I pieni poteri nascondono gli affari di Orbán [di Nicolò Migheli]
La pandemia sta cambiando la politica. Tutti i governi dei paesi coinvolti hanno dichiarato uno stato d’eccezione. L’hanno fatto in virtù delle loro costituzioni che prevedono un tempo limite. Non così l’Ungheria. Viktor Orbán fa votare dal suo parlamento una legge che gli affida pieni poteri a tempo indeterminato. Solo lui li potrà revocare. Contemporaneamente estende il suo già ampio controllo sulla stampa, potrà sciogliere il parlamento, indire nuove elezioni. Non solo l’opposizione socialista urla al golpe e invoca l’intervento della Commissione Europea, anche il leader del partito di estrema destra Jobbik, Peter Jakab ha usato le stesse parole. L’Ungheria non è la Turchia ma ci si sta avvicinando a larghe falcate. Il governo potrà arrestare e condannare a 5 anni di prigione chiunque critichi la sua politica nella gestione della crisi, basta che la notizia venga classificata come falsa e il giudizio lo darà l’amministrazione pubblica. Con le riforme costituzionali degli anni scorsi è stata cancellata l’autonomia della magistratura, con leggi ordinarie è stata imposto il controllo governativo sui contenuti di ogni spettacolo teatrale che abbia un qualche finanziamento pubblico. Eduardo Galeano definì democratura certi regimi latinoamericani improntati alle regole formali della democrazia come le elezioni, ma nei comportamenti sostanzialmente autoritari. L’Ungheria di Orbán dal 2012 in poi lo è stata. Oggi forse ci troviamo davanti a qualcosa di più spinto: all’autocrazia che potrebbe rasentare la dittatura. Trova applicazione la democrazia illiberale che lo stesso leader ungherese nel suo incontro milanese con l’ex ministro dell’interno Salvini ebbe a definire come: i valori conservatori della patria e dell’identità culturale prendono il sopravvento sull’identità della persona. Tutto questo contro la democrazia liberale accusata di multiculturalismo, di non rispettare la famiglia cosiddetta naturale. I diritti delle minoranze scompaiono davanti alla maggioranza. Un difesa dell’identità, un etnocentrismo escludente che vede i profughi e i migranti come attentatori alla purezza del popolo dominante. Una concezione di questo tipo autorizza Orbán a definire chi non è d’accordo sui pieni poteri di stare dalla parte del virus. Inutile sottolineare che l’uso di questa parola ricorda le disinfezioni naziste nei confronti degli ebrei e degli untermensch sia etnici che politici. Il corto circuito si compie quando al termine democrazia viene associata l’illiberalità, perché la rende plausibile. Può esistere una democrazia moderna senza diritti umani estesi a tutti, senza separazione dei poteri, senza una magistratura indipendente? I teorici della democrazia illiberale si rifanno alle esperienze medievali dei ting scandinavi e germanici. Le Landsgemaine; oggi sopravvivono nei cantoni svizzeri di Appennzell Innerhoden e di Glarus dove i cittadini votano per alzata di mano. Solo da un trentennio vi è anche il suffragio femminile per imposizione del Tribunale Federale. Illiberali perché precedono la rivolta inglese del Seicento, le rivoluzioni americane e francesi. Quelle forme di democrazia diretta possono andar bene per piccole comunità non certo per Paesi come l’Ungheria. È evidente che in questo caso è solo un velo nominalistico per nascondere la democratura o la repubblica degli oligarchi come la definisce la giornalista d’inchiesta Gabi Horn sul sito Átlátszó. I pieni poteri avuti da Viktor Orbán gli permettono di poter nascondere i suoi affari. La giornalista aveva rivelato che i fondi europei per l’agricoltura venivano incamerati da persone vicine al clan del leader e da componenti del suo partito Fidesz. La famiglia di Orbán si è impadronita di una grande azienda pubblica, la Hatvanpustza, diventata proprietà del padre. Altri contadini e allevatori che hanno partecipato ai bandi per la concessione di terre pubbliche sono stati esclusi perché non appartenevano al partito del leader. Milioni di euro della Ue finiscono nelle tasche di quegli oligarchi. Secondo l’ex segretario di stato per l’agricoltura György Raskó, l’80% del reddito netto degli agricoltori ungheresi è dato dai sussidi europei e maggiore è la superficie in proprietà o in concessione, maggiore sarà il reddito. Molti di questi oligarchi sono agricoltori solo di nome. Covid-19 si sta mostrando utile per rinsaldare il potere di Viktor Orban. Nell’autunno scorso Fidesz ha perso al municipalità di Budapest. Un colpo duro per le finanze del partito perché le campagne elettorali vengono spesate con fondi municipali. Il potere iniziava a cedere anche dopo le manifestazioni dei lavoratori contro la legge che impone gli straordinari gratuiti. Ora con i pieni poteri Orbán diventa inamovibile. Una quasi dittatura nel centro dell’Europa è sopportabile dalla Ue, visto che ne tradisce ogni valore fondante? Anche un Paese che si comporta in questo modo non può essere espulso dalla Ue. Questo è un bene, si lascerebbero gli ungheresi soli. In base all’art. 7 del trattato di Lisbona: il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. In questo senso si è già espresso il Parlamento Europeo. Sarà possibile? È legittimo nutrire dei dubbi, raggiungere quella maggioranza non sarà facile. Non solo per l’opposizione probabile di tutto il gruppo di Visegrád. La stessa Germania fino ad ora, ha impedito ogni sanzione contro l’Ungheria perché molte delle imprese presenti in quel Paese sono tedesche, il taglio dei fondi le colpirebbe direttamente. Potrebbe cambiare tutto? Forse. Dipende da come l’Unione Europea affronterà la crisi sanitaria e quella economica indotta dal Corona Virus. Per il momento il problema è solo dei cittadini ungheresi. Per saperne di più : https://it.euronews.com/2020/01/17/ungheria-degli-scandali-i-fondi-europei-per-l-agricoltura-finiscono-agli-amici-di-orban |