Basterebbe spostare il 10% dei sussidi dalle fonti fossili alle rinnovabili per svoltare sul clima. Ma governi e banche fan finta di nulla [di Mariella Bussolati]
Uno scambio di sovvenzioni, ovvero gli stessi soldi spesi per fare altro. E’ ciò che potrebbe portarci verso un Pianeta meno caldo e risolvere, in parte, il problema del cambiamento climatico a cui siamo di fronte. E’ stato proposto dall’International Institute for Sustainable Development, un centro di ricerca indipendente la cui missione è proporre soluzioni per promuovere lo sviluppo umano e la sostenibilità ambientale. Secondo gli esperti dell’Iisd le sovvenzioni che andrebbero modificate sono quelle assegnate alle fonti fossili. Spostare almeno una parte di quei fondi sulle energie rinnovabili darebbe vita a una rivoluzione energetica verde.Si tratta di molti soldi, che secondo l’International monetary fund non accennano a diminuire nonostante gli allarmi. Hanno raggiunto nel 2015 i 4.700 miliardi di dollari (paragonabili al 6,5 per cento del Pil mondiale) e sono cresciuti a oltre 5 mila nel 2017. Secondo l’International energy agency (IEA) ogni anno 17 Paesi, tra cui Venezuela ed Ecuador, hanno speso il 2 per cento del loro Pil, più che in salute o educazione. A fronte di questi soldi, le rinnovabili ricevono solo 100 miliardi. E secondo uno studio effettuato da Elisa Delpiazzo (Euro Mediterranean Center for Climate Change), uscire dal sistema di finanziamento fossile entro il 2030, porterebbe a un aumento dello 0,2 per cento del Pil globale e ha una riduzione delle emissioni del 2,32 per cento. I Paesi che finanziano di più carbone e petrolio sono la Cina, gli Stati Uniti, seguiti dalla Russia, dall’Unione europea. In settembre 2009 i leader del G20 avevano preso l’impegno di riformare il settore delle sovvenzioni nel corso di un meeting tenutosi a Pittsburgh, Usa per arrivare presto a non concederle più. Avrebbero dovuto razionalizzare e migliorare i finanziamenti per evitare inefficienze e sprechi. Ma non si è andati più lontano di un impegno generico. Oltre ai governi chi finanzia i fossili sono le grandi banche, che non sono soggette neppure all’accordo di Parigi del 2015. Secondo il rapporto Banking on climate change elaborato da Rainforest action network, nel triennio successivo 2016-2018, 33 istituti finanziari, in particolare JP Morgan Chase, Wells Fargo, City e Bank of America hanno concesso 1.900 miliardi di dollari. Nell’elenco c’è anche l’italiana Unicredit che ha fornito 6 miliardi nel 2016, 6,6 nel 2017 e 4 nel 2018. Lo stato italiano spende invece ogni anno 18,8 miliardi di euro. Nel 2018 il 70 per cento dell’energia, nonostante gli allarmi, è stata ottenuta con fonti fossili. Se invece anche solo il 10 per cento di quanto viene dato a una energia che ormai ha mostrato tutta la sua valenza negativa venisse concesso alle rinnovabili, si potrebbe sperare di girare la boa e andare verso un futuro migliore. Se poi si passasse al 30 per cento, le emissioni verrebbero ridotte tra l’11 e il 18 per cento. Secondo l’Imf se i fondi non venissero concessi del tutto, le emissioni si ridurrebbero di un quarto, e ridurrebbero della metà i morti dovuti all’inquinamento. Non si tratta di una rivoluzione: la tendenza è già in atto. Nel 2014 gli impianti rinnovabili hanno superato in potenza quelli tradizionali installati durante il corso dell’anno. India, Indonesia, Zambia e Marocco hanno già cambiato corso. In India i sussidi sono stati tagliati del 75 per cento dal 2014, per supportare le industrie eoliche e fotovoltaiche. Quasi ovunque nel mondo le rinnovabili sono ormai diventate quasi competitive e nessuno mette più in dubbio che possano sostituire del tutto quelle vecchie. Ma l’aggiunta di risorse permetterebbe di passare dalla lenta crescita che le contraddistingue a un istantaneo incremento di competitività, che le porterebbe a uscire dalla marginalità. E’ l’urgenza di cui ora avremmo bisogno e di cui parlano i movimenti ambientalisti. I sussidi rappresentano una barriera nei confronti della transizione verso un energia meno tossica, anche se alcuni vengono concessi proprio per ridurre le emissioni, anche se in realtà finanziano soprattutto trivellazioni, nuovi impianti, creazione di gas. Secondo il rapporto di Legambiente Stop sussidi alle fonti fossili c’è anche una componente di esenzioni che si traduce in circa 58 milioni di euro di mancati introiti per lo Stato, di cui circa 36,4 milioni euro da parte di Eni e 4 milioni circa da Edison. Ovviamente non concedere più i sussidi porterebbe a dei problemi: i prezzi della benzina si alzerebbero, con evidente malcontento della popolazione, e si creerebbero notevoli difficoltà politiche. Il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres però non ha avuto mezze misure nel commentare la dannosità della situazione: “Molte persone credono che i sussidi servano a migliorare le condizioni di vita. Ma non c’è nulla di più errato. Stiamo invece usando i soldi delle tasse dei cittadini per incrementare uragani, far dilagare siccità, sciogliere i ghiacciai, imbiancare i coralli. In una parola: distruggere il mondo”. Ha dichiarato a Barcellona lo scorso 28 maggio. E ha convocato il Climate summit che si terrà a New York il 23 settembre. Nello stesso periodo, dal 20 al 27, Fridays for Future ha organizzato una settimana di ribellione che si concluderà, il 27 con un altro sciopero mondiale per il clima. Forse è arrivato il momento di riconsiderare l’apparente risparmio che permette di utilizzare il petrolio, solo perché non vengono calcolate le spese per i disastri ambientali che sono la diretta conseguenza. E pretendere un cambio di rotta. |