Cagliari dalle bianche mura [di Franco Masala e Maria Antonietta Mongiu]
E’ passato un anno dalla pubblicazione di quest’articolo in La Nuova Sardegna il 25/01/2013 e, due giorni dopo, in Sardegna Democratica. Eravamo convinti che l’amministrazione comunale di Cagliari avrebbe fatto un passo indietro dalla follia di voler manomettere le mura occidentali di Cagliari ed un paesaggio tutelato dal PPR del 2006. Ebbene non è accaduto. Pare invece che il progetto dei parcheggi in via del Cammino Nuovo proceda nel suo iter in poca coerenza con l’auspicio che Cagliari diventi Capitale europea della cultura (ndr). “Ha tre sobborghi questa città, come dichiara la dipintura qui aggiunta ed è cinta di fortissime mura”, così Sigismondo Arquer accompagna la veduta di Cagliari, edita a Basilea nel 1550. La xilografia “Calaris Sardiniae Caput “, nella ” Cosmographia Universalis” di Sebastiano Munster, è la prima rappresentazione realizzata a stampa della forma urbis. E’ precisa nella suddivisione della città murata in Castello e nei tre sobborghi Gliapola o Marina, Stampace, Nova Villa o Villanova. Arquer correda la Carta con una legenda in cui lettere indicano i più importanti manufatti della città. Malgrado le modifiche della forma urbana, da Filippo II di Spagna, re di Sardegna dal 1556 al 1598, fino ai Piemontesi, è il palinsesto costantemente riprodotto in Atlanti e pubblicazioni in Italia ed in Europa. All’indomani della battaglia di Lepanto, si ripensarono le mura di Karalis, città fortificata fin dal munitus vicus di età punica. I Pisani nel 1217, con la concessione del Castellum castri de Kalleri da parte di Benedetta, giudicessa di Cagliari, avevano iniziato di fatto l’urbanizzazione di Castello fino a quel momento marginale nelle diverse fasi storiche. La configurazione di allora perdura. Con la caduta di Santa Igia, ad opera dei Pisani nel 1258, fu trasferita la sede vescovile nel versante orientale di Castello e completata la chiesa di Santa Maria a cui fu aggiunto il titolo di Santa Cecilia già della cattedrale giudicale. Dopo la concessione del “Regnum Sardiniae” a Giacomo II d’Aragona (1297), i Pisani corredarono Castello di mura e torri inglobando manufatti preesistenti (punici, romani, tardo antichi, medioevali). L’architetto Giovanni Capula disegnò e realizzò, tra il 1305 ed il 1307, tre torri di cui due (San Pancrazio, Elefante) connotano ancora oggi il paesaggio urbano. Ciò malgrado nel 1326 Castello cadde nelle mani dei Catalani che urbanizzarono ulteriormente il colle trasformandolo nel cuore amministrativo, politico, economico di Cagliari, ruolo mantenuto fino agli inizi del 1900 con la costruzione del nuovo Palazzo Comunale in via Roma. Sigismondo Arquer documenta dunque nel 1550 un processo plurisecolare. Nel versante occidentale indica il torrion di santa Croce, di età pisana, che forse corrisponde alla torre interna del basso fianco di San Giovanni, meglio conosciuto come basso fianco di Santa Croce, messo in opera, nel suo attuale assetto, a partire dal 1727. E’ di evidenza il Fosso di San Guglielmo da un originario Sant’Andrea all’eremo. Si tratta della porzione di un habitat rupestre di cospicue dimensioni, di lunga frequentazione, di varie destinazioni d’uso. L’habitat si riconosce anche nei toponimi Sa Cova de San Gulielmo e Sa Costa riportati da Rocco Cappellino (1577). Sa Costa corrisponde alla direttrice dalle attuali vie Spano/Manno fino al viale Buon Cammino ed include una ramificata rete di cavità naturali ed artificiali (oggi occultate in abitazioni, locali pubblici, porzioni di mura etc.). Le più note e quelle visibili sono le cripte di Sant’Efisio e di Santa Restituta ma fino ai recenti interventi si riconoscevano la chiesa fuori terra di Sant’Andrea (posta da Arquer all’ingresso del Fosso omonimo), arcosolii tardo antichi scavati in roccia, un eremo articolato ed arredato persino da bacili, ed infine un ospedale in grotta messo in opera durante la seconda guerra mondiale. Nella “Calaris Sardiniae Caput ” di Arquer è evidenziato un terrapieno sottostante l’attuale Cortina di Santa Croce che attutisce il salto di quota tra Castello e Stampace, ancora cinto da fortificazioni di cui residua in via Ospedale la torre pisana degli Alberti, inglobata nel complesso dei Gesuiti. Il muro a scarpa del terrapieno, risistemazione di una preesistenza altomedievale, è visibile in via Santa Margherita dopo lo sventramento del secondo dopoguerra. Nello spazio dell’attuale strada insisteva infatti una spina di edifici, tra cui la chiesa di Santa Margherita demolita nel 1947. Ad est ciò che rimaneva di un’ulteriore spina, inglobante la chiesa di San Giorgio (attuale via Fara), è stato ripetutamente oggetto di demolizioni fino all’abbattimento ultimo nel 1994. In questo stratificato e delicatissimo contesto è stato a più riprese proposto un parcheggio sotterraneo (precisamente tra il basso fianco di Santa Croce e le case ed il terrapieno di via Santa Margherita). Più volte rigettato, è stato riproposto ed approvato dall’attuale amministrazione di Cagliari che ha bandito “velocemente” per la sua realizzazione un bando per un appalto “integrato complesso”. Le mura di Castello ultimo brano di una delle più poderose cinte fortificate del Mediterraneo, vistosamente aggredite dopo la cancellazione di Cagliari dall’Elenco delle Piazzeforti (1866) devono essere solo conservate nel loro contesto e rese fruibili nella loro residua interezza. Tutto il resto non è compatibile né con la sensibilità dei cittadini né con le leggi di tutela vigenti. A maggior ragione dopo la Sentenza n. 33 del 2013 del Tar Sardegna su Tuvixeddu.
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