Le formidabili ragazze del lockdown [di Daniele Martino]

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Doppiozero.com. La distanza non si è accorciata. Non fisicamente. Ma Didattica A Distanza (DAD) io non la chiamerò mai. La chiamo Didattica Digitale (DD): c’è, o meglio, dovrebbe esserci da minimo dieci anni, non come un rattoppo a un disastro planetario, ma come una delle didattiche per favorire meglio la realizzazione degli studenti, portarli a consapevolezza, autonomia, capacità di giudizio critico, valutazione delle fonti, ascolto delle opinioni degli altri ed espressione assertiva delle proprie.

Ieri ho visto in piazza mamme con la faccia intelligente che facevano urlare a figlie di dieci anni con la faccia intelligente “no didattica a distanza! vogliamo le maestre!”… che altro avremmo potuto fare per evitare di morire in duecentomila invece che in trentamila? Andare in cassa integrazione e abbandonare davvero i nostri studenti?

Il peggio in questi tre mesi lo hanno dato i docenti che a stento si sono alzati dal divano da cui sparavano compiti confusi su WeSchool, su Telegram, su mail: a inizio marzo erano il 70% del corpo docente; le rappresentanze sindacali hanno chiesto che i bonus premiali vengano ripartiti equamente tra i colleghi; chi non ha fatto quasi nulla, facendo però andare in burn out il 100% delle madri rigurgitate a un ruolo femminile ottocentesco, prenderà quattro soldi esattamente come chi ha dato la sua disponibilità H16 ai suoi studenti: ricevendo messaggi su WhatsApp dalle 10 di mattina alle 2 di notte, rispondendo a mail, parlando ore con madri che avevano bisogno che qualcuno le ascoltasse, cercando di stanare allievi bravissimi in classe che erano divenuti fantasmi negli incontri video (muti, inespressivi, amebe afflitte), ascoltando decine e decine di ore di tutorial e webinar…

Sulla scuola il peggio lo hanno mostrato Governo e Comitato Tecnico Scientifico: non hanno avuto attenzione, empatia, rispetto per milioni di bambini dai 3 ai 10 anni, non dando loro almeno da maggio la possibilità di muoversi lontano da madri isterizzate dalla loro esclusione dal lavoro, imprigionate.

Verso il peggio è scivolata anche la Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che poco tempo fa era una prof a Biella e che milioni di elettori del Movimento 5 Stelle hanno portato in rapida ascesa sbalorditiva a dover decidere autoritariamente delle sorti della scuola italiana. All’inizio ce l’ha fatta, con i suoi messaggi maternalistici e con la didattica digitale, ha promesso che avremmo tutti reagito.

Il 30% dei prof ha reagito sì; infine un’ordinanza ministeriale ha costretto tutti non ad apprendere la didattica digitale per forza, ma a promuovere tutti ridando i vecchi voti agli studenti tutti, presenti e assenti, con tablet o senza, con megagiga o senza, a quelli con due fratelli che urlavano nelle orecchie in cucina durante la videolezione come a quelli che stavano annoiati nella loro cameretta. La Ministra Azzolina ha realizzato un record di dichiarazioni, interviste, post social, dirette, annunci, conferenze stampa in cui via via ha detto cose sempre meno coerenti.

I consigli di classe, i collegi docenti sono andati in videoconferenza; l’ultimo mio è durato 4 ore di orologio, due delle quali spese a scontrarci su come si sarebbe potuto “disobbedire civilmente” all’ordine di dare voti decimali, “rimandando” a settembre chi non ha studiato o chi non ha capito e partecipato, resettando decenni di nuove didattiche per nuovi apprendimenti!

Perché così deve essere? perché si devono riaprire i luoghi in cui il cittadino può spendere danaro e guadagnare denaro con enormi rischi di nuovi focolai di contagio, mentre invece i prof, le madri, i ragazzi devono starsene a casa per sei mesi di fila? Lasciando che i soli padri portino a casa un po’ di soldi e un po’ di virus?

La didattica digitale non ha fatto affatto male agli studenti: zero, assolutamente zero male; il lockdown ha fatto loro molto male per tutto il loro sviluppo psicologico e cognitivo! La didattica digitale invece ha rivelato loro che usare uno smartphone non è sapere usare le tecnologie, ma obbedire a pochissimi comandi per essere il meno possibile pensanti.

Le Madri Eroiche, spossate da ore di collegamenti, consegna compiti in modalità diverse su piattaforme diverse, crollavano nel tardo pomeriggio sul letto a fissare il soffitto, mentre nelle cinque sei sette ore che restavano tra un pasto e l’altro, e prima della buonanotte quasi all’alba, i minorenni maschi dai 6 ai 14 anni decerebravano su games e games e games, e le minorenni dai 6 ai 14 anni decerebravano cantando e precocemente sculettando piuttosto svestite (immaginandosi piccole Ariana Grande e Charli XCX ) su TikTok; tutti in ignaro pericolosissimo contatto web con coetanei sconosciuti, adolescenti e adulti volgari.

Questa è stata la débâcle non della Didattica Digitale, ma della scuola non riaperta. Come diceva il replicante di Blade Runner prima di morire, ho visto studenti eccellenti in aula, resistenti alle pressioni della psicologia di gruppo, scivolare lentamente nel mutismo di fronte alla necessità di configurare le proprie skills non su quaderni matite e sorrisini al prof, ma su indipendenza e autonomia; ho visto studentesse ribalde, cafone, provocatorie, casiniste produrre giorno per giorno diari del lockdown sempre più intelligenti, divertenti e originali.

Chiudo questi mesi – che rimpiangerò perché mi hanno ridato dignità e operosità e disponibilità e decenza monastiche – parlandovi di due di loro. Mara il giorno della Giornata Internazionale contro l’Omofobia prima della videolezione mi ha chattato «prof oggi possiamo parlarne?» io le ho risposto no, oggi c’è la verifica sulla Peste di Camus, domani sì, ok?

Il giorno dopo Mara è apparsa in videolezione e dopo una mia breve introduzione ha preso la parola: ha parlato un quarto d’ora filato contro l’omofobia; «io non sono una lesbica, io voglio amare una ragazza se mi piace una ragazza, e un ragazzo se mi piace un ragazzo»: i compagni erano zitti, attenti, seri; lo scansafatiche Gabriele, amante della guerra e sprezzante con gli immigrati, ha aperto bocca e ha detto «gli omofobi mi fanno schifo»; hanno dodici anni.

E quando io ho gettato il sasso («Ma se tu, Mara, baciassi appassionatamente una compagna alle 8 di mattina prima di entrare a scuola, come ti sentiresti, cosa accadrebbe intorno a te? Ti sentiresti libera?») Mara ha taciuto qualche secondo, ha pensato, e poi ha ricominciato a parlare, e tutti hanno parlato, e un’ora e mezza non è bastata per finire di parlarci. Dopo la lezione ho inviato a Mara un WhatsApp: «Sono fiero di te», e lei mi ha risposto «Grazie prof».

L’altra è la tremenda Aziza: ha passato i mesi di didattica in presenza attizzando risse verbali con ognuno dei compagni, lasciando a me e ai colleghi qualche minuto a mattinata per tentare di comunicare qualche stimolo di apprendimento. Nella didattica digitale è prima sparita e poi piano piano, settimana dopo settimana, è salita a galla, ha cominciato a studiare, a leggere libri, e come mappa concettuale di fine medie ha scelto “La condizione della donna”. Ieri mi ha mandano un link sui gender studies!

Commentando poesie di Montale ha sfondato la griglia di competenze (le ho dato 14,5/10); nella verifica sul pensiero di Camus sulla condizione umana, sulla assurdità della sofferenza e della morte, Aziza ha scritto quasi un saggio, e le ho dato 16/10. Poi ha cominciato a mandarmi sue poesie, dopo aver chattato ore con me su depressione, anaffettività e relazioni con gli altri, su sua madre e sui suoi fratelli, su suo padre e sui suoi compagni stupidi e ignoranti… Me ne ha mandate due in un giorno, di poesie.

Com’è sbocciata la tremenda quattordicenne in questo lockdown! in una didattica che è diventata individuale e totale! Il suo egocentrismo si è preso tutto il prof per far lievitare la sua testa. Quella che dovremo tenerci, quindi, non è la didattica digitale, perché ci permetterà di dare sempre ai ragazzi l’attenzione totale che alcuni di loro ci chiedono, e che in classi tumultuose, costretti a fuggire a casa affamati alle 14, senza pranzare insieme, senza pomeriggi dilatati e informali insieme, non riusciamo ad avere:

È strano vivere nell’indifferenza

seppur questa non sia ricambiata.

È imbarazzante pensare troppo

quando si vorrebbe spegnere il cervello.

È brutto non raggiungere i propri scopi

quando si è consapevoli di poterlo fare.

È bizzarra la vita

ma non per questo brutta o bella

è semplicemente ‘vita’

ciò che ci ostentiamo a volere

ma che quando abbiamo, disprezziamo

pensiamo addirittura che ci sia dovuta

ma non è mai così:

niente ci è mai dovuto.

È un po’ ipocrita dire che si è ‘gli artefici del proprio destino’

quando non lo si prende mai in mano

preferendo giustificarsi.

È da incoerenti pensare che nessuno ci comprenda

soffrire di essere soli

quando semplicemente siamo noi a non saper scegliere.

 

Aziza, 23 maggio 2020

 

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