Osservazioni al cosiddetto “Piano Casa” approvato a dicembre dalla giunta Solinas [di Legambiente Sardegna]

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Il Ddl cosiddetto “Piano Casa”, proposto dalla Giunta Regionale, si presenta come un vero e proprio labirinto esplicativo apparentemente inestricabile con un obiettivo sostanziale: smontare sia la Legge Urbanistica 45/89 sia il Piano Paesaggistico Regionale. Infatti si riduce fortemente la portata del PPR nelle aree interne e si toglie qualsiasi valore paesaggistico ai paesaggi rurali, si permette di costruire in agro a chiunque e dovunque, si distribuiscono premi di volumetria importanti in tutta la fascia costiera compresa quella nei 300 metri.

Mentre la Presidente della Commissione Europea raccoglie finalmente la sfida contenuta negli accordi della COP21 di Parigi 2015 e propone un ambizioso e innovativo programma di investimenti GREEN NEW DEAL per fronteggiare i cambiamenti climatici, assegnando la priorità alla salvaguardia del territorio ed in primis di quello costiero, indicato come il più fragile, la Regione Sardegna si muove in totale opposizione.

Infatti con il complesso del disegno di legge, la Giunta Regionale si manifesta  priva di altri orizzonti programmatici che non siano l’utilizzo dei risparmi privati in un sistema economicamente morto e sepolto di “incrementi volumetrici” destinati a svalutarsi, anziché investire  sulla  valorizzazione del paesaggio e – in edilizia – su recuperi qualificati  di beni che mantengano il loro valore nel tempo producendo, come affermano tutti gli esperti, turismo e quindi economia, tutti fattori necessari per dare una prospettiva alle nuove generazioni.

Il DDL proposto dall’Assessore Regionale all’Urbanistica, e presentato dalla Giunta Regionale nello scorso dicembre 2019, “si prefigge di incentivare e migliorare la qualità architettonica e la sicurezza strutturale del patrimonio edilizio esistente”, contraddetto palesemente dall’articolato.

Infatti nel contenuto delle disposizioni si legge compaiono la riduzione del valore paesaggistico delle aree interne, edificazioni a pioggia nelle zone rurali e naturali (anche di pregio), incrementi volumetrici (anche nella fascia costiera) con cessione dei crediti  e persino riapertura delle lottizzazioni convenzionate in zone F, l’utilizzo edilizio residenziale di seminterrati e pilotis, la permanenza in spiaggia di strutture per la balneazione durante tutto l’anno (anche se alterano la bellezza dei luoghi).

Il risultato dell’applicazione di tali misure sarebbe il progressivo degrado paesaggistico ambientale del territorio, l’incremento della pericolosità idrogeologica, la perdita di valore (anche turistico) del territorio costiero ed interno.

 Di seguito si espongono i punti più impattanti sull’impianto definito dal PPR del 2006:

Aart.17 Inaccettabili modifiche al PPR per ridurne la tutela

Riduzione dell’efficacia normativa del PPR che sarebbe applicato solo negli ambiti costieri, eliminando la possibilità di applicazione delle norme generali nelle aree interne, per le quali tra l’altro è stato avviato l’iter per la redazione del Piano Paesaggistico e per cui è in corso lo studio proprio dei compendi rurali. Inoltre si dà facoltà di smembrare i centri storici.  In sostanza l’ART. 17 costituisce il perno per togliere qualsiasi riconoscimento paesaggistico alle zone interne e di conseguenza permettere l’edificazione indiscriminata, come previsto dall’art.1.

Si tratta di un articolo particolarmente perverso perché smonta un sistema ormai consolidato di criteri paesaggistici uniformi per tutta la Sardegna interna rispetto a quella costiera.

Art.1 Possibilità di disseminazione di edificazioni  in agro e suo stravolgimento

L’articolo prevede che nelle zone urbanistiche omogenee E, cioè agricole, gli interventi raggiungano la superficie minima con l’utilizzo di più corpi aziendali, anche non contigui, ed anche ubicati in comuni limitrofi. In tal caso l’asservimento perdura finché permane l’edificio ed anche in caso di alienazione dei corpi separati. Si dispone che l’area in cui può essere realizzato l’intervento abbia superficie non inferiore all’ettaro e si consente anche a coloro che non sono imprenditori agricoli professionali e/o coltivatori diretti, l’edificazione di fabbricati a fini residenziali nelle zone agricole E.

Praticamente chiunque potrebbe proporre di edificare in agro. È inaccettabile ed antistorico pensare di negare la logica produttiva ed ecologica della campagna, e di trasformarla in territorio di destrutturazione del fondo agricolo e del suo paesaggio, con la disseminazione di edifici irresponsabili, che amplificano a dismisura i costi di urbanizzazione inevitabili (almeno rifiuti, trasporti scolastici, …) impoverendo ancora i bilanci comunali. Un caso particolarmente cialtrone di socializzazione dei costi privati, e di svendita dei “gioielli di famiglia”.

 Tra l’altro si tratta di una norma che contrasta fortemente con le tante iniziative (la legge nazionale sui piccoli comuni, legge sui centri storici) proposte per arrestare lo spopolamento dei piccoli paesi dell’interno, fondate in primis sulla ricostituzione della propria identità culturale e territoriale.

Art.2 Incrementi volumetrici indiscriminati in tutta la fascia costiera

Sono previsti incrementi volumetrici in tutte le categorie residenziali, turistico-ricettive e perfino nei capannoni. Nello specifico, al comma 1 si innalza la percentuale massima dell’incremento volumetrico rispetto a quanto previsto dalla legge esistente dal 20 per cento al 25 per cento, il limite massimo di 70 metri cubi è innalzato a 90 metri cubi. Inoltre si dispone che, in riferimento alle strutture residenziali ubicate nella fascia oltre i 300 metri dalla linea di battigia possa essere realizzato, per ogni unità immobiliare, un incremento volumetrico pari al 30 per cento sino a un massimo di 150 meri cubi.

Si prevedono incrementi volumetrici anche per le strutture ubicate nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia, nella misura del 20 per cento per un massimo di 100 metri cubi, nel caso in cui ricadano nelle aree individuate ai sensi dell’art. 10 bis, comma 2, lettera b), della L.R. 22-12-1989, n. 45. [“b) le aree interessate da piani attuativi già convenzionati, che abbiano avviato la realizzazione delle opere di urbanizzazione alla data del 17 novembre 1989”]. Nelle strutture turistico-ricettive è autorizzato finanche l’incremento del numero delle stanze.  Inoltre non viene esplicitato il divieto di cumulo rispetto agli incrementi già usufruiti con le leggi precedenti.

Art. 3 Incomprensibili cessioni dei crediti volumetrici  

Con tale articolo si dispone che i crediti volumetrici ottenuti con l’art. 2 possono essere ceduti dai proprietari aventi diritto ai proprietari di altre unità immobiliari: a) facenti parte dello stesso edificio o dello stesso complesso edilizio; b) ricadenti in diversi comparti, facenti parte della stessa lottizzazione; c) ricadenti in lottizzazioni limitrofe, purché site nella stessa zona omogenea.

Questo dispositivo rende imprevedibile il risultato degli incrementi, potendo alterare sensibilmente i caratteri paesaggistici nei luoghi in cui si vanno a sommare crediti volumetrici di più proprietari.

Art. 5 Possibilità di recupero dei seminterrati  a fini residenziali, foriero di tragedie

L’articolo si compone di 5 commi ed attiene agli interventi di recupero dei seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra a determinate condizioni. Il recupero dei seminterrati è consentito ad uso residenziale e/o direzionale, commerciale e socio-sanitario ed a condizione che abbiano, alla data di entrata in vigore della presente legge, un’altezza minima non inferiore a metri 2,40, previo ottenimento di idoneo titolo abilitativo.

Una norma assurda che non tiene memoria dei lutti provocati delle ultime alluvioni. Infine gli interventi per il riuso e recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti sono ammessi anche nelle zone F, turistiche, andando potenzialmente ad aumentare un’offerta residenziale non quantificabile né monitorabile.

Il palinsesto normativo si configura totalmente penalizzante nei confronti dei Comuni virtuosi che hanno adeguato il proprio PUC ai dettami del PPR ed hanno valorizzato paesaggisticamente il proprio territorio.  L’Amministrazione regionale, anziché avocare a sé l’adeguamento dei PUC dei Comuni che non l’hanno già fatto, come previsto dallo stesso PPR, tenta di “premiarli” con la possibilità di interventi di incremento volumetrico che oltre a determinare i danni di cui si è già detto, producono anche la deleteria sensazione data dal fatto che a violar le regole ci si guadagni.

Infine nulla dispone il DDL su argomenti ben più importanti ed urgenti, come la estensione del PPR alle zone interne, la accelerazione dell’adeguamento dei PUC al PPR, lo spostamento delle attività dalle zone esposte ad erosione marina e al rischio alluvioni, il restauro di luoghi degradati nelle ex zone minerarie ed industriali. 

Per queste ragioni Legambiente ritiene che il DDL in questione sia assolutamente inadeguato nel metodo, poiché si propone come ennesima misura tampone nelle more di una futuribile nuova legge urbanistica, e soprattutto nel merito, in quanto la sua applicazione determinerebbe una pericolosa inversione di tendenza nella complessiva strategia di salvaguardia territoriale e ambientale, inaugurata e disegnata dal Piano Paesaggistico Regionale del 2006, certamente coerente con gli attuali orientamenti di tutela nazionali, comunitari ed internazionali.

In conclusione si riafferma che riferimento indiscutibile per la pianificazione territoriale deve essere il Piano Paesaggistico Regionale, formato in ottemperanza a norma statale ed unico strumento valido di protezione del paesaggio, il cui livello di tutela non può in alcun modo essere ridotto unilateralmente, come inequivocabilmente chiarito da varie Sentenze della Corte Costituzionale.

“Alle Regioni non è consentito apportare deroghe in peius rispetto ai parametri di tutela dell’ambiente fissati dalla normativa statale” (Cost. 210/2016) e “la giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la tutela dell’ambiente rientra nelle competenze legislative esclusive dello Stato e che, pertanto, le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina che le Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di incrementare i livelli della tutela ambientale” (Cost. 300/2013).

Cagliari, 24 gennaio 2020

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