Le prospettive del turismo culturale italiano. Visitatori distanziati, proventi dimezzati. Prezzi raddoppiati? [di Francesco Scoppola]
Il Giornale dell’Arte numero 408, maggio 2020 Siamo preoccupati per il destino di musei, monumenti, corsi, mostre, iniziative, convegni e occasioni varie, principali motori del turismo. L’industria del viaggio è quota rilevante del prodotto interno lordo di ogni Paese, soprattutto dei Paesi sul Mediterraneo, in particolare dell’Italia: per questo la nostra Pubblica amministrazione ha riunito il turismo al patrimonio. I proventi delle singole iniziative in confronto sono briciole: gli Stati più illuminati non di rado rinunciano a questi ricavi marginali pur di incrementare il gettito principale. Nei Paesi dove l’ingresso nei luoghi della cultura è gratuito andiamo più volentieri. Il grosso della differenza così è già assicurato. Lo sanno benissimo albergatori, ristoratori, società di trasporto e di servizi: sottoporre il visitatore a un esborso continuo non premia, rende di più la sua quiete che si traduce nello stare più a lungo. Che la folla, l’assembramento eccessivo non fosse piacevole lo abbiamo sempre saputo in modo istintivo: è questione di prossemica. Non siamo trichechi o foche o pinguini e non dobbiamo difenderci dal freddo con il contatto fisico. In ascensore se non siamo soli tendiamo a interrompere o ridurre le conversazioni, con gli occhi bassi: diveniamo laconici come con il caldo eccessivo. Gli abitanti delle città del mondo hanno superato quelli delle campagne soprattutto per la dilatazione delle città che divengono megalopoli. Il circo, lo sport-spettacolo (non le attività sportive praticate da ciascuno), la mobilitazione di massa richiedono assembramenti. Ma gli stadi non devono riaprire prima delle scuole. Viene il momento di abbassare imperativi, obblighi, divieti, e rimettere il da farsi alla scelta libera e responsabile delle persone. Premiare chi non nuoce e tenere d’occhio chi per giovare a sé rischia di danneggiare gli altri: gli ammassatori a scopo di lucro. Per il consumatore è meglio il piccolo esercente vicino, diffuso ovunque. Dai presidi medici ai servizi di ogni genere e tipo, si dovrà ridimensionare la corsa al gigantismo e al monopolio. Venendo a mostre e musei, si potrebbe riprendere ogni attività in piena coerenza con un’osservazione di Corrado Ricci nella sua prefazione alla prima guida dei musei e gallerie d’Italia all’inizio del Novecento: che i musei enormi e smisurati producono stanchezza e disorientamento nel visitatore, mentre quelli piccoli, poco affollati e perfino dimenticati (e solitamente chiusi) danno appieno il gusto della scoperta e restano assai più impressi nella memoria. Suonava così il testo di una vecchia canzone: «Con la pipa in bocca e con le mani in tasca tra le fresche frasche me ne voglio andar, vado a respirare quell’arietta fresca che non trovo più in città». Era dunque un fumatore che non aveva alcuna intenzione di rinunciare al vizio, alla ricerca di aria aperta e buona senza dar noia a nessuno e per giovare perfino a se stesso. Ricalcando motivi più recenti, alla ripresa delle attività ripeteremo invece e in molti: «Io resto a casa». Qui è il punto. Apprezzare le luci della sera. Anche dopo il tramonto c’è il vespero, con le effemeridi, e resta da gustare il twilight. Perfino le lucciole, che quest’anno saranno più numerose. Animali notturni. Come la civetta simbolo di Atena e di Minerva, della sapienza e dell’arte. Così forse impareremo a vedere in questa strana estate. Da lontano e con poca luce.
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