Appunti per una Černòbyl’ globale [di Alessandro Mongili]
Di fronte all’inaudito che stiamo vivendo, siamo bombardati da interpretazioni e previsioni fondate sul vecchio. Anche in Unione Sovietica, di fronte a Černòbyl’, negli anni Ottanta, le risposte che circolarono inizialmente furono analoghe, vse po planu, tutto va secondo i piani. E invece no, niente va secondo i piani. Bisogna cominciare a pensare partendo dalle cose che vediamo. Ho avuto l’idea, dai miei domiciliari di recente prolungati, di fare un piccolo elenco delle cose che mi sembrano importanti. Nuove simmetrie. La prima cosa che mi viene in mente è relativa alla necessità di ammettere che non si può essere asimettrici rispetto a natura e cultura. I due ambiti, considerati a lungo rigidamente separati, agiscono intrecciati: come un tutt’uno in ciò che stiamo vivendo. Nonostante le lezioni di Philippe Descola, di Bruno Latour, di Helen Verran, di Annemarie Mol, di tanti altri studiosi, in Italia e in Sardegna si fa difficoltà ad ammettere che il virus è altrettanto importante rispetto alla virologia, che i corpi non sono pensabili senza la malattia e la cura, e dunque i farmaci e la tecnologia, e che questi sono strettamente legati alla politica sanitaria e alla gestione delle strutture sanitarie e delle reti di cura. In particolare, intrecciati con le pratiche di cura e con le pratiche organizzative più ancora che con le linee guida e i protocolli astrattamente definiti. È necessario usare questo momento per uscire dai rassicuranti schemi vetusti e ancora cripto-funzionalisti o vetero-marxisti di analisi, per affrontare il mare aperto della realtà. Il virus. Non si può pensare quello che stiamo vivendo senza partire da lui. Ma il virus è uno, nessuno e centomila. Ha ontologie multiple, per usare un’espressione di moda. La sua stessa origine è discussa, incerta. Il suo comportamento sorprendente. Le sue descrizioni differenziate. In Italia e in Sardegna, dove raramente si è a contatto con ricercatori che fanno il lavoro scientifico, vista la loro rarità e la loro fuga di massa, si pensa che la Natura in fondo basta leggerla, e la si confonde con i manuali universitari o scolastici, in cui appare ordinata, ben descritta e certa. Rassicurante come Dio nel catechismo. Quando la scienza lavora, come in questo momento, la Natura compare come un fenomeno e un insieme di processi abbastanza sfuggenti, non un catalogo di certezze da esporre a un esame o in una trasmissione di divulgazione. Il virus non ha portavoce certi nel mondo della scienza, né tantomeno nel dibattito pubblico. È incerto, nascosto. Ma cruciale per tutto questo insieme che viviamo. Spazio pubblico/spazio privato. Il potere. Almeno dal momento in cui la corrente elettrica è arrivata nelle case, è difficile assumerle come spazi autenticamente privati. Oggi, parlare di privacy è parlare di una categoria astratta perché, come esperienza, non esiste proprio più, e il luogo in cui esiste meno forse è la nostra stessa casa. Tutto ciò che facciamo al suo interno è tracciato, escluso forse il sonno. Esiste forse maggiore privacy per strada, in mezzo alla folla anonima. A casa, siamo costantemente connessi e inclusi in flussi informativi e di interazione, ancorché remota o scopica, per riprendere il termine della Knorr-Cetina. I giuristi elevano alti lai in questo momento per lo stato di emergenza, ma dovrebbero invece riflettere sulla sua banalità, sui limiti della loro cultura formalista, sull’inutilità di quanto dicono. Benché alcuni regimi autoritari cerchino di approfittare della Černòbyl’ globale, altri ne sono terrorizzati, come in Bielorussia, in Corea del Nord e in Turkmenistan (dove la stessa parola “coronavirus” è stata vietata per legge). Dunque, l’emergenza rafforza il potere o lo mina? A me sembra che per ora lo costringa, lo pieghi, lo stressi, ne metta in evidenza la mancanza di incisività, di legittimità, di autorevolezza. Le conferenze stampa quotidiane di Trump lo mostrano. Egli introduce, poi passa la parola a scienziati, manager, e altre figure legate alla gestione di dispositivi di potere sanitario, principalmente. La politica è fragile di fronte al virus, non lo governa, e non riesce neanche a governare le popolazioni. La virologia. Investita di colpo di un ruolo centrale, questo ramo secondario della medicina è entrata nelle nostre vite sia con la mediazione dell’informazione, che direttamente (molti virologi sono diventati esse stesse o essi stessi commentatori e influencer, cosa di cui Ferragnez e altri influencer classici hanno subito risentito). La reazione è quella di prendere partito, di crearsi eroi, di individuare nemici, di caratterizzare personaggi. Ma, come hanno scritto Olimpia Affuso e Giuseppina Pellegrino in un Decalogo pubblicato sul sito dell’Università della Calabria, quando la scienza lavora è normale che vi siano posizioni diverse. È perfino doveroso garantire e favorire la completa libertà di discussione, poiché è il vero strumento scientifico per mettere a punto rappresentazioni il più possibile convincenti e efficaci di ciò che avviene. Detto questo, a me colpisce moltissimo il carattere ibrido della virologia. Più che un campo separato, con le sue dinamiche interne di potere e fama relativa dei vari gruppi (in Italia in evidenza la scuola padovana, quella del Sacco, l’onnipresente Burioni, ecc.), mi sembra rilevante l’immediato legame con i media, con la politica, con le decisioni politiche in particolare, rispetto alle quali la virologia è diventata ben più importante della Camera dei deputati. In un certo senso, la virologia è diventata più importante per il livello costituzionale che per il livello costituito dalle politiche sanitarie. Per tacere dei legami con la ricerca farmacologica. Il mercato. E niente, il mercato, l’Economia, i Bilanci, le menate con cui ci hanno tartassato per un paio di decenni, provocando anche un legittimo rigurgito di marxismo fuori tempo massimo, improvvisamente sono un argomento secondario, o almeno ancillare. È chiaro che ci vogliono politiche socialiste, anche se non certo regimi socialisti inefficaci o arcaici. Chissà se ci saranno forze sociali in grado di imporle, o se diverranno politiche di autodifesa di oligarchie illuminate. Vedremo. Poi, ci sarebbero molti altri appunti da prendere, ma vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum periculosum, iudicium difficile. |