciare il ragionamento da cosa è realmente utile per noi, da cosa ci serve ed è necessario? Non risulta che nessuno l’abbia mai chiesto ai Sardi. Perché non puntare su attività sostenibili, rispettose dell’ambiente, consone col territorio e all’avanguardia? Non può essere questa l’occasione? Perché non iniziare a trasformare quanto già esiste in eccellenza? Con almeno due miliardi di euro si possono promuovere e finanziare tante piccole attività, mobilitando utilmente migliaia di risorse umane con concrete prospettive di continuità. Alternativamente, si può posare un tubo, mettendo a lavorare per qualche anno qualche escavatore e qualche centinaio di operai, ma senza la garanzia che l’opera venga conclusa, che su quel tubo ci passi mai del gas, che quel gas lo possano o lo vogliano utilizzare i sardi e, soprattutto, che quel gas sia realmente per noi o serva a qualcosa. Siamo sicuri che il metano rappresenti per la Sardegna la scelta giusta?
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Tutte motivazioni valide e difficilmente confutabili.
Siamo sicuri che ai sardi interessino davvero questi ragionamenti? A qualcuno, spero più di qualcuno, sicuramente si.
Ma temo che la gran parte dei sardi siano pressati dalle contingenze, dal vil denaro per dirla tutta.
Politica e sindacati hanno gioco facile nel promettere X (incognita nel vero senso della parola) posti di lavoro e un risparmio sulla bolletta di pochi spiccioli.
Come sardi non abbiamo ancora una coscienza collettiva sensibile ai ragionamenti sul clima, sulla sostenibilità e sulla salute pubblica tale da renderci immediatamente percepibile la priorità tra una grande opera con mille incognite e una reale emergenza climatica che influenzerà sempre più la nostra vita sul pianeta.
Questa coscienza ce la dobbiamo (davvero lo vogliamo?) costruire e risultati come quelli del movimento no tav sono lontani anni luce; per adesso vince il “pochi e maledetti ma subito”.
La vicenda Mater Olbia non ci ha insegnato niente?
A quando una o più analisi costi/benefici redatte da soggetti terzi?
A sos interessados “al metano” (e amigos issoro chi, si bi tiat iscommítere, ndhe connoschent fintzas númene e sambenadu de sas Spa in apitu) NO INTERESSAT SI SA METANIZATZIONE EST SA COSA ZUSTA (o cosa iscussiderada fintzas si solu faghimus contu chi sa Sardigna zai como est in sa parte assolutamente prus manna unu desertu de zente e a desertu sempre creschindhe, ma fossis custu mancu l’ischint ca no bi ant mai postu pè e pagu lis importat de l’ischire).
Sa chistione est chi su muntone de sos milliones de sa metanizatzione sunt bene in vista, “alla portata di mano”; e, a su contràriu, su Pianeta Terra trasformadu in FORNO CREMATORIO… apustis de totu sos disastros ambientales e umanos fatos apostadamente e pro efetu de su “gas serra”, est cosa de nebodes (o fossis isperant chi sos nebodes issoro, de sas Spa, chi ant a eredare su mallopo, si che pighent a sa cara mala de sa Luna a friscurare pro no mòrrere arrustidos?).
Sa dimandha est: Ma semus diventados totugantos macos irbariados in númene de sos milliones e de un’irvilupu distruidore elefantíacu assurdu pro totu su Pianeta? Est mai possíbbile chi no curremus cambiendhe economia, prozetos, capatzidades, ideas, ideales e cumportamentos?
Ho apprezzato molto le Sue parole e il tentativo conclusivo di spronare a reagire, condivido pienamente tutto. Ha ragione: ” Perché non puntare su attività sostenibili, rispettose dell’ambiente, consone col territorio e all’avanguardia?”. Sembra che intraprendere attivita’ simili sia qualcosa di “follemente futuristico”, prerogativa di Danimarca, Gran Bretagna e forse nord Europa in generale, ma molto lontano dalla Sardegna, dove si buttano miliardi per ingrandire inceneritori (vedi Tossilo) e puntare ancora su industria chimica e fonti fossili.
Mi auguro che quante piu’ persone leggano il Suo articolo e aprano gli occhi, anche se ho la sensazione che siamo gia’ con entrambi i piedi nella fossa.