Sardegna, bloccata la privatizzazione delle spiagge [di Costantino Cossu]
il Manifesto 22 Aprile 2020. Vittoria ambientalista. Incostituzionale, il governo impugna la legge locale sui chioschi, e anche quella sulla posidonia. Il fuoco di sbarramento degli ambientalisti sardi era partito già lo scorso febbraio, quando il Gruppo di intervento giuridico (Grig) aveva segnalato al governo la legge regionale sarda appena approvata che stabilisce nuove norme sui chioschi nelle spiagge, chiedendo a Conte e ai suoi ministri di sollevare una questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta. La legge consente ai titolari delle concessioni demaniali sui litorali dell’isola di installare chioschi e altre strutture durante l’intero corso dell’anno e stabilisce che «l’efficacia delle autorizzazioni edilizie e paesaggistiche relative a strutture precarie a scopo turistico ricreativo, ubicate nella fascia dei 300 metri dalla battigia marina, ha durata pari a quella della concessione demaniale», durata di recente prorogata fino al 2033 nonostante la direttiva europea Bolkestein. Nella seduta dell’altro ieri il Consiglio dei ministri ha dato ragione al Grig e ha impugnato la legge, intimando alla giunta sarda di modificare o di ritirare il provvedimento, pena il giudizio davanti alla Corte costituzionale. Il governo ha fatto propria l’argomentazione del gruppo di agguerritissimi avvocati ambientalisti secondo cui le regole decise dalla giunta sarda, oltreché danneggiare le spiagge, sono anticostituzionali perché limitano in maniera permanente la libera fruizione del demanio marittimo. Una privatizzazione di fatto di aree estesissime di suolo pubblico. Sempre in seguito all’intervento del Grig, un’altra legge regionale sarda è stata impugnata dal Consiglio dei ministri, quella che fissa nuove disposizioni sulla gestione della posidonia (un tipo di alga molto presente sui fondali dell’isola) che durante i mesi invernali si accumula sulle spiagge. L’impugnazione è motivata dal fatto che «alcune norme eccedono dalla competenza statutaria della Regione Sardegna e violano la competenza esclusiva statale in materia di ambiente e di tutela dell’ecosistema di cui all’articolo 117 della Costituzione». A parte il conflitto di competenza tra Stato e Regione, c’è di più: secondo il Grig, le modalità di rimozione della posidonia stabilite dalla legge approvata dalla giunta sarda rischiano di causare danni molto gravi ad alcuni delicatissimi ecosistemi lungo i litorali. Quella conclusasi con l’impugnazione delle due leggi da parte del governo è la seconda battaglia vinta dagli ambientalisti nelle ultime settimane. Ai primi di aprile la giunta di centrodestra guidata dal sardista Christian Solinas aveva approvato una delibera in cui si dava il via libera a due progetti edilizi sulle coste per un valore di 23,8 milioni di euro: la riqualificazione di un albergo sulla spiaggia di Piscinas, nel territorio del comune di Arbus, e la costruzione di un hotel a cinque stelle a Monte Turnu, nel comune di Castiadas, entrambi nel sud Sardegna. Sarebbe stata una palese violazione del Piano paesaggistico regionale (Ppr), ma la pressione sull’opinione pubblica del movimento ambientalista sardo ha indotto Solinas a ritirare la delibera. «Hanno tentato – commenta Maria Antonietta Mongiu, ex assessora della giunta Soru che varò il Piano paesaggistico regionale – di dare il via a due progetti di cementificazione in spregio del Ppr e della Costituzione. In un momento in cui in tutto il mondo si sta ripensando il modello di sviluppo distorto e ingiusto che abbiamo conosciuto negli ultimi quarant’anni, la Sardegna è governata da un gruppo che pensa ancora a consumare ulteriormente porzioni di territorio». «E questo – spiega Mongiu – mentre la sanità pubblica ha mostrato la sua fragilità come servizio territoriale dedicato alla persona in osservanza dell’articolo 32 della Costituzione e mentre non sappiamo quali siano i piani concreti della giunta per superare in Sardegna l’emergenza legata all’epidemia da coronavirus». Una colata di calcestruzzo per oltre 10mila metri cubi su oltre 70mila metri quadrati, di cui 60mila in zona urbanistica e circa 13mila vicino al mare e sottoposti a tutela. Questo erano i due progetti che stavano per partire. Per il momento non se ne farà niente. Ma il partito trasversale del cemento in Sardegna è molto forte e c’è da scommettere che ritornerà all’attacco, magari sfruttando le difficoltà economiche della fase 2 dell’emergenza coronavirus per riproporre il solito ricatto ambiente contro lavoro. Come sempre, senza alcuna visione, senza alcuna capacità di immaginare per la Sardegna un altro futuro possibile oltre petrolchimica e turismo di rapina.
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… ma si no ischint ite ndhe fàghere de su dinari chi tenent, ite ndhe faghent?! E si su muntone no creschet e non ndhe bogant unu muntone meda prus mannu, “il gioco vale la candela”? Ca su dinari tenet una ‘virtude’: si no s’ispendhet no balet una pira e si no si moltíplicat “il gioco non vale la candela”… Si tiat pòdere ispèndhere solu pro su chi serbit a chie serbit nessi pro campare e campare carchi cosa menzus, però… ojamomia ita dannu!!!