Svimez, per il Sud il reddito di cittadinanza non basta: per arginare la fuga dei giovani serve il lavoro [di Rosario Amato]
https://www.repubblica.it/economia/2019/11/04/news/svimezilreddito_di_cittadinanzanonbasta Il premier Conte: l’impatto del Rdc va valutato nel lungo periodo. Presentato a Montecitorio il Rapporto Annuale dell’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno. Trappola demografica: il Sud ha perso due milioni di persone dal 2000 e ne perderà nei prossimi 50 anni altri 5 milioni, soprattutto giovani e laureati, il Pil calerà di quasi il 40%. Provenzano: “Fotografia di una frattura profonda, occorre colmare i divari territoriali”. Un declino che ormai non è più neanche lento, è una fuga di massa di giovani laureati o comunque istruiti che non vogliono morire con la loro città, o la loro Regione: dal 2000, stima la Svimez, hanno lasciato il Mezzogiorno oltre due milioni di persone, la metà giovani fino a 34 anni, quasi un quinto ha un titolo universitario. E il futuro si preannuncia anche peggiore: secondo le previsioni dell’Istituto di ricerca, che stamane presenta il suo rapporto annuale a Montecitorio, entro i prossimi 50 anni il Sud perderà cinque milioni di persone, soprattutto giovani istruiti, e infatti la desertificazione di questa parte del Paese si tradurrà in un arretramento del 40 per cento del Pil. Ecco perché il reddito di cittadinanza, che pure ha avuto buoni risultati, non basta intanto perché dal punto di vista economico è una goccia del mare, ma soprattutto perché, osserva la Svimez, non è la ricetta giusta. Servirebbero al contrario tanti posti di lavoro per colmare il gap con il Centro-Nord: almeno tre milioni, calcolano gli analisti dell’Istituto. Un’analisi che, osserva il ministro per il Sud e la Coesione territoriale Giuseppe Provenzano, “è la radiografia di una frattura profonda, trascurata in decenni di investimenti pubblici per il Mezzogiorno”, ma che non deve “indurre allo scoraggiamento”, deve anzi “spingere a un impegno ancora maggiore che deve investire l’intero governo, a un’urgenza condivisa”. Mentre il premier Giuseppe Conte invita a valutare l’impatto del reddito di cittadinanza nel lungo periodo, anche se ammette: “Va implementato nella fase attuativa: è quindi importante lavorare sui capitoli più complessi di questa riforma anche dal punto di vista strutturale e burocratico, cioè formazione e occupazione. Dobbiamo lavorare molto su questo versante, il ministro Catalfo lo sta facendo”. Il Mezzogiorno detiene il triste record della povertà assoluta: nel 2017 le famiglie in questa condizione erano 845 mila, l’anno dopo, grazie all’impatto del reddito di cittadinanza, erano scese a 822 mila. L’incidenza è scesa dal 10,3 al 10 per cento, rimanendo però comunque doppia rispetto al 5,6 per cento del Centro Nord. Ecco perché la Svimez dà un giudizio moderatamente positivo sul reddito di cittadinanza: è utile, si legge nel rapporto, “ma la povertà non si combatte solo con un contributo monetario, occorre ridefinire le politiche di welfare ed estendere a tutti in egual misura i diritti di cittadinanza”. Ma l’aspetto più grave è forse l’impatto del Rdc sul mercato del lavoro: la misura, “invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro”. La condizione del Sud è aggravata dalla generale stagnazione in cui è immersa l’economia italiana: “Il Nord Italia non è più tra le locomotive d’Europa, alcune regioni dei nuovi Stati membri dell’Est superano per Pil molte regioni ricche italiane, avvantaggiate dalle asimmetrie nei regini fiscali, nel costo del lavoro, e in altri fattori che determinano ampi differenziali regionali di competitività”, attesta la Svimez, che invoca da un lato “una visione unitaria della stagnazione italiana”, ma dall’altra politiche avvedute e su misura per il Sud. In particolare, a fronte del crollo degli investimenti, soprattutto di quelli pubblici, serve al contrario “un piano straordinario per il Mezzogiorno”. E bisogna valorizzare al massimo le risorse già disponibili: quelle che fanno capo alle Politiche di Coesione, che dopo il 2020 potranno disporre di 60 miliardi di cui il 70% al Sud, e saranno estese anche a Molise e Sardegna, rischiano di far la fine delle precedenti se le amministrazioni locali e centrali non si attivano una volta per tutte per utilizzarle nel miglior modo. “Sono stati accumulati troppi ritardi nell’attuazione del ciclo in corso 2014-2020”, denuncia la Svimez, rilevando che “i pagamenti al Sud sono stati finora pari ad appena il 19,78% del totale. La spesa monitorata del Fondo Sviluppo Coesione, dove confluiscono le risorse finanziarie aggiuntive nazionali destinate al riequilibrio economico e sociale, è pari al 30 giugno 2019 a soli 37,6 miliardi, di cui realmente pagato soltanto 1 miliardo. Ciò dimostra un’evidente incapacità delle Amministrazioni centrali, regionali e locali, a utilizzare pienamente le risorse”. Varrebbe inoltre la pena, secondo gli analisti dell’Istituto, di puntare su settori nuovi di produzione, e in particolare sulla bioeconomia, che attualmente al Mezzogiorno vale già tra i 50 e i 60 miliardi di euro, equivalenti a un peso tra il 15% e il 18% di quello nazionale. “Nel Mezzogiorno – si legge nel Rapporto – è significativa la crescita delle fonti energetiche rinnovabili. Tra i vari settori dell’economia circolare presenti al Sud, particolare rilievo assume la chimica verde. Dal Mezzogiorno parte una forte domanda di brevetti nel settore della bioeconomia. Le imprese del biotech sono cresciute moltissimo nelle aree meridionali, +61,1%, rispetto a +34,5% su scala nazionale”. In mancanza di politiche specifiche, e puntate allo sviluppo, e non a un mero sostegno di sussistenza che si limita ad accompagnare, se non a favorire, il declino, il Sud è destinato a una desertificazione sempre più triste, che a un certo punto potrebbe diventare irreversibile. L’emigrazione non si limita a quella dei giovani che cercano lavoro: coinvolge la domanda d’istruzione, dal momento che il Mezzogiorno soffre anche di un forte svantaggio in termini di risorse, chi può va a studiare fuori. Mentre tra chi non può si registra un record di abbandono scolastico: nel 2018 gli early leavers meridionali erano il 18,8% a fronte dell’11,7% delle regioni del Centro-Nord.
|