Apocalissi immaginarie [di Nicolò Migheli]
Da quando sono apparse le prime notizia sul Covid-19 manifestatosi a Wuhan, il Corona virus non ha mai abbandonato le prime pagine dei giornali e le aperture dei TG con rimandi ai talk show in continua presenza di politici e virologi mediatici. Salvini, un maestro nell’usare la paura, in previsione delle elezioni regionali toscane, entra in polemica con il presidente Rossi e con il governo accusati di non obbligare alla quarantena la comunità cinese, salvo poi scoprire che l’emergenza si manifestava nelle due regioni governate dalla Lega e portate a modello per i loro sistemi sanitari. Se invece si aveva l’accortezza di dare uno sguardo alla stampa europea o seguire in rete un qualche TG non italiano ci si accorgeva che l’emergenza cinese era derubricata e spesso non compariva né nelle prime pagine né nelle aperture dei telegiornali. L’uso politico che se n’è fatto in Italia, costringendo il governo a rincorrere le provocazioni leghiste, ha rasentato il terrorismo e le reti sociali hanno amplificato in ogni telefonino ogni notizia provata che fosse o no. Infine il governatore della Lombardia Fontana, mettendosi in auto-quarantena con mascherina sul volto, ha compiuto un gesto buono per la spettacolarizzazione ma comunicando all’estero un contagio che tocca la alte sfere. L’Italia nello Stato di Eccezione, come sottolinea rimarcandone i rischi Giorgio Agamben sul Manifesto. Tutto questo mentre il consulente del governo e dell’OMS prof. Ricciardi dichiara che i casi sono stati sovrastimati. Umberto Galimberti dice che lo stato che stiamo vivendo non è quello della paura, bensì dell’angoscia, di un pericolo che può arrivare da tutte le parti, come la guerra e il terrorismo, non si sa come identificare il nemico. Caccia al paziente zero, titolava un giornale. Il termine caccia è simbolo di una condizione mentale, non si cerca il malato, ma l’untore, ricorda i rastrellamenti in tempo di guerra alla ricerca dell’agente sabotatore. Per spiegare questo stato d’animo si è fatto ricorso ai classici, da Tucidide a Saramago passando per Manzoni. La paura del morbo è ancestrale, tocca le fibre più intime, il contatto con l’alterità, trattandosi di fluidi e fiati identificati come la mala aria delle pesti medievali. In questa apocalisse immaginaria vi è qualcosa di più che riguarda la società contemporanea, il rapporto con l’altro, le questioni ultime. La nostra è una società vecchia e impaurita, dipendente da una informazione che è diventata competitiva all’estremo perché si nutre di ascolti e di carta stampata che vende sempre meno. Un’amplificazione di allarmi continui, rilanciati dalla politica, la paura dell’emigrato o semplicemente di chi in qualche modo transige a quello che si immagina normale. Una condizione psicologica di solitudine che soggiace ai modelli imperanti salutistici, un voler eliminare il rischio congenito alla condizione umana. Aver rimosso la morte, vista sempre come quella altrui e non considerata, se non in maniera sfuggente, per un sé dedito alla rincorsa di un giovanilismo che non contempla malattie ma solo corpi efficienti in linea con i modelli imposti. Più che il Covid-19 è questa realtà sociale ad essere angosciosa avendo perso i sostegni psicologici che garantivano i gruppi delle comunità tradizionali, un rapporto sereno con la propria vita. Una società allo sbando creata da paure continue imposte per poter essere utilizzata per fini politici. Siamo messi peggio dei tempi della Spagnola o dell’influenza Asiatica del 1957. Oggi siamo così e non meravigliamoci se i cordoni sanitari si stanno stendendo nei confronti dell’Italia. A furia di chiedere confini chiusi, sono gli altri che li chiudono. I primi limes d’abbattere sono quelli mentali. Passerà anche questa epidemia, ma l’infodemia – neologismo creato dall’OMS per definire le false notizie sanitarie- resterà. Resterà se non cambiano chi ha in mano l’informazione, i politici, gli esperti che vanno in Tv. Di tutto abbiamo bisogno, fuorché del populismo sanitario.
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