Abbiamo un problema [di Nicolò Migheli]
La società sarda e quella italiana in occasione dell’isolamento e della pratica delle distanze interpersonali si è mostrata in maggioranza ligia alle regole impartite dalle autorità governative, regionali e comunali. I casi di trasgressione sono veramente pochi. Giungono notizie che alcuni di essi sono dovuti più che all’entità del reato a una rigidità eccessiva di alcuni esponenti delle forze dell’ordine. È un susseguirsi di denunce. Persone che vengono multate anche se, apparentemente, non commettevano alcun delitto. Ogni caso ha la sua storia, questo periodo avrà uno strascico nei tribunali, molti di quelli oggi multati verranno riconosciuti innocenti. Tra tutte le vicende di cui si è avuto notizia una mi ha colpito per l’assurdità del dialogo e della richiesta di spiegazioni. A Lecce il giorni Pasqua un medico mentre si reca in ospedale per una urgenza viene bloccato da due vigili urbani. «Alle 19.00, un’ora prima dell’inizio del mio turno, vengo chiamato per un’urgenza. Mi vesto in fretta e corro in clinica cercando di ridurre i tempi per minimizzare i rischi del paziente che sta arrivando con il 118 presso la struttura dove svolgo il mio lavoro di anestesista-rianimatore. All’altezza del Bar Stop, verso le 19.15, vedo una pattuglia della Polizia Locale, un uomo ed una donna. Mi fermano, giustamente, stanno svolgendo il loro lavoro. Mi chiedono i documenti e dove stessi andando. Gli spiego che sono un medico, che sono stato chiamato in urgenza e comunque gli mostro sia il tesserino medico che la patente» si legge. Giustamente chi sta in strada per effettuare i servizi non ha la palla di vetro per capire se al volante c’è un medico o un “furbetto”, ma non è il fatto di essere stato controllato, quanto il dopo a far infuriare il medico.«L’uomo dice alla collega: “Facciamolo andare il dottore”. La collega molto stizzita guarda i miei documenti e mi dice: “Anche il giorno di Pasqua fate urgenze?”. Io incredulo, con un miscuglio di emozioni che mi assalgono, mi calmo e rispondo: “Sai, purtroppo le persone si sentono male anche a Pasqua e per questo vado di fretta”. “E che cosa avrebbe questa persona?” ribadisce; io che cerco di mantenere la calma. Respiro, non so se è giusto rispondere, ma per quieto vivere lo faccio (forse ingenuamente) “un infarto e non posso permettermi di perdere tempo”. Lei non contenta con faccia sospettosa mi dice: “Ma scusami, a cosa serve l’anestesista rianimatore per un infarto?”. A quel punto penso di essere su scherzi a parte, ma vedo che lei non scherza affatto».Il racconto continua. «Il vigile uomo, imbarazzato dalle domande della collega, ribadisce: “Facciamolo andare il dottore” ma lei, la vigilessa continua il suo show trattenendo i miei documenti e facendomi perdere 10-15 minuti inutilmente. A quel punto perdo la pazienza le dico in maniera ferma: “Sono stanco, ridammi i documenti e sei vuoi farmi la multa fai pure, le mie generalità le hai, io devo andarmene”. Metto in moto e vado via. Arrivo giusto in tempo per ricevere e trattare il paziente che per fortuna va bene, ma se avessi continuato il tira e molla messo su dalla vigilessa forse qualcosa sarebbe cambiato». La testimonianza è riportata dal sito Leccenews24.it e così viene riproposta. Poi sono arrivate le scuse del comandante dei vigili. Però se quel paziente fosse morto per assenza dell’anestesista rianimatore di chi sarebbero state le responsabilità? Sarà anche, come sottolinea il medico, che quell’agente fosse stressata, che il confinamento non è facile per chiunque, ma abbiamo un problema. Non da oggi. Nelle forze di sicurezza alligna una mentalità autoritaria, la non defascistizzazione negli anni ha permesso che certi atteggiamenti, il considerare il cittadino come suddito e non l’essere al suo servizio, continuasse. Come sostiene la letteratura cambiare le culture organizzative non è facile, certi atteggiamenti e certi costumi permangano, c’è troppa tolleranza della cultura dello sceriffo. È inutile citare casi come quello del povero Cucchi o il comportamento delle forze di polizia durante il G8 di Genova, ma una società che si proclama democratica può permettersi certi soprusi? Indubbiamente questo periodo porta alcuni rappresentanti dello stato a sentirsi come ultimi baluardi della salute pubblica. Però alcune domande vanno poste. Quali esami sulla psicologia dei candidati all’atto delle assunzioni? Che corsi di formazione? Quali misure vengono intraprese per il controllo delle pulsioni autoritarie? Quali controlli psicologici durante il servizio? Domande importanti non solo per noi cittadini, ma anche per gli stessi tutori dell’ordine perché la mentalità autoritaria si scarica prima sui colleghi che nella strada provocando stress e burn-out. Quarantasei casi di suicidio tra loro nel 2019 – 306.000 persone eccetto la polizia locale- è un segnale da non ignorare. Ogni suicidio ha la sua storia, ma il tasso è superiore di molto a quello della società italiana: 6 casi su 100.00 abitanti. Un numero molto allarmante, soprattutto perché si verifica in un gruppo ristretto che ha un’età media bassa e s’immagina sano. |
Ha posto un problema che il coronavirus ha fatto emergere con maggiore evidenza. Mi sono sempre stupito della facilità con cui certe persone siano state assunte per vigilare sull’ordine pubblico: porsene in cui era evidente un’attitudine psicologica inadeguata anche nelle piccole cose. Senza raccontare l’intero aneddoto, cito il caso di un tizio che, pur vedendo che si stava facendo un danno, aspettò che si ultimasse per potere elevare una maggiore sanzione. Evidentemente c’è chi fa prevalere il concetto di punizione a quello di prevenzione.