Cinque pillole contro il virus nazionalista di Meloni & co [di Mario Margiocco]

da sin: Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani durante una conferenza di presentazione delle proposte del centro destra sull'emergenza coronavirus, Roma, 6 marzo 2020. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

https://www.lettera43.it/meloni-coronavirus-unione-europea/ 22 Marzo 2020 La leader di Fratelli d’Italia attacca l’Unione Europea sulla gestione dell’emergenza sanitaria.

Alcune risposte a lei e ai peronisti di ritorno.  Per cominciare, un po’ di storia, stranota a molti, e costantemente dimenticata dai più. Passeremo poi subito all’Europa, all’Italia di oggi e a Giorgia Meloni, campionessa del rinato nazionalismo italiano, una guida quindi per un futuro prossimo che la leader di Fratelli d’Italia erede dell’Msi dovrebbe incominciare a tratteggiare, visto che è lì che ci vuole portare.

Resta invece oscuro, e sempre più peronista, cioè rivendicativo, velleitario e pericoloso. Molti argentini, anche in Vaticano, hanno ancora nostalgia di Perón perché li ha fatti sognare. Sono da oltre mezzo secolo rovinati, ma sognano ancora. Non è un esempio.

 L A LUNGIMIRANZA DI POCHI. Quel tanto o quel poco di Europa organizzata che abbiamo e che oggi si chiama Unione Europea lo dobbiamo alla lungimiranza (alle illusioni, dicono gli iper nazionalisti) di pochi uomini nati a fine 800, testimoni dello scempio della Prima guerra e del definitivo suicidio europeo della Seconda. I nomi, anche italiani ovviamente, sono noti a tutti – salvo i distratti e i beoti ovviamente – e non è necessario ripeterli. Avevano in mente un modello sovranazionale, con concrete cessioni di sovranità, perché la loro esperienza, molto forte ad esempio in Jean Monnet, era che la semplice collaborazione volontaria non basta, troppo esposta a tutte le tentazioni nazionaliste e burocratico-corporative. Anche in vari parlamenti, senz’altro in quello italiano del 1956 eletto nel 53 e che approvò con i Trattati di Roma l’atto costitutivo del tutto, nemmeno la maggiorana dei parlamentari, in linea di massima favorevoli ad eccezione del Pci filosovietico, capiva bene di che si stesse parlando. Figuriamoci l’opinione pubblica.

LA CREATURA DI UN’ÉLITE. Il dato fondamentale di quel tanto o poco di Europa che abbiamo è che fu la creatura di un’élite, non dei popoli. I popoli erano e restano molto nazionali, anche se in realtà e nonostante le apparenze meno di ieri; questo è sia un bene, una identità forte, sia un difetto, perché limita le opzioni per un futuro che, se affidato solo e strettamente agli Stati nazionali, troppo numerosi sul nostro piccolo continente e troppo piccoli per il mondo di oggi, Germania compresa, apre un futuro molto incerto. Che invece per i nazionalisti doc come Meloni è l’unico possibile, e per gli opportunisti come Matteo Salvini (con il nazionalpopulismo ha risollevato alla grande le fortune elettorali della Lega) è il più fruttuoso.

Meloni ha ora avuto notevoli successi online con i suoi video anti Ue ispirati dalla crisi coronavirus. Ve ne sono in versione lunga da 25 minuti, un successone, e in versione breve. Uno lo ha intitolato “Brevi cenni sull’utilità di questa Unione europea”. Molti follower e molti commenti online hanno lodato la profonda conoscenza di cose europee. Si parte ovviamente dalla drammatica situazione creata da Covid-19 nei cui confronti l’Europa, dice Meloni non senza qualche valido argomento, ha dimostrato tutta la sua impotenza. Le linee di attacco della Meloni sono cinque, cinque fallimenti dell’Europa.

1. LA SANITA È COMPETENZA NAZIONALE PER VOLERE DEGLI STATI. Primo. Le persone circolano liberamente nell’area Schengen, o circolavano fino ai primi di marzo, «ma non esiste un protocollo unico» per definire il contagio e il che fare, denuncia giustamente Meloni. Certo, è una grave lacuna. Peccato che la sanità sia stata sostanzialmente definita di competenza nazionale e non dell’Unione dal trattato di Maastricht del 1992 (art.129) dove l’Unione viene chiamata «a incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri», tutto qua. Il Trattato di Amsterdam (1997) ampliava varie competenze, preparava l’allargamento a Est, ma proibiva –esatto, proibiva – l’armonizzazione sanitaria perché competenza degli Stati. Il massiccio passo in avanti fatto con il mercato unico e l’unione monetaria aveva reso gelosi gli Stati delle loro prerogative, e tra queste la sanità. Non molto è successo da allora, ci sono stati passi avanti anche nella sanità comune ma solo come sottoprodotto delle norme a tutela dei consumatori, e poco altro. Mancano i “protocolli” citati da Meloni? È una mancanza voluta, dagli Stati nazionali, e non risulta che l’Italia abbia fatto seria obiezione, all’epoca.

 2.I PAESI MEMBRI HANNO STRETTO IL CONTROLLO SUGLI APPALTI. Secondo. Non esiste un sistema unico di certificazione, ha detto Meloni, cioè una regola per stabilire i livelli di diffusione del contagio, le cose fatte, e quindi «tutti possono puntare il dito contro l’Italia». Le risposte sono nei citati Trattati di Maastricht, Amsterdam e altre decisioni degli Stati, che hanno stretto il loro controllo sulla sanità al punto da riservare la maggior parte delle gare di appalto in materia di medicinali e attrezzature ai soli fornitori nazionali, a differenza di quanto accade per molti altri settori.

3.QUANTA CONFUSIONE SULLE CIFRE. Terzo, solo con l’allargamento dei casi a Germania e Francia si incomincia a parlare di miliardi, prima per l’Italia solo 200 milioni, dice Meloni. Qui c’è una grande confusione fra cifre nazionali e cifre Ue, e molti in Italia hanno confrontato i 500 circa miliardi di euro promessi in Germania per alleviare le conseguenze economiche con quanto fatto finora dall’Italia, e si sono sentiti traditi. Ma la Ue non c’entra molto. Non siamo un’Europa federale a governo unico, abbiamo delegato certi poteri, ma il centro del potere resta negli Stati. La Commissione ha messo a punto il 13 marzo un piano con fondi recuperati dal suo bilancio e pari a 1 miliardo di euro e che metterà in moto, agevolandoli, crediti pari a circa 8 mila miliardi ai quali l’Italia ha accesso. Varie numerose altre misure circa attrezzature e altro hanno avuto bisogno dell’approvazione degli Stati.

4.LA LINEA DELLA BCE È UN NUOVO WHATEVER IT TAKES. Quarto. Il caso Lagarde, le parole altamente inopportune, sullo spread che non riguarderebbe la Bce, pronunciate dal presidente della Banca centrale. Certamente c’è chi la pensa così nell’Unione, in Olanda e in Germania soprattutto. Per Meloni quelle parole sono parte di un «complotto». Ma il lancio mercoledì 18 marzo del PEPP, una linea di intervento sine die in risposta al coronavirus con massicci acquisti di titoli anche italiani, indica che la linea di Francoforte è fino a prova contraria intervenire, non stare a guardare, e risponde a un nuovo whatever it takes.

5.IL DEBITO NON PUÒ ESSERE SEMPLICEMENTE IGNORATO. Quinto e ultimo, la questione del Mes, il cosiddetto salva stati, le nuove regole in base alle quali può essere aiutato uno Stato membro in gravi difficoltà finanziarie. Non c’è dubbio che alcuni partner lo vedono come l’occasione per costringere l’Italia ad affrontare il suo abnorme debito pubblico, che tra l’altro sotto la spesa eccezionale coronavirus rischia di avvicinarsi a sfondare tutti i parametri, come cifra assoluta i 2.500 miliardi e in percentuale l’altra soglia psicologica del 150% del Pil, visti i forti cali che avrà quest’ultimo causa pandemia. L’Italia non vuole la troika, e ha ragione. Ma vorremo prima o poi far vedere che riusciamo a imbrigliare questo debito? O pensiamo forse di poter restare nell’euro all’infinito senza fare nulla?

“Quand’è che ci ribelliamo?” si chiede adesso e chiede all’Italia Meloni. Ribellarsi a che? Allo spread? Riecheggia il “che cos’è questo spread?”, interrogativo storico proposto con smorfia di disgusto da Salvini all’inizio del governo gialloverde, poco meno di due anni fa. Ma Meloni non ha avuto bisogno del coronavirus per dire che l’Europa di Bruxelles è uno schifo. Lo diceva già anni fa. «Un banale comitato d’affari di usurai», così Meloni definiva la Ue il 30 giugno 2015 a una trasmissione tv (Ballarò). Lo ha sempre detto. Lo ha sempre pensato.

Quindi, venendo da lontano, dovrebbe avere meditato assai dove vuole andare e dovrebbe sapere dove vuole portarci.  Finora Meloni, Salvini e l’ineffabile Claudio Borghi, l’uomo che ha la ricetta in tasca, cioè tornare alla lira e stampare moneta, fanno solo sostanzialmente confusione, perché non indicano nessuna soluzione credibile, salvo protestare. Uscire dall’euro? Uscire dalla Ue? La soluzione di Salvini si chiama Borghi, evidentemente.

Meloni non è certo lontana da questo. Salvini che tanto ha battuto il tamburo anti euro e anti Ue cerca ora, surclassato, di suonare lo stesso piffero della collega di centrodestra. Per ora è solo un presente di protesta, di polemica, di ricerca dei “traditori”, e popolato da “nemici”. D’accordo, ma per andare dove? A epidemia sotto controllo, chiariremo i rapporti con la Ue, ha minacciato in questi giorni Salvini. Lui e Meloni cavalcano lo sconcerto attuale pensando ai voti in più che si potrebbero raccogliere.

Non sono leader, se non del tipo di Juan Domingo Perón che, al potere nel 1946 con le casse nazionali argentine riempite dalla Seconda guerra mondiale, promise agli argentini la luna e poi fu costretto a farsela finanziare da una banca centrale opportunamente (e fraudolentamente) imbrigliata, e rovinò il Paese, innestando un’inflazione endemica mai vista prima e da allora inestricabile…….

 

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