Il circo Solinas e il vuoto dell’opposizione [di Alessandro Mongili]

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Un povero cristiano avrebbe potuto pensare che la giunta Pigliaru (di cui ormai non ricordiamo neanche l’esistenza superflua) fosse stata la peggiore della storia dell’autonomia e invece no, si è intromesso il destino et, voilà, eccoci serviti con la compagine più sgangherata di tutta la storia sarda, cultura di Bonu Ighinu compresa: la giunta, o meglio, il circo Solinas.

È difficile ricordare a questo proposito qualcosa che non sia un disastro, una figuraccia, o anche, per converso, una giacca di buon taglio in questa giostra. Nulla, la giunta Solinas ha toccato il punto più basso, quello che non potevamo credere che esistesse, nel pasticcio del crack della continuità aerea, per cui ha perfino richiesto la giustificazione scritta non solo di Salvini, ma pure di Maroni. Quindi, verrebbe da pensare, l’opposizione farà sfracelli e starà mobilitando il nostro popolo alla pugna. Ma sarebbe troppo facile pensarlo, perché non accade e non accadrà.

L’opposizione, la vecchia sinistra di potere e di mediazione, è infatti schierata a fianco del cosiddetto centro destra nell’epica battaglia pro metanodotto, a favore delle industrie decotte, a favore delle servitù militari, a favore di salvataggi vari, e si è appena mobilitata per – nobile causa – evitare che l’Emilia-Romagna passasse sotto la dura dittatura leghista, o per altre cause lontane, ma di bell’aspetto e di rispettabile location, prevalentemente in quello che loro chiamano, in spregio alla geografia, “il resto della Penisola”.

Lancia cantieri per l’Alternativa, ponendoli sotto le parole d’ordine dell’identità e dell’autonomia, cioè della coppia concettuale più decrepita e odiata da chiunque abbia compiuto anche solo i primi due passi nel cammino dell’autodeterminazione in quanto Sardo, o Sarda. D’altronde, la sinistra è ostile in modo quasi selvaggio a ogni apertura verso il riconoscimento della parità linguistica, uno dei temi più facili al cui interno praticare una convergenza.

Ad esempio, ancora oggi, la proposta di legge per favorire le borse di studio agli specializzandi in medicina presentata dalla sinistra è l’unica, fra tutte quelle presentate, a escludere espressamente la lingua sarda e a non dare applicazione alla legge sulla lingua sarda del 2018. Eppure, se solo lo si volesse, si potrebbe facilmente identificare una piattaforma comune su alcuni temi che, in periodi diversi, entrambi gli schieramenti hanno portato avanti.

La sinistra a guida Zedda sembra rappresentare solamente gruppi che vorrebbero occupare la posizione delle élite modernizzatrici e mediatrici con i poteri estranei all’Isola, che una classe politica che si faccia portatrice degli interessi dei Sardi. Non sembra avere visione strategica né disponibile a fare qualche passo indietro.

D’altronde, si è sempre caratterizzata per limitatezza e provincialismo. A mio parere, sussiste solo come semplice grumo di potere, di carriere, di sete di fama. Non ha idee, è profondamente ostile a qualsiasi progresso e liberazione dei Sardi. È perfino incapace di pensarlo. Profondamente antigramsciana, la sinistra sarda dà per scontato che il problema della Sardegna sia l’arretratezza e non il dominio.

Confonde l’effetto con la causa e, composta per lo più da esponenti della piccola classe media, semi-istruiti, assetati di promozione sociale e, spesso, di ricchezze materiali anche piccolo-medie, ha il sogno televisivo di essere riconosciuta dalle mediocri agenzie politiche o mediatiche che loro chiamano, sognanti, “nazionali”. Questa antropologia, fra il magna-magna e il sogno del “lei non sa chi sono io”, la si ritrova peraltro anche nelle fasce dell’indipendentismo più legate alla crisi d’astinenza da assessorato.

L’indipendentismo, infatti, l’unica cultura politica all’opposizione reale in Sardegna, si è mostrato solo un sentiment adatto ai social ma privo di un programma e di un’organizzazione politica. È ingabbiato inoltre nella tremenda eredità nominalista e postmoderna fuori tempo massimo lasciata in eredità dalla vicenda per certi versi deprimente di Irs e di Sedda. Un campo dominato da piccoli Salvini in vellutino, piccole camarille locali che in vita loro, per parafrasare Emilio Lussu, hanno visto solo la strada da Siniscola a Nuoro o quella da Nuoro a Sanluri, oppure che hanno scambiato i brand e il marketing per la Reincarnazione di Nostro Signore.

Ormai da lunghissimo tempo, almeno quindici anni, esso non riesce a compiere il passaggio necessario fra testimonianza, piccola appartenenza e organizzazione moderna. Questo è legato al livello mediocre – generale –  delle competenze presenti in Sardegna, alla scarsa diffusione di una cultura organizzativa almeno bàsica, all’antropologia paesana che privilegia le maschere immobili a tipi di interazioni più fluide e meno ossessionate dalla ripetizione degli stessi personaggi, incapaci di adattamento ai nuovi tempi e di cambiamento nelle pratiche: in una parola, di apprendimento.

Infatti, una delle ragioni della debolezza dell’indipendentismo in Sardegna è la sua ostilità alla cultura urbana, il suo arroccamento sul racconto dell’identità e sull’eterna nostalgia di un’autenticità che, in fondo, non è mai esistita. La cultura urbana in Sardegna è molto presente, domina nell’area urbana di Cagliari, e in parte a Sassari e a Olbia, è egemonica in tutta la società e la maggioranza delle persone vive al suo interno, con la comunicazione, con i progetti di vita, con il desiderio, se non direttamente con il vissuto periferico e metropolitano.

Qui le relazioni politiche si devono adattare a reti di relazioni che non comportano né vicinato né parentela né altra affiliazione. Al contrario, il familismo, le relazioni strette, dominano nella cultura e nella pratica politica sarda, condannandola alla lontananza rispetto al vissuto dei più, alla rinuncia dell’organizzazione efficace, al paternalismo e alla gerontocrazia, a riferimenti sempre di tipo patriarcale nei rapporti fra generi e nella loro performance.

Perché questo accada non è facile spiegarlo, poiché occorrerebbe indagarlo e questi gruppuscoli politici rappresentano solo un ostacolo momentaneo, destinati come sono alla sparizione, all’oblio, o alla riduzione a gruppetti di fedelissimi. Si può presumere che il loro background sia estraneo al mondo contemporaneo, o che lo interpretino come pericoloso o ostile, come inautentico, o che la loro nicchia li soddisfi, o chissà.

I recenti successi di ERC in Catalogna e di Sinn Fein in Irlanda, rispettivamente, nelle aree urbane di Barcellona e di Dublino, mostrano come solo abbandonando la paesitudine e il localismo sia possibile costruire un’alternativa vera, basata sul riconoscimento delle competenze e delle energie costruttive a discapito della fedeltà ottusa, sui valori più spiccatamente urbani e in grado di guidare la nascita di una forza politica moderna, cosa che sembra sempre più difficile nel mondo in cui viviamo, già orfano dello sciamanesimo comunicativo e del leader mediatico di cui stiamo probabilmente vivendo gli epigoni.

5 Comments

  1. Mario Pudhu

    As nau bèni meda, Alessandro!!!
    Cundividu.
    Depeus fai passus ainnantis: Ita e comenti feus? E no coment’e acucada candu seus arróscius de si mussiais is didus de s’arràbiu, ma coment’e faina de dónnia dí de sa vida, no po fai calincuna ‘carriera’ ma ca seus líbberus e responsàbbilis de su chi feus, ca seus genti e no animalis.

  2. giuseppe delogu

    In gran forma e pungente, come è capace di fare; rilevo però quella che mi pare una contraddizione e una ipervalutazione del significato dell’urbano rispetto al “resto dell’isola”. Scrive infatti Alessandro che “La cultura urbana in Sardegna è molto presente, domina nell’area urbana di Cagliari, e in parte a Sassari e a Olbia, è egemonica in tutta la società e la maggioranza delle persone vive al suo interno, con la comunicazione, con i progetti di vita, con il desiderio, se non direttamente con il vissuto periferico e metropolitano.”. Se non capisco male, mi sta dicendo che a Cagliari il familismo, le appartenenze, le camarille, le “maschere immobili” e”la ripetizione degli stessi personaggi” non ci sono? E ci sono invece a Gavoi, a Santulussurgiu, a Banari, o in qualunque dei restanti circa 300 paesi dell’interno? Non sono affatto d’accordo ma vorrei aver capito male. E la cultura urbana, non è forse quella che ha creato un cleavage tra centro e periferia anche in Sardegna (non solo tra Italia e Sardegna), assumendo connotati di conflitto per esempio sull’idea di uso delle risorse naturali (taglio dei boschi, uso della terra, perfino l’uso buono del fuoco) per restare a temi che mi sono congeniali? Nulla questio sulla impeccabile analisi dell’indipendentismo, nessuno meglio di lui lo avrebbe potuto fare, ma il fondo non mi convince.

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  4. Alessandro Mongili

    Ho scritto che “domina”, nel senso che è quella prevalente. Certamente il familismo, il nepotismo, le “maschere immobili”, esistono anche a New York. Così come anche a Gonnostramatza esiste l’urbanesimo come modo di vita. Direi che, oggi, è egemonico.
    Ogni egemonia ha vantaggi e costi. Quella urbana, così come quella rurale. Poi ci sono le preferenze personali. Le mie vanno a quella urbana, che amo. Le tue, a quella rurale. Ma occorre distinguere fra preferenze personali e analisi.

  5. giuseppe delogu

    Grazie della risposta Alessandro. Sia tu che io cerchiamo di fare analisi non giocherellare sui gusti personali. Che esista un serio problema di abbandono e degrado del territorio dell’interno è un fatto oggettivo; che la città (non importa quale, parlo di ideologia urbana, divori e parassitizzi nella sua visione il contesto territoriale dell’interno è altrettanto vero. Si dice che tra 20-25 anni l’80% della popolazione mondiale sarà concentrato nelle città. E il resto del mondo diventerà il giardino dei balocchi o il parco per il bel vivere dei cittadini? La dimensione urbana sta tra l’altro creando seri problemi al riscaldamento globale per le sue isole di calore estreme legate alle combustioni da trasporto e riscaldamento/refrigerazione. E lo farà ancor di più in seguito. Mi chiedo se in una visione a prevalenza urbana aiuti a riequilibrare un tessuto sociale sfrangiato e impoverito nel territorio sardo nel suo complesso. Continuo a leggerti.

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