Sorry for the weather [di Franco Meloni]
Scusi per il clima. Questa ineffabile frase non ci è stata rivolta a Londra, quasi Europa, da una coriacea vecchina bianca con capellino rosa, magari alla fermata del bus, ma da un mastodontico giovane rapato a zero. Maglietta nera, pantaloni neri di pelle, sandaloni neri senza calze, il termometro segnava addirittura 9 gradi, e parole mitragliate senza aprire la bocca e guardando altrove. Il giovane era indefinibile. Poteva essere sia un angelo della notte, uno di quelli che evitano che i pavimenti delle metropolitane si sporchino troppo di sangue, sia uno dei potenziali imbrattatori. Comunque, sempre meglio incontrarlo in un pub che ad una fermata di un ritardatario autobus notturno. L’occasione dell’incontro era l’acquisto di una casa. Non esageriamo, di un appartamento, due stanze, insomma. Dopo tre anni di convivenze più o meno soddisfacenti, il Pargoletto aveva deciso di sistemarsi da sola per un tempo variabile da uno a cinque anni, nostalgie patrie permettendo. Invece di gettare le guadagnate immagini della dolce regina nelle tasche di un assatanato proprietario, si cercava la via dell’acquisto in terra straniera. Qualcuno pagherà. Superata la fase infinita di dubbi, renitenze, e timori, si traccia la strategia d’attacco. Una camera da letto più un soggiorno e possibilmente la cucina separata. Banale, il tutto in meno di cinquanta metri. Il guinness da riempimento di una cabina telefonica da parte di umani sta per essere battuto. Il tutto poi, senza dover impegnare organi da farsi espiantare per far fronte ai debiti. Condizioni aggiuntive: non troppo lontano dall’ufficio, il che significa non più di mezz’ora di uso di bus, metrò e scarpe; non troppo lontano dalla civiltà, quindi da quelli che ti accoltellano chiedendoti scusa; con parcheggio non gravato da balzelli squisitamente britannici; con qualche negozio vicino. La ancora giovane età non mette limiti al superamento di altezze non servite da mezzi meccanici. Le pur vaste possibilità metropolitane restringono la zona di caccia a Islington. Confina con un postaccio ad est ma ha un aspetto piacevole nella turbolenta variabilità delle zone cosiddette trendy. Il quartiere è allegramente vissuto, pieno di agenzie che prevedono, buon segno, uno sviluppo molto veloce dei prezzi degli immobili. Che poi tanto immobili non sono dal momento che l’età e le bombe teutoniche hanno minato la perpendicolarità delle facciate rette da tiranti in ferro fusi subito dopo la Magna Charta. Parcheggiamo non senza una certa preoccupazione la poderosa macchinetta, Vomitino detta affettuosamente in famiglia per il colore non proprio canonico, destreggiandoci tra permessi per residenti salvo ore alterne in anni prebisestili. Siamo sovrastati dal terrore di inflessibili manette per ruote che avrebbero potuto essere rimosse dopo esborsi gravosi e forse pene corporali nel sagrato della Camera dei Lords. Il tutto dopo aver fatto benzina per la prima volta dopo lo sbarco dalla Normandia. Sembra facile, ma tutti i distributori di bigliettini e permessi per usare in modo congruo il veicolo, sono dalla parte sbagliata del codice della strada. Almeno per noi con auto dell’antica casata piemontese. Ovunque si parcheggi, bisogna poi camminare, sempre e con un passo deciso da imprenditore o da crisi di astinenza di servizi igienici. La casa, da fuori, non è bella. Considerando che costa quasi come tre anni del mio lavoro, la guardo con una certa attenzione. Un albero, normale in Britannia, e un bidone vuoto della spazzatura, normale anche lui arredano il giardinetto stretto e fangoso. Il campanello rimanda suoni fino al secondo piano. Non funziona il citofono e l’inquilino deve scendere per condurci nel fatato castello. La casa deve essere visitata come se i colori alle pareti non esistessero. È dura non notare gli accostamenti di blu tragico con grigio elettrico. Il giallo, presumo decodificandolo da sotto strati di sporcizia, copre due finestre da guardare con attenzione, potrebbero crollare per il peso dei tarli che le infestano. Non fa niente, con tre milioni si riparano. Il frutto della famiglia, con laurea in architettura, ha dato precise istruzioni: tutto verrà ristrutturato. Guardare con occhi proiettati al futuro. Perfetto, ma non posso non scivolare nelle sdrucite moquette che i discendenti di Re Artù usano per ricoprire, più o meno bene, tutte le superfici esistenti. Fossero almeno pulite, odorano ancora dei fumi del Grande Incendio del 1666, anche se ogni tanto vengono imbevute da schiume di fermentato di luppolo. La porta di ingresso, di un grazioso rosa demente, ha anche una serratura, anche se sembra che basti uno starnuto per aprirla. Ma si sa, Londra è una città sicura. L’interno non è male. Certo la ghirlanda di pappagallini da albero di Natale per lobotomizzati fa un certo effetto sulla spalliera del letto. Parte fondamentale della casa, peraltro simpatica nella sua dolce intimità, se ci si dovesse basare sulle piume di struzzo che circondano una immagine in bianco e nero del leggiadro inquilino legato, con cappello in pelle con borchie metalliche e con un suo probabile amico che lo frusta in modo da far arrossire Zorro. Oggetti in bella mostra sul letto. Ma noi non battiamo ciglio. Francamente mi preoccupa più lo stato del bagnetto, piccolo ma da rifare interamente, meno di quindici milioni, un affare. La cucina è dignitosamente orrenda. Si rifarà anche questa, of course. I pavimenti, immaginate un po’, pure. In compenso non c’è riscaldamento. Si potrebbe usare delle stufe elettriche, crepi l’avarizia, ma non si può. L’impianto farebbe suicidare un controllore di norme CE, ma l’Isola Fortunata non è in Europa. Non posso alzare, disperato, gli occhi al cielo perché vedrei lo stato del soffitto. Da smantellare, in modo da mettere a nudo il tetto che fa entrare acqua, anche se solo quando piove. A Londra il clima è previsto molto secco dopo la prossima glaciazione. La nera mammoletta ci offre una birra, sono già le dieci del mattino, è l’ora del primo (?) rifornimento. Ha un arredamento, quello non sadomasochista, molto interessante. Libri sulla fine del mondo, letti nell’ambiente più indicato, e manuali di sopravvivenza in condizioni estreme. Ci da il suo numero diretto usando una Barbie con una penna biro maldestramente infilata in sostituzione di una gamba. Un tipino da portare nei salotti bene. La speranza della mia vecchiaia, resa sveglia da frequentazioni con alieni da tre anni, gli da il numero del nostro migliore amico in Sardegna, meglio mantenere le distanze. Appena usciti piove. Uno dei segni del cielo, anche se sembrerebbe molto impegnato a darli, data la frequenza delle esternazioni. Mantengo un silenzio che mi può permettere di non essere incriminato nel rispondere allo straripante fiorellino nero che crede di doversi scusare del fatto che vive in una regione dal clima infame. Come se ne fosse o responsabile o avesse la possibilità di variarlo. Presunzione Albionica! *Fisico. Università di Cagliari. Narratore
|